Solidarietà con gli accusati dell’incendio di un’auto di polizia a Parigi.

 

 

A seguito dell’ipermediatizzazione di un’auto di polizia incendiata sotto gli occhi di una dozzina di telecamere, cinque persone sono state arrestate,in serata o nel giorno seguente,accusati di un attacco che tutto sommato avviene abbastanza spesso, tutti odiano la polizia,e capita quasi ogni giorno che venga attaccata in diversi modi su tutto il territorio, specialmente in questa maniera!

 

A seguito del fermo di polizia, una persona è stata rilasciata, gli altri quattro sono sotto accusa per “tentato omicidio volontario” “violenza volontaria in banda organizzata su pubblico ufficiale” “distruzione di bene pubblico in banda organizzata e partecipazione a gruppo armato” Uno di loro è inoltre accusato del delitto di avere rifiutato di sottoporsi al prelievo del DNA.

I quattro sono attualmente in detenzione preventiva (tre liberati sotto controllo giudiziario il 24 maggio).

Se le accuse altisonanti a loro rivolte(“tentato omicidio”)e la conseguente minaccia( ergastolo)non reggeranno al processo servono nel frattempo ad assicurare loro la detenzione preventiva sotto la benedizione di qualche sadico in toga.

I media della democrazia, obbedienti agli ordini, hanno fatto bene il loro gioco,il loro zelo pari solo alla loro servilità impeccabile alla violenza estrema e normalizzante, in nome della pace sociale.

Una bella soddisfazione data ai sindacati della polizia che quel giorno manifestavano, sembra essere l’obbiettivo secondario del ministro degli interni e del governo.

Un po’ di emozioni forti per il cittadino medio, un po’ di vendetta per la polizia, deterrenza per i ribelli.

E ‘alla base di questo trittico vile che la ragione di Stato si è messa all’opera contro alcuni compagni, probabilmente scelti a caso da qualche fascicoletto scadente della pseudo “ultra-sinistra”, categoria inventata dallo stato che ha già dato luogo a decine di processi, incarcerazioni, e  spionaggi di ogni genere,dall’ultimo decennio ad oggi.

(ancora oggi la famosa “macchina delle espulsioni”resta a giudizio e molti compagni e compagne ancora sotto indagine)

Probabilmente lo stesso fascicolo utilizzato recentemente per emettere divieti e accuse varie con la scusa dell’emergenza sociale.

 

 

Oggi riteniamo necessario rielaborare tre posizioni importanti:

 

  • Come rivoluzionari, saremo sempre dalla parte di coloro che sfidano, contaminano, attaccano l’ordine e quindi anche la sua forza, in una prospettiva di emancipazione. Perché la rivoluzione non avverrà nei saloni con power-point , del folklore militante e filosofi annoiati, ma in strada, con l’odio, il fuoco e la speranza.
  • Questi compagni avrebbe potuto essere qualsiasi delle migliaia di manifestanti che si sono riversati nelle strade ridipingendola con i colori della gioia negli ultimi mesi. Potevamo essere noi, o voi, tu o io. Questa repressione è quindi un attacco contro tutti i rivoluzionari e , contro tutti coloro  “che odiano la polizia” e che odiano il lavoro.
  • Pertanto, la questione del “senso di colpa” o dell’innocenza dei comnpagni accusati appartiene solo al potere , e lasciamo queste considerazioni,  il vocabolario del codice penale, che non sono e non saranno mai  nostri, a quelli dall’altra parte (siano essi poliziotti, giudici, avvocati o giornalisti). Questo gesto, chiunque siano gli autori, è parte di una lunga tradizione di pratica rivoluzionaria, che dobbiamo difendere come tale . Non si tratta di legittimare  questo tipo di attacco, giustificarlo, o minimizzarlo, ma di attaccare ogni principio di legittimità, ogni tendenza alla giustificazione, ed ogni moderazione nell’ attacco anti-autoritario al dominio, e gli agenti che proteggono il loro regno.

Affermiamo la nostra solidarietà con gli imputati, e soprattutto con il gesto di cui sono accusati, che ricordiamo, è un atto di vita quotidiana, un atto necessario per tutti coloro che desiderano la libertà, e non un ” terribile evento  ultra-violento “o” eccezionale “- l’unico elemento eccezionale potrebbero essere le telecamere onnipresenti, non solo lo stato, e neppure i journaflics, contrariamente, ad esempio, dei cosiddetti quartieri “sensibili”, dove tutto accade in silenzio, senza copertura mediatica o effusioni, con regolarità. Ripetiamo ancora una volta che le immagini sono un problema contro il quale dobbiamo organizzare concretamente .In caso contrario, i ribelli continueranno a scendere, come albicocche in estate.

In una città come Parigi, che ha gustato nel 2015 una violenza indiscriminata, a cinque minuti a piedi da Quai de Valmy, veramente terribile e sorprendente, davvero violenta, veramente terrorista, è indecente a piangere per la sorte di una macchina di polizia, la cui funzione è proprio quella di farsi prendere a schiaffi in faccia da tutto ciò che  rifiuta ordine mondiale di conseguenza.  Non lasciamo soli i compagni nel  vortice mediatico-repressivo che li rendono degli individui assetati di sangue e cannibali feroci,  oggetto di dibattiti  sterili “contro” o “a favore” della “violenza”.

No, di fronte allo Stato e ai suoi lacchè, sono nostri ccompagni, e noi siamo i  loro.

Né verità né giustizia, complicità e  rivoluzione.
La miglior difesa è l’attacco.
Libertà per tutte e tutti.

Il 24 maggio 2016 a Parigi, pochi anarchici .

ILLEGALISMO E PROPAGANDA CON I FATTI-Pier Leone Porcu

 

 

death-breath-the-plague-artwork-by-danny-larsenSembrano passati secoli da quando Pierleone Porcu scriveva queste parole “Illegalismo e propaganda con i fatti”.

Chi pratica l’azione oggi, ma siamo ben lungi dalla dinamite, dal plastico e dal tritolo che invocava Porcu,si erge a moralizzatore dell’azione altrui, come se non bastassero i giudici dello Stato a dare sentenze, e stabilisce chi sia abilitato ad operare sul “palcoscenico” della lotta.

Quanto si è letto di nichilismo, individualismo, distruzione in questi ultimi anni? Migliaia di comunicati di rivendicazione di attentati di ogni tipo, ma se la distruzione nichilistica del sé, della morale imposta dalla società non avviene con il superamento del vecchio uomo, ci troveremo sempre di fronte a dei moralizzatori travestiti da rivoluzionari. Dei distruttori che impongono regole affinché tutto venga distrutto secondo una certa etica, la loro.

Come diceva qualcuno: “Per scalare il vertice ci vogliono unghie affilate e mani pronte alle ferite più dolorose.

Mentre si scala il vertice di un’umanità decadente, cadono, cadono le rocce che si sgretolano sotto le dita…”

E quando vi scontrerete con la morale ancora insita in voi sentirete un gran male, questo l’ho sperimentato.

 SZ

 

 

ILLEGALISMO E PROPAGANDA CON I FATTI

 

Rivolta permanente con la parola,

con gli scritti,col pugnale,col fucile,con la dinamite.

Per noi,è buono tutto ciò che non è legale.

P.Kropotkin,”Le Rèvolte”

(dicembre 1880)

Sgombriamo il campo, anzitutto, della flora parassitaria che vi si infittisce e rende sterili moltisforzi: equivoci, antiquate impostazioni generali, pessimismi aprioristici, pregiudizi fondati su moralismi bottegai -preteschi, ostilità dovute a miopia e ostilità dovute a un brutto calcolo d’interesse.

La formula” illegalismo e Propaganda con i fatti”, deve essere presa e trattata con spirito libero e con estrema spregiudicatezza. Essa non è il titolo di una nuova scienza social-rivoluzionaria. E’ il nome che nel nostro movimento si è convenuto assegnare per comodità del discorso, alla convergenza di tutte quelle pratiche rivoluzionarie che uscendo dal terreno della legalità attaccano direttamente con mezzi esplosivi – dinamite,plastico,tritolo – tutte le istituzioni attuali e con le armi in pugno attentano ai loro rappresentanti e vari servitori,come pure armi in pugno si procacciano i mezzi per finanziare tale attività(furti,rapine,sequestri,ecc.),e difendono sempre armi in pugno la propria libertà personale dalle aggressioni mosse loro dalla sbirraglia pubblica e privata.

L’attentato,l’incendio,il saccheggio,il sabotaggio,loscontro armato (organizzato o meno) sono parte integrante della “guerra sociale” portata avanti senza esclusione di colpi,senza più limiti prescostituiti dati dall’azione rivoluzionaria.

Le ragioni del perchè, io insurrezionalista anarchico,sia partigiano dell’illegalismo e della “propaganda con i fatti “,sono date dal fatto che ritengo di stretta necessità-ieri come oggi- di fare tutti gli sforzi possibili per propagandare e diffondere “con la parola, con gli scritti, con la dinamite” l’idea rivoluzionaria dell’Anarchia e lo spirito di rivolta fra le masse dei proletarizzati. Reputo il più semplice fatto o atto di rivolta, diretto contro lo Stato, il capitale, la Chiesa e i loro innumerevoli rappresentanti e servi, che parli meglio al cuore e alla mente di ogni oppresso e sfruttato che migliaia di stampati e fiumi di parole. Inoltre, questa è la sola pratica fin qui elaborata in campo rivoluzionario che,senza ingannare nessuno,senza creare deleghe di nessuna specie,miri direttamente allo scopo,che è quello dell’attacco diretto ed esplosivo per disintegrare l’intero stato di cose esistenti.

La mia è una scelta di campo e di vita,che sul terreno della globalità di ciascuno di noi implica il fatto di giocarsi la vita sulla materialità della rivolta intrapresa,senza più transazioni vissute come aspettative di un futuro sedicente paradiso terrestre.

Per non creare inutili aspettative e pericolose illusioni sono contro ogni specie di opportunismo e ogni specie di politica. Non avendo nessuna fiducia nell’efficacia dei mezzi legali e non volendo in nessun modo prendere parte alla cosiddetta vita “politica ufficiale” né a quella sedicente “rivoluzionaria”.

Quello che cerco – da solo o assieme ad altri – di mettere in pratica è esclusivamente diretto a rendere evidente a tutti che io confido unicamente nella forza materiale per abbattere la forza materiale che ci opprime,e che bisogna strappare con la forza ciò che dalla forza ci è conteso.

Rifiuto ogni confronto dialettico con la controparte, nè mi servo del suo costituzionale democratico armamentario di difesa giuridica quando mi incrimina, io – fuori come dentro le aule di qualsiasi tribunale- rivendico a viso aperto come metro di rapportazione la guerra sociale armata.Il rifiuto di stilare copiose autodifese ed altro ancora,è una logia conseguenza di questo mio modo di agire fiero,franco e intransigente di fronte al nemico.Permettetemi questa citazione “Di fronte ai poliziotti e ai giudici – diceva Victor Serge in un suo scritto del 1925 – non cedere alla tendenza inculcata dall’educazione idealista borghese di stabilire o ‘ristabilire’ la verità.Nei conflitti sociali non esiste verità comune alle classi sfruttatrici e alle classi sfruttate.Non esiste verità – né piccola né grande – impersonale,suprema,al di sopra della guerra di classe.(…) La loro veritànon è la nostra.Il militante non deve rendere conto di alcuno dei suoi atti ai giudici della classe borghese [io qui aggiungi a nessuna specie di giudice],non deve alcun rispetto di una pretesa verità.(…) La veritò noi la dobbiamo solo ai nostri fratelli e compagni…”.

Da quanto fin qui sostenuto,è solare che io – rispetto a quei compagni nostri ammalatisi di legalismo e giuridismo – ho fiducia esclusivamente nei nostri mezzi rivoluzionari anarchici,e su quelli in ogni circostanza confido.AL di là di tutte le chiacchiere e le polemiche intrattenute sull’argomento “solidarietà rivoluzionaria”,io penso che il primo passo da compiersi è quello che fra compagni deve vigere l’omerta più assoluta di fronte a sbirri,magistrati e media.Un altro punto è quello che unica e vera solidarietà tra rivoluzionari è quella di rendersi complici nell’azione di attacco demolitorio intrapreso contro tutte le strutture.grandi e piccole,del dominio esistente.

Rifiuto di atteggiarmi a scopritore di un nuovo modi di fare le cose,perchè i problemi che abbiamo si sono presentati sempre nella storia fin qui percorsa del nostro movimento,e le soluzioni fin qui adottata per risolverli sono più o meno le stessi di quelle adottate da chi ci ha precedeuto su questa strada.Si deve dar porva di intransigenza in quel solo punto nel quale il nostro sistema d’attacco può dirsi relativamente nuovo.Ci sono problemi,difficoltà limiti,inadeguatezze di ogni specie al nostro interno,per uscirne occorre dare misura della nostra potenza di azione nel concreto di ogni situazione,avendo chiara e insindacabile l’esigenza di annientare l’autorità e tutti i suoi innumerevoli istituti di governo,di amministrazione e coercizione presenti nel sociale.Non esistono a questo proposito ricette pronte all’uso,ma ci si può dare la possibilità di potervi pervenire nel migliore dei modi.Per questo ritengo indispensabile che all’interno del nostro movimento ci sia la totale libertà di critica,di azione e di associazione.

La totale libertà di critica significa che ogni singolo compagno – associato o meno – deve poter dire,quale che ai la circostanza,la sua liberamente,vale a dire senza abbia a subire preventive censure,malcelate pressioni o minacce da parte di chiunque,questo perche si deve mettere fine al fatto che ci creino capi,capetti e gregariato vario, e si affermi senza infingimenti ideologici formali e informali la concreta libera autonomia individuale del singolo,responsabile solo di fronte alla propria coscienza,quindi totale rispetto della sovranità dell’individuo.Alle critiche, fossero pure le peggiori e velenose di questo mondo,si risponde con l’argomentazione o non si risponde affatto,altro discorso è invece la calunnia e via discorrendo.Io qui tengo fermo il principio che tra compagni si deve sempre discutere,avendo chiaro che chi tira calci prende calci.

La totale libertà di azione verte sul fatto che nessuno può mettere veti e limiti all’azione di un altro compagno,come pure stabilire – salvo che per lui stesso – quel tipo di azione che si crede meglio rispetto ad altre.Per cui,il tipo di azione che uno adotta vale per tutti quelli che la condividono,tutti gli altri saranno sempre anarchicamente liberi di fare e adottare quelle che credono più rispondenti e opportune alle proprie esigenze.

Questa è da sempre la caratteristica prassi di rapportazione anarchica:basata sempre sul rispetto assoluto dell’autonomia individuale ed il rifiuto totale da parte del singolo di farsi assoggetare ad idee e pratiche che non sente come proprie.

Ciò che è insurrezionalismo anarchico da ciò che non lo è,per me non lo stabilisce certo l’elucubrazione teorico-intellettualistica di questo o quel compagno che ama ritenere se stesso il massimo dell’anarchismo insurrezionalista,nè quanto si scrive oggi in molti nostri giornali,ma solo ciò che emerge dalla pratica messa in atto nel concreto della guerra sociale intrapresa.

Si possono avere progetti insurrezionalisti anarchici basati sulle piccole azioni come pure su quelle più grandi e spettacolari,come pure si può essere per l’azione in “ordine sparso” e senza organizzazione,come pure all’inverso ci può essere chi pensa utile e indispensabile dotarsi di organizzazione specifica armata.

Dire ad un compagno:”Tu non hai un progetto”,o altre scemenze del genere per il solo fatto che questo non segue le tue indicazioni, rivela una sorta di mania monopolistica e dirigistica che afflige molto di coloro che fanno queste affermazioni.

Per me,non sono mai esistiti livelli,nè precostituiti limiti da darsi all’azione insurrezionalistica che portiamo avanti.Chi,sotto il pretesto dell’efficacia o di altro,vorrebbe uniformare gli altri al suo modi di vedere la lotta rivoluzionria,bisongna rispondergli: “ No,grazie!Per oggi faccio a meno della tua lezione di ‘scienza rivoluzionaria’.Preferisco sbagliare da solo,come pure pagare da solo i miei errori”:

Libertà totale di associarsi come meglio si crede.Ritengo l’associarsi necessario,utlie ed indispensabile.Ma,l’associazione fra noi,deve prodursi come manifestazione di esigenza spontanea,fraterna,che avviene tra indivualità che si scoprono in tante cose affini,per scopi ben definiti,sempre revocabile e sempre ricostruibile;associazione su basi e prassi essenzialmente e permanentemente antiautoritarie e inssurezzionaliste,con il più libero accordo,nella più sovrana autonomia dei singoli e senza nessun impedimento reciproco.Mai organizzazione codificata o informalmente monopolista e negatrice di altre forme di organizzazone anarchica.

L’etica come l’intendo io,non è morale,nè immorale,ma puramente AMORALE,è cioè al di sopra e al di fuori di quella cerchia che si vuole porre come limite circoscritto alle idee di “unici”.

Per concludere,non faccio parte di nessuna congrega “ufficiale” o informalizzata che dir si voglia.

Il resto lascio a voi giudicare.

PierLeone Mario Porcu

Individualità Anarchiche Lucane-Lucania Nichilista

 

Un blog nato da poco, ma che già promette bene.

Si presentano così:

https://lucanianichilista.noblogs.org/

lupo

 

“Ci indirizziamo […] agli insoddisfatti ed a coloro che dubitano. Ai malcontenti di sé stessi, a coloro che sentono pesare su di essi il fardello di centinaia e centinaia di secoli di convenzionalismi e pregiudizi. A coloro che hanno sete di vita vera, di libertà di movimento, di attività reale e che non trovano attorno ad essi che insincerità, truccatura, conformismo e servilità. A coloro che vorrebbero conoscersi maggiormente e più intimamente. Agli inquieti, ai tormentati, ai cercatori di sensazioni nuove, agli esperimentatori di formule inedite di felicità individuale. A coloro che nulla credono di ciò che è stato loro dimostrato. Agli irrequieti; sì, agli irrequieti, poiché io preferisco l’onda agitata all’acqua stagnante.”
É. Armand – Iniziazione individualista anarchica

Nell’età del capitalismo moderno, la democrazia subendo un processo di trasformazione riorganizza il proprio potere, assumendo forme sempre più liberticide ed autoritarie. Durante questa fase qualsiasi diritto concesso dall’alto, viene annichilito sotto i colpi di politiche tese ad aumentare la centralizzazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi individui, mentre le diverse strutture di potere promuovono il corporativismo e la pace sociale a colpi di una cieca repressione. Il processo sociale messo in atto, non fa altro che portare ad un’evidente escalation della violenza e ad una nevrosi collettiva ove l’individuo vede nell’altr* il proprio potenziale nemico, indirizzando il proprio odio e le proprie frustrazioni verso l’emarginato/a ,il/la disagiato/a o l’eversivo/a visti/e come fonte della presunta decadenza politico-sociale, alimentando una guerra fra poveri ove ne escono vittoriose le classi dominanti. Inoltre la nostalgia di un fantomatico ordine perduto e di un messianico riscatto sociale, porta alla (ri)scoperta di vecchie ideologie autoritarie o della religione, abdicando la vita e sacrificando sé stessi ad idee di morte. Le costruzioni sociali che siamo costretti ad emulare, i rapporti sociali basati sulla competizione, sull’utilitarismo e su un solipsismo nevrotico, la morale borghese, l’esistenza dettata dal Capitale e dai tempi lavorativi sono gli strumenti di controllo tesi a disgregare e alienare gli individui o la loro unione per soffocare qualsiasi spinta spontaneista e atto di rivolta che possa scaturire da essi. In questo contesto abbiamo deciso di unirci sotto il nome di Individualità Anarchiche Lucane, per rompere con l’esistente, uniti da un solo obiettivo: la distruzione di qualsiasi tipo di dominio, potere e autorità. Rifiutiamo qualsiasi pratica e affinità con coloro che promuovono l’uso degli stessi strumenti del Potere o si fanno portatori delle sue istanze; non vogliamo farci detentori di verità, di strategie assolute o di un’egemonia di pensiero, qualunque tentativo su questa via non porterebbe ad altro che alla fondazione di uno scellerato avanguardismo. Stanch* del “politically correct” e del messianismo rivoluzionario, il nostro agire è fondato sull’hic et nunc teso a creare un vivere radicale nel presente, attraverso la sperimentazione di pratiche sovversive e relazioni egualitarie nel nostro quotidiano e nella continua decostruzione delle gerarchie sociali (basate sui concetti di razza, sesso, specie, classe ed età). Crediamo che il terreno fertile per la creazione di complicità politiche si basi sull’ostilità alla sovrastruttura dominante. Assetati di libertà, prendiamo parte al banchetto del Caos cibandoci del Vecchio Mondo. Il nostro rifiuto totale per un’esistenza arida lasciata da una politica di morte protratta dallo sviluppo del Capitale, ci porta alla riscoperta della gioia di vivere e nella creazione ludica di nuovi mondi ove la Vita possa riconquistare il proprio spazio e l’individuo possa tendere al suo massimo sviluppo etico, intellettuale e psicofisico attraverso la costituzione di gruppi di affinità. Qualunque comunicato, azione e/o testo riprodotto su questa piattaforma avrà il fine di decostruire l’esistente, augurandoci di moltiplicare gli atti di rivolta individuali e collettivi, per destabilizzare la realtà opponendosi ai tentativi di soffocarci sotto ritmi alienanti e la meccanizzazione del presente per aprire nuove prospettive di vita, che possano sorgere dai nostri sogni e desideri nella riscoperta di un vivere radicale e libertario.

Per la liberazione totale degli esseri viventi, per l’Anarchia!

LA LIBERAZIONE TOTALE COME CONSIDERAZIONE EGOISTA E ICONOCLASTA

 

 

nichilismoAbbiamo ricevuto questo contributo via mail e

lo proponiamo come spunto di discussione 

per chiunque voglia intervenire.

Un ringraziamento per la traduzione a Erica di RadioAzione-Croazia.

 

Cosa significa per me essere un caotico? Significa una ricerca costante dell’ignoto. Delle situazioni non sistemiche. Quando mi riferisco al caos non è nel senso di un entità, ma nel senso dell’ignoto. Il caos possono essere le situazioni che non richiedono motivi politici per essere create. Può essere una pura e semplice esplosione di odio verso i nemici. Può essere in ogni e in qualsiasi momento. E’ l’esistenza stessa. Tutto quello che la specie umana pensa di aver pienamente compreso, valutato o domato non è altro che il caos dell’esistenza. Ed è verso questo che io gravito. Verso l’ignoto. E penso che tutti i definitori di qualsiasi “specie” chiudano un occhio su questo. Questo nichilismo esistenziale e questa negazione della definizione dell’esistente mi muovono verso la lotta per una liberazione totale della mente e del corpo. Il motivo è la soddisfazione dell’individuo o degli individui che partecipano alla creazione di queste situazioni, e in questo modo sovvertono la normalità. Tutto quello che viene sistematizzato diventa normalità.

La liberazione totale per me non è un progetto di lotta generale per “salvare” il tutto, e neanche un piano. Chiarisco questo prima di continuare. Non è nemmeno una propaganda né un reclutamento di nuove pedine nelle mani di un nuovo obiettivo, usando nuovi o esistenti soggetti rivoluzionari non-umani. Come essere egoista comprendi che una guerra totale si è dispiegata attorno a te, contro tutto. Come essere nichilista, non dichiarando la resa nella guerra contro ogni catena, ne sarai coinvolto, dato che ti trovi, ovviamente, a far parte dell’esistenza. Vedendo la dominazione presente (sempre esercitata da umani civilizzati, ma particolarmente estensiva oggi) sugli animali non-umani e sulla terra (che si riflette, quindi, sugli animali umani), ho scelto di non rimanere in disparte, perché come anarchico, e con la coscienza contraria a tutto l’esistente, vedo l’anarchia come come una parte integrante della mia agitazione contro il mondo attraverso il caos, e non attraverso i concetti sistematizzati o qualsiasi forma di ordine o giustizia. Vedo l’anarchia come una percezione esoterica contro tutti i sistemi e come un metodo di liberazione dell’ego, passo dopo passo, da ogni forma di catene morali, sociali, culturali, ideologiche, e non come un movimento o una lotta di massa, o un’opposizione davanti al parlamento. In poche parole, diamo alla politica ciò che le appartiene. Un enorme pietra tombale. Comunque, chiunque leggerà questo testo comprenderà che io non so esprimermi in politichese, e neanche mi interessa. Adesso, dopo aver chiarito che la coscienza e il pensiero politico non definiscono né la mia affinità né i miei compagni anarchici, continuo.

Che cos’è l’anarchia? Non è certamente la fede in una bestia esigente chiamata Obiettivo. L’anarchia è la condizione di realizzazione dell’individuo quando si trova in guerra con l’esistente e quando inizia rispondere ai colpi in qualsiasi modo sa o può, stabilendo come meta la distruzione di quante più catene possibili, che mantengono l’individuo separato dall’autocoscienza e dall’autodominio. Sempre su base individuale. Sempre iniziando individualmente. Senza tentativi di massificazione o fede nelle verità oggettive. Quindi, si tratta di un metodo di lotta da iniziare individualmente, e che anche quando diventa collettiva serva sempre gli interessi di ogni singolo individuo. Si tratta di una situazione continua di qui ed adesso, senza aspettare di raggiungere un obiettivo finale. Quando comprendi che sei un detenuto, non è meglio cercare di evadere che aspettare una morte lenta? In più, non esistono forme specifiche di anarchia. Se fosse così saremmo rinchiusi in una gabbia di specialismo e idolatria. Sabotaggio, vandalismo, guerriglia urbana, liberazione degli animali non-umani, produzione di discorsi e di materiale stampato del pensiero anarchico e analisi delle tattiche, o attacchi fisici a coloro che mantengono ogni catena e morte delle nostre vite… E, naturalmente, la cosa migliore sarebbe che ogni gruppo o individuo incorporasse tutti questi metodi invece di specializzarsi. Tutto questo sono forme di anarchia contro la società, lo Stato e la civiltà. E non esiste neanche un modello o un modo specifico di vita che ogni anarchico dovrebbe seguire. Si tratti di un refrattario al lavoro, o di quello che lavora all’interno del sistema per “sopravvivere” (sempre cosciente della distruzione del lavoro; non considero il mio compagno colui che vuole autorganizzare il lavoro, ma quello che concepisce il lavoro come una delle relazioni sociali da distruggere), o che vive in una capanna nelle montagne, o in una metropoli, per me non fa nessuna differenza. E neanche la “classe” da quale proviene non fa nessuna differenza. Però, ognuno che si trova nella condizione di lavoro e cerca dare una giustificazione o un significato a questa catena è degno della propria miseria.

Non ho scelto io di nascere in questo mondo, ma comunque sono nato. Dopo aver per anni osservato il mondo sono giunto alla conclusione che la vita acquista valore solo attraverso le relazioni non-sistematizzate, e questo diventa una maledizione in ogni sistema. Sarà spezzata questa maledizione durante la mia vita? Sta su di me e sulla scelta della mia negazione. Comprendo, ovviamente, che le situazioni differiscono, alcuni dei miei compagni (umani o no) si trovano dietro le sbarre e c’è ben poco che possono fare per riprendersi la propria libertà fisica. E qua sta il grande ostacolo. Il valore dell’umanità gode ancora, purtroppo, di “buona salute” sul trono degli dei non-esistenti, e questo meschino teatro che hanno nominato civiltà non ha ancora recitato il suo ultimo atto. Se adesso qualcuno mi chiede perché parlo della liberazione totale, cosa voglio esprimere con questo concetto, dato che dalle mie parole sembra che io non creda negli umani (come ruolo, valore, e del resto in nulla come valore intrinseco), risponderò che non devo nulla a nessuna specie o a nessuna “umanità” (termine totalmente astratto con caratteristiche massificate), e dato che ho riconosciuto la fonte di tutte le catene attaccherò di conseguenza. Decostruirò completamente questo concetto, in cui nome e in cui fede enormi catene sono state create. E dato che non sono stato raggirato, né dimentico la diversità o l’esotericismo di tutti gli esseri viventi, so che ci sono altri che la pensano in modo “simile” al mio, e credo, ovviamente, che lo scambio di pensieri e modi di agire sono di un’estrema importanza. Quindi, il concetto di liberazione totale, secondo suddetto, sottintende una considerazione che coinvolge tutto l’esistente, senza cercare di definirne la moralità, assegnarne dei valori intrinsechi e ruoli (considererei questo alquanto antropocentrico, come analizzerò di seguito), decostruendolo completamente e portandolo al punto del nulla. Da qua, con il nulla come base e avendo rigettato completamente il determinismo scientifico interconnesso con l’ideologia del profitto, cioè, tutti i costrutti del “progresso” degli animali umani, l’individualità è in cerca della sua relazione con il proprio ambiente attraverso i tentativi non-sistematizzati, negando tutte le relazioni/ruoli preesistenti – costrutti della società, della esistenza civilizzata. Ossia, nella lotta per la libertà individuale la mia coscienza sa che la libertà del mio ambiente è di vitale importanza. Attraverso l’attacco e la distruzione verso l’ignoto. Verso nuove relazioni.

Che cos’è la libertà? Si tratta di un’entità che trasformeremo in un obiettivo o in un progetto da raggiungere? Creeremo un’altra idea immaginaria o divinità? Per me la libertà è la condizione in cui l’individuo lotta per conquistare sempre più caratteristiche della vita caotica, che gli sono state tolte dal giorno della sua nascita, e per distruggere i responsabili (esseri o idee) che ostacolano il corso verso questa direzione. Non userò il concetto di libertà come un’entità o come qualcosa di palpabile, che è un concetto assoluto con una destinazione finale o una condizione finale.

Ho menzionato il nichilismo nel prologo di questa rivista. Il nichilismo è la negazione di tutto quello che non senti come tuo in quello che ti circonda. E’ vedere chiaro da un punto di vista non-ottimista, indifferente, gli aspetti dell’esistente che cercano di donare il soffio della vita o gestire una realtà che è diventata una gabbia. Si tratta di vedere col disgusto e l’odio gli aspetti dell’esistente che cercano di espandere la mostruosità che hanno creato, e che si regge su così tanti cadaveri che puzza di ptomaina, anche se si impegnano di celarlo. E’ l’attacco a ogni unità immaginaria delle masse sociali e masse materiali. E’ l’attacco a ogni catena del pensiero, come la moralità, e a ogni concetto spettro che perseguita la coscienza dell’individuo, chiedendogli la realizzazione degli obiettivi. E’ l’attacco a tutto quello che può essere insediato e mantenuto come sacro. Il nichilista è colui che riconosce che questo mondo addomesticato (società, Stato e civiltà) è una gabbia per l’ego. E’ colui che guarda alcune volte col sarcasmo e altre con l’odio questo mostro, che è la massa con i loro ideali. Il nichilismo può essere un’emozione e un modo di pensiero critico della negazione. E’ l’abisso dell’individuo stesso, ma getta anche nel nero abisso tutti gli spettri, costrutti della società. Questo è connesso all’egoismo. L’egoismo è la manifestazione dei desideri interni dell’individuo. L’egoismo è la realizzazione e l’attualizzazione dell’esotericismo e dell’unicità dell’individuo. Non instaurando una nuova entità come qualcosa di definitivo e completo, ma piuttosto distruggendo tutto questo che detiene il potere sull’ego altrui. Collocando l’individuo stesso sopra di tutto, come una ed unica individualità, che solo la sua coscienza può controllare. La coscienza egoista non sacrifica l’individuo per nessuna idea. Si tratta del fuoco che mantiene in vita una persona che si regge sui propri piedi dopo aver rigettato ogni unità sociale. L’individuo vive per sé stesso e per la soddisfazione propria, e per nessun altro come obbligo. Avendo rigettato ogni ruolo o richiesta degli spettri (o dell’Uomo o della Natura) dalla fogna sociale, sceglie da solo le proprie relazioni con gli altri individui (umani o non), e si lancia come un falco all’attacco contro la civiltà. Non deve niente a nessuno e deride tutti gli ideologi che credono nelle grandi idee sull’umanità, anarchia o qualsiasi altra cosa posta sul trono come un valore che può essere rivendicato moralmente.

Perché non credo nell’Umano? Perché non credo che la specie umana possieda delle caratteristiche che sono di per sé “buone” e che sono state soppresse dal sistema, come dallo Stato o dalla civiltà. Cioè, non penso che i “semplici” cittadini siano degli “innocenti”, estranei a questo mondo che annichilisce la vita e i desideri. E non lo sono neanch’io. Dall’altra parte, non penso neanche che ogni umano possieda delle caratteristiche di per sé “cattive”. In poche parole, per me questi residui morali del “buono e cattivo” semplicemente non esistono, perché non definiscono le caratteristiche degli umani e, ovviamente, nessuna specifica caratteristica umana può essere definita in modo generale. Se mi rivolto contro l’Umano è perché rappresenta la catena con cui la società ha legato l’individuo alle varie cause, e soprattutto all’essere. Non perché guardo all’umanità come ad un insieme. Dall’altra parte, critico la massificazione dell’umanità in senso dell’odierna dominazione su, letteralmente, ogni cosa sul pianeta, e quindi riconosco in questo modello il nemico. Naturalmente, odio e aborro il modello antropocentrico dell’umano e per questo mi rivolto contro di esso. Contro chi mi rivolterei verbalmente e contro chi fisicamente, questo è un’altra questione. Per me non è una questione di moralità, ma di scelte personali. Quindi, secondo me, l’anarchico dovrebbe prima di tutto chiarire questa questione nella propria mente. Da dove provengono le catene della mente e del corpo? Forse dagli animali non-umani o dalla terra? Chi ha creato le istituzioni, la moralità, gli Stati, la civiltà? O ci sono persone nate per esercitare il Potere, o per essere qualsiasi tipo di leader in questo mondo, e quindi dovremmo rivoltarci solo contro di esse? Perciò penso che chiunque si sia posto queste domande si sarà anche liberato dalle pesanti catene. Per questo considero ridicolo che molti anarchici ancora parlano dell “umano” (come qualità), o cos’è “umano”, e in generale per determinare le qualità comportamentali come di per sé “buone” e “cattive”. Penso che sia senza senso e inconsistente. Per me rappresenta un errore anche vedere nell’Umanità una unità di specie. “L’umano” è sempre stato, e continuerà ad esserlo, in conflitto con l’individuo egoista. I suoi valori morali si scontreranno sempre con l’indipendenza di questi residui individualisti. Purtroppo, questa piaga sopravvive ancora in numerosi anarchici e li fa credere in un obiettivo superiore basato sugli spettri, come lo è il valore dell’Uomo.

Sono anche molto distante dalla mentalità che concepisce noi stessi con la “questione umana”. Per me l’antropocentrismo è una catena gigante con cui la persona si lega ad un mondo non-esistente, e in un certo modo la isola da molte altre possibilità. Questo è la trappola del mondo antropocentrico. E’ un tumore della mente provocato dalla civiltà, ma la maggior parte degli anarchici non lo riconosce così facilmente. Considero antropocentrici anche molti eco-anarchici, per non illuderci. Per definire cosa intendo per antropocentrismo dirò che prescinde il solito modo di concepirlo, cioè ponendo l’essere umano come centro della terra al quale tutto il non-umano dovrebbe sottomettersi. Per me l’antropocentrico è anche colui che cerca di definire tutto all’infuori dell’umanità con degli termini eticamente oggettivi, creati dalla società umana addomesticata. Non sto cadendo adesso nella trappola del moralismo, e in nessun caso sto dicendo che l’individuo che appartiene alla specie umana non è degno di avere una propria opinione e delle teorie sul mondo esterno, e quindi di attendere delle entità deterministe che lo guidino. Se le teorie e le percezioni si dischiudono dall’interno, da un’individualità che nega i ruoli, come lo è “l’Umano”, perché un costrutto sociale, questa individualità non creerà dei nuovi ruoli o non porrà nulla all’infuori di sé come valore morale. Cioè, ad esempio, a me il biocentrismo e l’ecocentrismo sembrano delle parti integrali dell’antropocentrismo. Si tratta di un antropocentrismo mascherato che può veramente convincere che non lo è. Ci sono due sistemi di etica deontologica che operano come codici di comportamento e di definizione verso gli animali non-umani, la terra e anche verso gli umani, creati dalle assi centrali della percezione umana addomesticata, senza la critica dell’identità Umana o dello spettro della Natura Umana. L’antropocentrico è per me anche colui che non combatte innanzitutto per sé stesso, ma con l’obiettivo di salvare gli animali non-umani o la terra, portando una tonnellata di altre catene nella sua mente. Qualcuno potrebbe obiettare che questo è l’esatto contrario dell’antropocentrismo, ma si sbaglierebbe, perché qua sono state preservate le caratteristiche dell’essere umano come privilegiato, liberatore o come strumento di un essere superiore, della Natura che chiede “giustizia”, propenso all’eroismo, a causa del pensiero civilizzato. Per me l’antropocentrico è anche l’ottimista convinto che ogni cosa su quale posa le mani, per cambiare qualcosa (per “il bene superiore”), sarà necessariamente positiva per lui o per gli altri esseri, accettando, inconsciamente, di porsi in questo modo al centro. Azione e interazione esisteranno finché esiste la vita. Il punto è che ognuno dovrebbe essere cosciente che ogni cosa ha delle conseguenze. Quindi, cosa si rivelerà positivo o negativo per qualcuno dipenderà dal livello di incatenamento esterno o interno di ognuno. Il fatto è che non si dovrebbero creare ruoli di comportamento, bensì distruggere ogni sistema e autorità iniziando da sé stessi. Perché finché questi esisteranno il bisogno della moralità aumenterà. E questo bisogno è una sepsi esoterica. Penso che dietro l’etica sistematizzata l’individuo dovrebbe scoprire le sue verità personali soggettive (senza investirle di ideologia) attraverso il collegamento della teoria con l’azione. Non esiste la verità oggettiva. L’antropocentrismo, l’ecocentrismo, il biocentrismo, sono tutte delle verità oggettive. Anche l’egocentrismo, in senso di possedere degli elementi specifici immutabili, presenta una forma di oggettività e quindi una catena.

Quindi, dato che lo sfruttamento degli animali non-umani e della terra, o l’indifferenza verso gli umani, contrastano con la mia estetica e la mia critica, e non mi permettono di godere del mio ambiente, ho preso la via del potere. Del potere della vita. Della situazione di vivere. Nel modo più spontaneo che possa essere e nel modo più aggressivo verso ogni forma di autorità. Oltre le norme e le regole. Sono con ogni animale, umano o non-umano, che vuole combattere contro ogni catena, sia fisica che morale, politica, sociale, culturale, con un unico scopo. La propria vita. Nel modo più primordiale e più lontano possibile dalla società dello spettacolo. Senza vivere nell’illusione di cambiamenti drastici contro la megamacchina o la stupidità umana, perseguo momenti di auto-realizzazione. Non credo che si arriverà presto al collasso della civiltà, e anche se dovrebbe succedere in questo istante a causa dell’esaurimento di risorse naturali, mi chiedo quanti umani cercherebbero un modo civilizzato per arrampicarsi nuovamente sul trono (quando uso la parola civilizzato non mi riferisco al modo in cui le masse civilizzate utilizzerebbero il mondo, la civiltà è violenza sistematizzata, fisica e pneumatica). Forse i disastri fisici potrebbero distruggere le parti materiali della civiltà, ma non voglio addentrarmi nei dettagli per evitare che il testo si trasformi in un monologo monolitico, e non ho neanche nulla a che fare con il determinismo. In più, non parlo da nessun punto di vista che crede in qualsiasi significato della vita. Lascio le analisi universali agli scienziati, la cui “intelligenza” ha contribuito alla creazione di questo mondo di gabbia razionalista del progressismo, e anche a tutte le specie di religiosi o spiritualisti, chiunque essi siano per me non fa differenza.

La civiltà oggi è una struttura sociale altamente sistematizzata, che tende ad un’urbanizzazione sempre maggiore, ad una velocità immensa, interconnessa con il rapido avanzare tecnologico, che ha dimostrato il suo dominio sull’intero ambiente della terra. La civiltà addomestica. Quando nasci sotto il regime dell’addomesticamento diventa difficile riconoscere le sue strutture, decostruirle e negarle nella tua vita. Però, non impossibile. Penso che dovremmo, nonostante tutto, continuare, tutti noi che vogliamo distruggere sempre di più la civiltà nelle nostre menti e nei nostri corpi. Siamo tutti animali. Possiamo scegliere se essere degli animali selvaggi (nel senso dell’unicità e della negazione specista, che si oppone ai valori e alle priorità morali). Nonostante questa vita sistematizzata, fatta di regole, che sopprime ogni traccia di unicità e di desiderio di vivere per godersi la vita, e senza così tanto dipendere dal materialismo e dalla tecnologia, che rappresentano tutto nell’odierno mondo capitalista, mosso dal profitto. E vivere per sé stessi e non per essere parte di qualsiasi sistema, e non per dipenderne fisicamente o pneumaticamente. Non per staccarsi dall’ambiente naturale e vederlo come un’immagine. Per me, l’immagine è quella che noi viviamo all’interno delle città. La civiltà crea solo dei riflessi di vita. Questo ha trasformato tutta la vita in merce. Gli enormi edifici mi tolgono l’aria, annunciandomi la presenza dell’autorità che annega la vita. Qualcuno una volta mi disse che gli edifici non sono simboli dell’autorità. Beh, per me lo sono. Sono le fortificazioni dei civilizzati nelle loro gabbie. Coloro che hanno sottomesso lo spettro che chiamano “natura” e adesso si sentono così sicuri della propria superiorità e del dominio, cercando sempre di assicurare una normale mantenimento della civiltà con i sempre nuovi strumenti tecnologici, mentre smetteranno di offrire i beni naturali. La tecnologia è un nemico perché è inestricabilmente connessa con la favola del “progresso” e con i falsi bisogni creati dalla società, e l’unica cosa che può offrire è una imitazione della vita e un riflesso di quello che viene definito, dalle masse civilizzate, “la vita normale”. Inoltre, la tecnologia ci offrirà sempre più strumenti di controllo o di repressione, e sarà molto più di un’arma nelle mani di ogni Stato, una parte legale dell’esistente. Con ogni sviluppo della tecnologia la libertà di ogni individuo sarà sempre più ristretta. La tecnologia rappresenta anche un’enorme aspetto dell’economia, che a sua volta rappresenta un’enorme parte di ogni meccanismo statale. Ma quando vieni su questo mondo, dentro questo addomesticamento, è estremamente difficile comprenderlo. Soprattutto per quelli che nascono nelle grandi città, è troppo difficile per loro comprendere il mondo oltre a questo. Il cemento diventa più sicuro dell’ambiente “naturale”. La cosa più importante, ovviamente, per ognuno è non permettere di diventare “naturale”, ma di conservare l’autorità e il sistema sugli individui. In qualunque ambiente uno possa trovarsi è meglio che comprenda prima di tutto questo. Gli Stati, le società, le civiltà, tutto questo deve essere demolito. E sepolto in profondità per l’ascesa dell’individuo libero. L’unico animale non civilizzato. In che modo ognuno si muoverà verso questa direzione della de-civilizzazione, attaccando simultaneamente tutte le strutture della civiltà che sistematizza e controlla la vita, dipende solo da lui. Non sto scrivendo questo testo perché ho qualche soluzione da offrire, ma sto solo condividendo degli interrogativi che potrebbero sviluppare delle idee e aprire un dialogo attraverso la teoria e l’azione. Dall’altra parte, non mi permetterei di giudicare, come un moralista, colui che abbandona il mondo antropomorfo per andare a vivere in montagna o in foresta. Non lo chiamerei codardo (perché questo è l’unica cosa che non è) e non direi che ha abbandonato l’anarchia. Senza le illusioni di una vita “naturale” o di un’unione con la “natura” può essere semplicemente una scelta. Per non ripetere ancora, l’anarchia include metodi sperimentali che si concretizzano nel presente, non in una “lotta” tassativa per raggiungere una situazione finale. Ovviamente, se non combatti attaccando adesso, domani la civiltà ti consumerà ancora di più. E qua apro un’altra questione. E’ più libero colui che quando viene preso dal nemico rifiuta di utilizzare ogni strumento civilizzato della legge e si trasforma in un ostaggio eterno nella galere dello Stato, o colui che utilizzerà ogni strumento offertogli dai giochi civilizzati dal nemico, ingannando il nemico con lo scopo di soddisfare almeno il proprio aspetto fisico di libertà? Forse non è neanche una questione da mettere in confronto, ma penso che questo chiaramente ha a che fare con la coscienza e il desiderio di ogni individuo, e come lui porrà il suo percorso nella guerra contro l’esistente. In ogni caso, non dovremmo idoleggiare i compagni che hanno scelto la prima strada, come se si trattasse di una fine “naturale” per ognuno che si scontra con l’esistente, perché in questo modo creiamo ideologia e idolatria. Ovvio, penso che ci debba essere rispetto sia verso di loro, che verso le scelte che hanno fatto. Però, penso anche che dietro questo esista un’idea “maggiore” di anarchia, e forse uno scopo “maggiore”. Penso che chiunque abbia trascorso abbastanza tempo della propria vita accanto ad un ambiente non fatto dall’uomo e abbia sentito le emozioni che può offrire, non può scegliere la prima via, considerando che forse mai più nella propria vita potrà salire su una montagna, camminare nelle vaste valli, perdersi nella foresta, sedersi sulle sponde del fiume. L’idea della gabbia forzata con le sbarre gli porterebbe via tutta l’energia vitale. Forse questo sarebbe la fine. Forse no.

Per quanto riguarda invece la parte intangibile della civiltà, voglio attaccare il modo civilizzato di pensare e gli ideologismi, come questo del “progresso” e della conservazione dell’istinto di sopravvivenza degli umani attraverso la civiltà materiale e la tecnologia, o addirittura la medicina. Inoltre, è anche troppo ovvio che non si tratta neanche di sopravvivenza, ma di auto-decostruzione e di creazione dei falsi bisogni. La tecnologia, la scienza e l’industria sono i perpetuatori del profitto, carburante del capitalismo, il quale non esisterebbe senza una massa umana di seguaci, legati ad esso dall’idea di Stato. Lontano dal modo di pensare che i primitivisti tendono di esprimere, io qua parlo del bisogno di mettere tutto sul tavolo e analizzare da nichilista. E non perché troveremo la soluzione per ritornare alle storiche società primitive, inoltre impossibile nel mondo odierno. Voglio sottolineare che, secondo me, se qualcuno vuole attaccare la civiltà dovrà prima attaccare e negare tutto quello che parassitizza nella sua mente, e proviene dalla società. Se la persona non ha negato tutte le istituzioni sociali, morali e i valori predeterminati, probabilmente finirà con l’anticivilizzazione moralista.

Che cos’è la società? Sono le relazioni di dominio (i ruoli sociali e i costrutti che governano le relazioni individuali), come anche tutte le istituzioni di governo e di dominazione caricate su una persona, nel nostro caso si tratta di un’organizzazione molto efficiente, di un modello capitalista sistematizzato all’interno di una moderna civiltà tecno-industriale, ossia di una definitivo carcere della vita. Dal momento della nascita, direttamente nella gabbia. Per me l’identificazione del problema non si ferma alla critica di questo modello sociale. Ogni modello di società sarebbe oppressivo per me, sia esso primitivo o moderno. Non mi interessa un’organizzazione sociale che va da qualcuno verso qualcuno. Non accetterò mai, in nessun caso, di mia spontanea volontà qualunque tipo di organizzazione sociale che decide per me o definisce il mio modo di vita. E neanche con chi. Perciò, non accetterei né una società anarchica né comunista o primitiva. Non delego me stesso a nessuno, a nessun sistema, né alla democrazia diretta né alle decisioni di tutti per tutti. Perché in questo modo l’individualità si troverebbe di nuovo incarcerata. Nessuno deve niente a nessuno, e se il raggruppamento che fanno non è basato sull’adesso, esigeranno un presupposto per tenerli legati in futuro, il che rappresenta una pesante catena e una delle più grandi forze della società. Se le relazioni che le persone scelgono non sono indirizzate a soddisfare prima e soprattutto i propri bisogni, allora queste persone sacrificheranno i suoi bisogni per soddisfare quelli degli altri. Anche se queste interazioni dipendono dal livello di affinità che le persone hanno raggiunto e quanto coscientemente una persona condivide i suoi bisogni con lo scopo di soddisfare i propri, e non per sacrificarli. Per nessuna idea, nessun ideale, nessuna persona. Se chiunque all’infuori della persona è qualcuno che essa ama o sente coscientemente affine, allora essa sentirà il bisogno di sostenerlo, ma sempre presupponendo che si tratti di un interesse personale. Il suddetto va applicato in ogni relazione tra individui liberi. Se le su menzionate relazioni o raggruppamenti non vengono creati secondo un completo cosciente desiderio dei partecipanti, allora saranno solo dei mezzi di appartenenza. Se non ci sono presupposti per questo tipo di relazioni allora la solitudine rimane il nostro l’unico compagno, e dovrebbe essere abbracciata con fierezza. E queste relazioni affogheranno comunque nella palude dell’alienazione se possiedono un qualunque prefisso sociale o si basano su un qualunque modello sociale. Tutti i ruoli sociali e i titoli che ci legano alla società vengono mutilati nella mente del nichilista. L’identità politica, la capacità civile, i ruoli di genere, la condizione sociale, la classe, l’umanità, tutto offerto al fuoco. Altrimenti non ha senso dire che siamo contro la società. Faccio alcuni esempi. L’immigrato o il lavoratore sono automaticamente dei ruoli sociali. Come anti-sociale voglio distruggere tutti i concetti di ruoli sociali e non riprodurli per le “lotte” e altre cazzate. Io vedo entità biologiche. Chiunque di loro presenti qualcosa in comune con me può condividere qualcosa con me. Dipende, naturalmente, dal livello di vicinanza. Tutti i concetti morali (o moralistici), come antirazzismo, antisessismo o antispecismo non sono cose mi riguardano, o che io userei come prefisso di una “lotta”. Perché collocano dei soggetti, ruoli e comportamenti socialmente domati, che ognuno dovrebbe seguire, e creano della vittime. Lo sbirro nella testa, questo terrificante sistema-sistemi, come la moralità, è qualcosa che crea le catene, non le distrugge. Se sei un anarchico anti-sociale, non necessiti di questi termini o di questo modo di pensare per rifiutare il razzismo, il sessismo o lo specismo. Ma io parlo solo per me stesso, non per altri. Se sei contrario alla società/civiltà non farai nessuna separazione essenziale basata sulla razza, sesso, specie, anche se dall’altra parte non chiuderai gli occhi davanti alle differenze parlando di “uguaglianza”. Penso che questo sia ovvio. Coloro che si uniscono, o si vedono, nella lotte degli immigrati (questo solo come esempio, perché ce ne sono degli altri quasi identici) creano una generalità intorno agli soggetti oppressi. Certi anarchici vedono sé stessi come dei “protettori” o dei “salvatori”, flirtando con le loro future marce idee sul comunismo o qualunque altro spettro che unisce i rivoluzionari. Se qualcuno ancora vuole parlare degli “esclusi” colpiti dalla “cattiva” società e fare delle analisi tra i ricchi e i poveri, creando umanitarismo, invece di negare la società dalle sue radici, allora si è intrappolato da solo nei giochi dell’autorità e della vittimizzazione. Quindi, dovrei io, per essere “politicamente corretto”, vedermi nelle lotte degli immigrati o dei lavoratori, o di qualunque altro oppresso ruolo sociale, che può riprodurre a migliaia di comportamenti autoritari, secondo me, o adoratori di spettri? Di quello stesso immigrato che dopo essere stato ospitato in un posto occupato, il giorno dopo sventolerà la bandiera del proprio Stato, che lo ha portato ad abbandonarlo nella ricerca di una “vita migliore”? Cosa ho io da condividere con una persona simile? Le generalità e la vittimizzazione sono per i deboli, per i ciechi o per i già morti. Le relazioni o le lotte tra gli esseri viventi non si costruiscono attraverso le unioni sociali, ma solo attraverso quelle personali. Non parlo di cose immaginarie. La pratica è quella che svelerà gli anarchici ancora una volta, e non delle stupide parole sull’unità, come reagirà lui/lei nella sua vita personale, nelle differenti e separate situazioni, a quello che gli/le accade di fronte, e non definendo gli individui attraverso le classi sociali o posizioni. Il cosiddetto “immigrato” è solo un essere umano. Non è qualcuno che a causa del ruolo assegnatoli dalla società diventa automaticamente per gli anarchici un soggetto rivoluzionario. Posso condividere qualcosa con lui, e posso anche non condividere nulla. Per questo motivo sarò sempre indifferente verso le unità delle lotte umane basate sulle tesi di qualsiasi soggetto represso o rivoluzionario. Le loro origini sono chiaramente sociali e non hanno nulla a che fare con l’anarchia. E’ chiaro che chiunque parli ancora dei movimenti non ha nulla da spartire con il mio modo di pensare. Loro vogliono appartenere a qualcosa di più grande. Loro lottano per una causa più grande. E anche se tutti loro parlano dell’abolizione dell’autorità, sembra infine che il significato di uno si differenzi molto dal significato di un altro. Perciò, la definizione dell’autorità inizia innanzitutto da come ognuno percepisce sé stesso. Quando una persona sente il bisogno di appartenere a qualcosa si troverà infine coinvolta con molti termini spettri, e si sottometterà al processo delle lotte unite, all’interno di una alleanza generale contro “l’autorità”. E qui tutto si aliena. I termini come “obiettivi” o “autorità” diventano degli spettri, non solo perché non uniscono ma, anzi, separano ancora di più.

La società è anche una sostanza materiale. E una parte di essa è la massa, unita in una non-esistente unità “entità”. Una volta qualcuno mia aveva chiesto “chi è la massa”. La massa è chiunque non pone in questione la propria alienazione, schiavitù, normalità. Chiunque segue le ideologie invece di sé stesso. Chiunque predica moralità invece di realizzare i propri desideri. Chiunque permette che la propria esistenza sia dominata dagli spettri. Onestamente, non me ne può fregare di meno della massa.

Chiunque possieda una coscienza contro la società e la civiltà avrà rigettato dalla sua testa ogni spettro sull’uguaglianza, i diritti umani/animali o il riciclaggio, o qualunque altro mito civil-sociale. Chiunque abbia compreso che la vita va al di là della civiltà monolitica, e non è stato ancora consumato dal tumore urbanistico delle città, o non è rimasto a nuotare nelle acque paludose dell’antropocentrismo, prenderà una boccata di aria fresca essendosi liberato da queste tossine della propria mente. Attaccherò lo spettro dell’uguaglianza perché si tratta di un termine astratto moralista che richiede l’esistenza di un sistema morale o di diritti. Nessun individuo è uguale all’altro. Questo non significa che faccio una distinzione di “superiore – inferiore”, ma significa che ogni individuo è unico e tutto un mondo di per sé. Per questo ogni sistema vuole togliere ad ogni individuo, inventando miti sull’uguaglianza (la robotizzazione, così non puoi esplorare i tuoi poteri) o i diritti creati da ogni autorità per convincerti di non essere un prigioniero o di avere delle scelte. Gli anarchici non dovrebbero mai cadere in questo tipo di tranelli dei termini. L’unica uguaglianza che mi posso immaginare è forse quella biologica, che tutti gli individui sono nella condizione di vivere. Ma, se uno pensa al modo come ogni individuo vive la propria vita allora non esiste nessuna uguaglianza, perché nuovamente dipende da quanto uno si assume la responsabilità cercando di vivere secondo i propri termini. Preferirei dire che l’essere umano rappresenta l’animale più debole, perché l’abilità del pensiero sistematizzato e il razionalismo hanno raggiunto un livello con la massificazione e il “progresso” letteralmente parassitando la terra e tutto quello che la abita. E adesso cerca di combatterlo parlando di estinzione, secondo i ritmi odierni, o con i metodi riformisti, o con modelli radicali e la consacrazione del “non-civilizzato”. Ma io nego ogni futuro programmato che distrae dalla realtà presente. E’ necessaria un’azione catastrofica senza presupposti di una nuova creazione. Basta con la creatività. La distruzione è la creazione di nuove possibilità. Io ritengo che la persistente teoria sul salvataggio della terra, con l’importanza che può sembrare, porta ad una stagnazione, perché questo mondo sistematizzato dentro la società, lo Stato, la civiltà, non permette una vero movimento verso una simile direzione. Perciò, se l’individuo ha compreso questo rimane la sua un’unica scelta. Attaccare e distruggere. Per quanto riguarda la maschera “verde” che lo Stato ha indossato e il riciclaggio, posso avere solo un atteggiamento ostile, perché si tratta di parti del sistema creati dal sistema per lo stesso sistema. Questi giochi economici con la faccia ambientalista possono contribuire solo alla perpetuazione della megamacchina. Non parlo da nessun punto di vista ambientalista, penso che sia ormai chiaro.

Ovviamente, potrei dire che nella mia lotta contro l’esistente considero tutti gli animali non-umani molto vicini a me. Non come la generalità di tutti gli animali non-umani, naturalmente, perché anche tra gli umani odio o disprezzo certi gruppi o individui, lo stesso chiaramente succederebbe con i non-umani sotto differenti condizioni di coabitazione e di vita. Ma, date le circostanze odierne e la realtà presente applico quello primo. Sono fiero di considerare come dei compagni gli animali non-umani, la forma di vita non civilizzata (che purtroppo l’animale umano ha civilizzato su larga scala, senza però riuscire ad assoggettarla, perché la spontanea coscienza di vita troverà sempre dei modi per ribellarsi), perché si tratta di individualità senza nessuna coscienza politica, individualità che vivono per vivere, e anche se si possono notare alcuni comportamenti autoritari tra i vari gruppi degli animali non-umani è solo a causa degli individui e non perché esiste qualche tipo di autorità strutturata civilizzata. La mia esperienza personale ha formato la mia coscienza verso questa direzione. Non pretendo di “comprendere” gli animali non-umani o che loro “comprendono” me. E’ l’interazione senza i ruoli che fa la vera differenza. Quando agisci come un’individualità, senza i valori predeterminati o identità, puoi sentire sensazioni differenti. Riesci a vedere cose differenti. Non deve sempre essere che devi distruggere quello che non riesci completamente a capire. L’amore e rispetto sono cose che veramente significano qualcosa all’egoista quando li sente. Delle sane relazioni tra gli animali umani e non-umani possono chiaramente svilupparsi, senza alcuna designazione di prefissi sociali e residui specisti. Il livello di realizzazione per ognuno di noi dipende da cosa lo determinerà. L’ambiente in cui questo si realizza non gioca nessun ruolo, sia fuori o all’interno della civiltà, quando i ruoli sociali e l’antropocentrismo vengono decostruiti appaiono delle altre prospettive. Il problema, ovviamente, rimane ancora la prigione materiale. Cioè, le relazioni tra gli animali umani e non-umani all’interno di un ambiente urbano presenteranno le stesse problematiche come tra gli umani. L’ambiente urbano-prigione spreme la vitalità e restringe automaticamente le possibilità. Sono sicuro che i centri di controllo della vita avranno “offerto” molte volte sensazioni di depressione a coloro che hanno sviluppato una critica simile alla mia. Avranno sentito che l’appartamento è una gabbia all’interno della prigione, che è la città. Dentro la civiltà siamo tutti nelle gabbie. Gabbie che alcune volte sono visibile e altre invisibili. Dentro la città l’individuo si estranea completamente dall’ambiente della terra e dalle interazioni con altre forme di vita. Vive nell’oblio del mondo antropomorfo fatto di modernismo e tecnologia. Scorda cosa c’è al di là dei confini della metropoli. Gli umani, e chiaramente gli anarchici delle città, non incontrano nessun’altra forma di vita, soprattutto libera, eccetto i cani che tutti noi sempre vediamo al guinzaglio. Una cosa particolarmente inquietante, però spesso inevitabile dentro le città-prigioni. L’alienazione dalle altre forme di vita fa dimenticare all’individuo l’esistenza degli animali che sono a loro volta degli individui, e se li immaginano solo come una forma di divertimento dello spettacolo-prigione, come quelli negli zoo. Cioè, carceri degli animali non-umani.

Dunque, cos’è la liberazione totale? E’ uno sforzo costante dell’individualità di liberarsi da ogni tipo di catene. Del corpo e della mente. E di contribuire alla liberazione degli altri individui che considera compagni. Il punto d’incontro della coscienza nichilista con la coscienza anticivilizzatrice. Io, come anarchico, considero la tendenza nichilista e la tendenza anticivilizzatrice come parti integranti della lotta anti-sociale e individualista contro l’esistente. Utilizzo il termine di lotta in modo chiaramente egoista, e non come qualcosa che ha un inizio e una fine. Più alto è il numero di combinazioni e di interazioni tra le due tendenze (con la parola combinazione mi riferisco all’evoluzione del pensiero e alla corrispondenza delle azioni, così che non si possono creare delle rigidezze), migliore sarà la considerazione e l’individuazione degli obiettivi, per capire meglio di cosa stiamo parlando. Ad esempio, per me non esiste pensiero anarchico che non ha mai fatto una considerazione sul pianeta e sugli effetti che la civiltà ha creato, come non esiste pensiero anarchico che considera e analizza il pianeta come un’entità attraverso la moralità. Tutto quello che precedentemente ho detto nasce da una percezione nichilista. Il pianeta sarà là (se non verrà distrutto prima che lo facciano i parassiti della moderna civiltà umana), è l’ambiente che mantiene ogni forma di vita sul pianeta, che ci fa respirare. Qual è il senso dello scopo di creare dei “clienti” più vicini, o di essere incatenati alla mente che vuole definire sistematicamente i termini di “buono” e “cattivo”, o determinare sistematicamente i valori o addirittura gli idoli? Come nichilista voglio dire che il pianeta non può essere completamente determinato dagli umani, e che la sua caotica sostanza sarà sempre svelata in un modo differente. Talvolta ci può accogliere e offrirci la vita, e altre volte ci può strappare le carni e offrirci la morte. E’ quello che è, e dopo può essere qualcos’altro. Lontano dalle logiche di ogni sistema. E’ qualcosa che a volte ameremo, e le altre potremmo odiare. Le relazioni dei nichilisti non sono determinate da alcun valore o moralità stabilita pre-esistente. Avendo compreso che la bufala sulla Civiltà e sul “progresso” ci ha resi dei prigionieri del nostro stesso agire faremo tutto il possibile per distruggere “l’illuminazione” che questa mania antropocentrica ci ha “offerto”. Potremmo dire che forse gli “incivili” di quest’era siamo noi. Quei anti-sociali che lottano con sincerità, inventiva, odio e coscienza con ogni mezzo possibile a disposizione (il quale è sempre obsoleto o sproporzionato in confronto a quelli che, purtroppo, possiede il nemico), o forse no. Per essere onesto, penso che la sozzura della civiltà ha contaminato tutti, e che nessuno ne sfugge. Non voglio con questo dire che dobbiamo cercare di pensare come i “primitivi” e demonizzare tutto, perché questo ci porterebbe ad un punto moralistico. Ossia, se mi piace la musica creata dai mezzi tecnologici, cado forse in una contraddizione e non rigetto veramente la civiltà? Naturalmente no. Ma neanche cado in una compiacenza, non mettendo, dunque, costantemente in questione il nostro dipendere dalla civiltà, ma cerco quindi nuove prospettive liberandomi dalle consuetudini. Lontano da impegni e illusioni ideologiche, dei quali si nutrono molti esponenti dell’anticivilizzazione, la liberazione totale qui è la cosciente ricerca individualista delle relazioni con gli altri animali e la terra, lontano da ogni precetto. Questo è la risposta per color che cercano la “salvezza” del mondo (chiunque essi possano essere), la quale è, chiaramente, una percezione antropocentrica nata da altre preesistenti percezioni antropocentriche.

E a questo si collegano i sentimenti misantropici, i quali quanto limitativi possano sembrare su una scala socio-culturale, che non mi riguarda affatto, tanto sono liberatori su una scala di ricerca esistenziale. La consapevolezza della trivialità di vita è percepita come un valore in sé, e perciò la sostanza umana all’interno te la fa aborrire attraverso un modo antropocentrico di pensare e di essere, che porta all’esaltazione dell’umano come valore morale o come centro dell’evoluzione. E in questi momenti vedi l’umano pensare che può raggiungere attraverso uno scopo un obiettivo a lungo termine, di qualunque scopo si tratti, perché come essere razionale e pensatore pensa che può creare, cambiare, aggiustare il mondo, per adattarlo, aggiustare le vite degli animali non-umani per adattare il mondo e per adattarlo. Momenti di pura arroganza e ignoranza. Momenti di ideologia. “L’umanità”, per me, come concetto parassita la mente e come entità parassita con la massa il modo di vivere. Da questo nasce la mia misantropia. Da questo bisogno umano ingannevole di accettare il concetto di Umanità nel modo suddetto, e di banalizzare l’intera vita, l’esistenza umana in sé, e degli altri esseri, con la sua inclinazione a contribuire alla perpetuazione di questa situazione sistematica. Da non voler accettare che la vita è caotica, e che perciò non ha nulla a che fare con nessun tipo di ordine, e che gli umani sono parte di questo, a prescindere da quello che pensano. Sento un disprezzo per la maggior parte degli umani, lo dico chiaramente e non sento nessun bisogno di sopprimere quello che sento, perché è importante come lo è il pensare.

Ho letto delle critiche sulla misantropia (soprattutto contro l’anti-umanismo) che contrappongono la predeterminata posizione della natura umana, e non lo spettro della natura umana in sé, opponendosi solo all’essere, vista come “cattiva”. Prima della nascita di queste critiche c’era una base dietro di esse fatta dall’idea che il capitalismo è la super-struttura che mantiene la dominazione e utilizza tutto il “bene” degli esseri viventi e della terra come materiale grezzo. Sì, certo, il capitalismo è la mostruosità economica e un sistema che mercifica tutto, altrimenti non sopravvivrebbe, e son verrà distrutto la commercializzazione della vita non si fermerà, letteralmente, mai, ma si tratta di un’entità? Perché le critiche sbagliano a decostruire il capitalismo come un’entità, come qualcosa che esiste là in mezzo al nulla, sopprimendo l’essere umano morale. Quindi, da dove nasce il capitalismo? Da chi è mantenuto e chi contribuisce alla sua fondazione? Non è forse stato creato sotto l’ideologia di libertà e del benessere umano? Perciò, non posso odiare e cercare di distruggere il “dio” capitalismo come entità, finché sono intrappolato nella dualità, con gli occhi chiusi, senza poter vedere la sostanza di questa falsa identità. Quindi, se voglio distruggere le illusioni e liberarmi dai valori impiantati, attaccherò l’idolo dell’umanità. Attaccherò la sostanza umana, non l’umanità in totale, composta da individui differenti, se non voglio illudermi con i narcotici della mente, come lo è l’ideologia.

Allora, alcune analisi sono state fatte, e adesso arrivano le domande. Qualcuno mi chiederà, quindi tu credi in un’idea realizzabile della liberazione umana, degli animali non-umani e della terra dalle catene che gli animali umani li hanno messo? La risposta è che alquanto io possa credere in un’imminente collasso della civiltà, tanto credo che una tale idea, che sarebbe la prima di tutte le utopie, per me non esiste. Le idee olistiche sono problematiche, come ho già detto in questo in testo. Forse solo attraverso una distruzione fisica le cose subirebbero un immediato cambiamento radicale. Ma qua parliamo solo della sostanza materiale delle cose. E le catene esoteriche? Le catene della mente. Le catene della coscienza. Le catene del desiderio. Si tratta di una questione enorme. L’essere umano, legato internamente da queste catene, non può essere capace di liberare un’animale non-umano del suo ambiente se prima non ha liberato sé stesso. L’attivista che libera gli animali non-umani dona loro la libertà fisica, ma lui stesso non è capace di decostruire la moralità dello schiavo, e di conseguenza il suo fondamentale legame con la moralità da padrone, come una catena interiorizzata che mantiene la dominazione e quindi riesce solo a fare il cerchio raggiungendo il punto di sbattere ogni volta la testa contro il muro. E con qualunque moralità esso cercherà di entrare nella questione cadrà solamente nell’antropocentrismo, perché chi tenta di analizzare gli animali non-umani e la terra basandosi sull’umanità come un’insieme, e sviluppa per loro concetti stabilendo termini di comportamento e di valutazione, assegnando quindi ruoli, raggiunge sempre lo stesso risultato. Cioè, il prigioniero dello spettro di Umanità cadrà nella trappola della reclusione anche da un punto di vista misantropico. Perché con queste catene interiorizzate la persona non combatte per sé stessa, ma per qualunque altra cosa. E’ molto importante essere coscienti da dove iniziamo la guerra. Non penso che esiste un senso di vita in generale, ma solo quello che ogni coscienza riesce a creare personalmente, per questo penso che ogni individuo dovrebbe cercare costantemente di distruggere ogni catena, esterna o interna, per il piacere della via infinita di liberazione totale dell’individuo stesso. Questo è il mio significato, cercare di dare un significato alla mia vita qua ed adesso vivendola fino a dove il mio potere riesce ad estendersi, senza rincorrere o cercare gli spettri. Quindi, estirpare le catene della società e della civiltà da sé stessi e agire. Quando parlo della liberazione totale esprimo il desiderio di caos, come anche la negazione di tutte le catene fisiche e degli spettri di coscienza, che non permettono al potente ego di soddisfare i propri desideri e di godere del proprio ambiente. La liberazione totale è l’individuo stesso…

Gettare via tutti i residui del “buono” e “cattivo”, del “giusto” o “sbagliato”. Stare sull’orlo dell’orizzonte e fissare il nulla. Danzare l’eterna danza del caos con gioia.

-Archegonos-

“Total liberation as an egoist and iconoclastic consideration”, PAROXYSM OF CHAOS, #1, 2016

L’ATTIMO E IL TEMPO. A proposito di insurrezione e rivoluzione di Michele Fabiani

 

 

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Proponiamo una riflessione/dibattito nata dall’articolo di Alcuni Anarchici Udinesi

di cui allego il link :https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/05/02/udine-2-5-16-insurrezione-o-rivoluzione/ intorno alla dicotomia insurrezione o rivoluzione.

Questo è il contributo del compagno Michele Fabiani 

Non ci si può mai bagnare due volte nello stesso fiume

Eraclito

L’identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stessa una contraddizione.

Hegel

L’attività della distruzione è un’attività eminentemente creativa

Bakunin

 

Leggo sempre con molta attenzione gli scritti degli anarchici di Udine, mai banali e di cui condivido praticamente tutto. Questa volta invece il contributo pubblicato di recente da questo blog dal titolo “Insurrezione o rivoluzione”, a firma “Alcuni anarchici udinesi” mi trova in gran parte in disaccordo e mi piaceva discuterne pubblicamente. Lo scritto ripropone infatti la dicotomia fra rivolta e rivoluzione che a mio avviso non ha alcun senso. Non è una novità, il primo a parlarne fu Max Stirner. La novità è che da un po’ di tempo questa contrapposizione è tornata in auge nell’anarchismo d’azione, proporzionalmente all’attendismo infinito di un certo millenarismo rivoluzionario. Sull’argomento, immodestamente, mi sento preparato, essendomi esercitato in un anno e mezzo di discussioni al passeggio. Il passeggio non era proprio il peripatos della scuola di Aristotele, ma anche noi eravamo dei filosofi peripatetici che passeggiando discettavamo dei più alti (e dei più bassi) argomenti: non da ultimo il discorso su insurrezione e rivoluzione.

Per dirla in termini estremamente banali, io ritengo, come disse Ginetta Moriconi, che la rivoluzione è la guerra e le insurrezioni sono le battaglie. Per dirla in termini più profondi, è il grande mistero dell’Attimo e del Tempo. Un mistero insolubile secondo la vecchia filosofia greca (con poche eccezioni). La logica classica infatti non ci dà alcuna spiegazione di come il “qui” possa sparire, andarsene, e venire fuori qualcosa di altro. Si pensi ai paradossi di Zenone. In questo senso i “materialisti” erano i più reazionari fra tutti i filosofi. Un Aristotele per esempio sosteneva che gli schiavi erano degli “strumenti animati”. Non uno scivolone occasionale, ma una affermazione del tutto coerente per un pensatore che credeva che ormai tutto era stato scoperto e che l’uomo doveva solo sistematizzare le conoscenze. Insomma sé così vanno le cose, allora così devono andare. E’ naturale, è giusto, è immutabile. Invece il mondo muta, per fortuna. Tutto scorre. E muta soprattutto grazie alle insurrezioni di quelli che il mondo così com’è non gli sta bene; vero motore della storia. Le rivolte dei messeni schiavi degli spartani, l’insurrezione di Spartaco, la propaganda caritatevole ma anche armata dei cristiani, le invasioni barbariche. Quando il re barbaro Alarigo fece il primo sacco di Roma, liberò, o meglio si liberarono da sé con l’occasione, centinaia di migliaia di schiavi. Hai voglia a dire loro: ma tanto la società futura sarà anch’essa autoritaria, noi siamo antisociali.  E sti cazzi! Io se posso me ne vado da Roma porco Giove – avrebbero risposto loro. E come dargli torto.

Secoli di insurrezioni e fino ad una grande rivoluzione “mondiale” che seppellisce e letteralmente saccheggia il mondo antico. Poi i nuovi oppressori, fanno finta di non sapere le loro origini, o dopo un po’ se ne dimenticano d’avvero, e ricominciano con la storia dell’immutabilità: imperatori, re, duchi e conti; Papa, cardinali, vescovi e preti tutti stanno lì da sempre per volere di Dio, dicono loro; addirittura riscoprono Aristotele nel tredicesimo secolo per avere una ideologia che giustifichi la loro oppressione. In realtà prima il povero Tommaso d’Aquino lo perseguitano perché Aristotele era considerato un filosofo mussulmano (dato che erano stati gli arabi a riscoprirlo), poi capiscono che la sua filosofia era la più adeguata per i loro interessi di oppressione materiale e morale, la riscoprono e chi osò contestarla mal glie ne incolse.

Di nuovo rivolte e rivoluzioni, e di nuovo gli oppressori moderni che ricominciano con sta favoletta dell’immutabilità. Tutti i primi teorici del capitalismo – i cosiddetti economisti neoclassici – dicevano che il mercato ci sta da sempre, che questo è il solo mondo possibile. E anche di recente i filosofi leccapiedi dei potenti sono tornati alla carica con la favoletta della fine della storia. Ora mi auguro vivamente che anche gli anarchici non si mettano a dare man forte a questa ideologia da quattro soldi. Se questo discorso lo fa A-rivista (e lo sta facendo da un po’ di tempo: se avete le stesse posizioni, preoccupatevi) me ne infischio in quanto da tempo non li considero più in grado di dare alcun contributo rivoluzionario, ma se lo fanno dei compagni e delle compagne d’azione mi comincio a preoccupare per la piega teorica che l’anarchismo d’azione rischia di prendere. E siccome teoria e azione per gli anarchici stanno appiccicate – ed è per questo, prima di ogni altra cosa, che io sono anarchico – mi preoccupo ancora di più.

D’altronde la dicotomia fra Attimo e Tempo è superata anche in filosofia. Questa frattura così misteriosa per i filosofi greci è stata rotta già da due secoli dalla filosofia tedesca, la quale ci spiega come il superamento di questo momento e dei successivi, in eterno, nel tempo, avviene attraverso la forza della Negazione. E’ il nichilismo di Hegel. E’ il nichilismo del giovane Bakunin che dice che la distruzione è un’attività creatrice. Significa che questo momento di rivolta, così suggestivo per buona parte dell’anarchismo d’azione, non se ne sta lì da solo, ma cospira, nel senso proprio che con-spira, che “soffia-con” altri fatti insurrezionali, con altri attimi di ribellione, verso un vortice più grande: la rivoluzione mondiale. In questo si colloca, anche, la critica all’anonimato, che vorrebbe lasciare l’azione lì da sola, senza farla cospirare con altre azioni nel mondo (e nel tempo) verso la sovversione totale.

La critica all’attendismo di certi “rivoluzionari” è giustissima. Gli attendisti, oltre al fatto di essere spesso dei cagasotto sul piano personale, fanno lo stesso errore: separano l’Attimo dal Tempo, pongono la rivoluzione in un momento lontanissimo che da qui non si vede nemmeno. Però non è che allora anche noi rinunciamo alla rivoluzione! Che dispetto sarebbe?

I compagni di Udine poi citano la Spagna come esempio di rivoluzione che finisce per formare una nuova autorità, e fanno l’esempio della pena di morte nella catena di montaggio in fabbrica. Ebbene la Spagna è esempio non dei danni della rivoluzione, ma dei danni della rinuncia alla rivoluzione. La dirigenza della CNT-FAI si è lasciata ingabbiare dentro la logica frontista, sintetizzata dallo slogan: prima vincere la guerra e poi la rivoluzione; prima sconfiggere il fascismo e poi fare la rivoluzione. Il risultato è stato che la borghesia, per paura della rivoluzione, ha sabotato anche la guerra. Pensate che sono state privatizzate e restituite ai proprietari le fabbriche che gli operai in armi avevano espropriato nell’insurrezione del 19 luglio. Quell’insurrezione non la si è lasciata cospirare verso una rivoluzione, ma la si è fermata con la scusa dell’antifascismo. E’ la stessa porcheria fatta durante la Resistenza in Italia dal CLN: tutti uniti contro il fascismo, borghesi e proletari. In Italia ha vinto la democrazia borghese, in Spagna il fascismo borghese. Ma il risultato è stato lo stesso: con la scusa dell’antifascismo si ferma la rivoluzione. L’esempio della pena di morte in fabbrica è azzeccatismo, peccato che citato al contrario. La pena di morte non serviva mica a garantire l’ordine rivoluzionario, la pena di morte serviva a garantire l’ordine capitalista contro gli “incontrollados” che se ne fregavano della guerra a Franco e volevano continuare a distruggere le macchine, a fucilare i borghesi per strada, che volevano continuare verso la rivoluzione. Se c’è una cosa che ci insegna la Spagna, semmai, è che l’insurrezione (19 luglio) non basta, ma bisogna continuare fino a quando c’è un oppressore sulla terra.

Un’altra cosa la voglio dire sul sedicente programma rivoluzionario. Su questo bisogna evitare banalizzazioni. Persino un Marx – che non è sospettabile di anarchismo – nella prefazione del Capitale scriveva di non avere ricette per l’osteria dell’avvenire, ma di limitarsi ad analizzare la realtà presente. Quindi chi scrive programmini, tipo risiko, è un demente. Tra l’altro nemmeno a risiko il programma riesce mai come lo si immagina. Fare articoli contro chi scrive i programmi è come il pugile che si sceglie l’avversario scarso per vincere facile. Anche perché è evidente che nessuno ha mai realizzato i propri programmi nella storia. Non penso che i barbari che saccheggiavano Roma sapevano che sarebbe arrivato Carlo Magno e il feudalesimo. La verità è che chi è in catene cerca di romperle e questa azione è il solo motore della storia: gli oppressori, state tranquilli, non cambierebbero niente. In questa azione di distruzione, nasce sempre qualcosa, come un incendio lascia la cenere e le braci per un nuovo incendio. I programmi non li abbiamo, l’unica cosa che portiamo semmai è la benzina.

Per questo io ritengo che la dicotomia fra insurrezione e rivoluzione sia un errore gravissimo. Gli anarchici già ce ne hanno abbastanza di dicotomie: organizzatori-antiorganizzatori, comunisti-individualisti, ecc. Non c’è bisogno di inventarne un’altra! Semmai dovremmo superarle verso formule nuove di cospirazione. La questione non è: insurrezione o rivoluzione? Ma insurrezione. Punto. Perché chi è oppresso: o è servo, o insorge. Questo insorgere genera rivoluzioni. E’ un fatto.

Gli anarchici sono i primi nella storia che hanno capito che ogni nuovo potere sarà anch’esso autoritario e anch’esso da combattere. E’ la nostra dote. Che non diventi un limite. O peggio: un pretesto.

 

Michele Fabiani

GRAMMATICA E ANTOLOGIA DEL LUOGOCOMUNISMO

risataSe anche a voi, in una serata di pioggia, vi trovate soli a casa e vi capita di vedere Diego Fusaro che fa il marxista il televisione esaltando Putin, gli imprenditori, il Muro di Berlino, e vi assale una voglia matta di andare sotto casa sua a rompergli ogni giuntura del corpo…state tranquilli, non siete soli. Fate un respiro profondo…

Il medico dice che fa male al fegato arrabbiarmi e contro l’ira e il rancore che mi corrodono mi consiglia di prendere la vita con ironia. Dote che in effetti non mi manca, come mi riconoscono anche gli acerrimi nemici. Se c’è una cosa su cui gli antichi romani si sbagliavano è il proverbio secondo il quale il riso abbonda sul volto degli stolti. D’altronde quella romana era una società schiavista e imperialista, pragmatica e utilitarista, non c’era tempo per ridere (poveracci). E’ vero, invece, il contrario: solo gli individui, che più che intelligenti definirei “acuti”, hanno il senso del comico, sanno fare i collegamenti e sanno per di più pervertirli con l’arte del grottesco e il demone dell’equivoco. Sono invece gli “ottusi”, non tanto gli stupidi dato che alcuni di loro si reputano e forse sono anche grandi menti dogmatiche, che non capiscono il comico, che ritengono che “in un momento come questo” non ci sia niente da ridere. Un momento infinito.

Contro la psichiatria, i farmaci e le porcherie della medicina capitalista, sempre più utili si dimostrano vie alternative. Fra queste la clown terapia. E di pagliacci in giro di questi tempi ce ne sono parecchi!

Ridiamoci insieme.

Si è fatto un gran parlare del ragazzino che ha “inventato” la parola “petaloso”. Ma la vera parola del nuovo secolo è un’altra, e l’hanno scoperta quelli della rivista N+1: LUOGOCOMUNISMO.

“Luogocomunista” è forse l’aggettivo più azzeccato del millennio. L’espressione è precisa e vasta allo stesso tempo, nonché immediatamente efficace dal punto di vista del senso.

Chi sono i luogocomunisti? Sono una massa di babbei che fanno dei luoghi comuni della peggiore sinistra la più bizzarra ed ogni volta originale delle sintesi. Del tipo “ah quando c’era Berlinguer” eppure “oggi con certi politici ci vorrebbero le Brigate Rosse” e quindi “è per questo che ho votato Grillo”. Notate bene: i luogocomunisti non fanno parte di un bizzarro movimento di nicchia rinchiuso nelle riserve indiane, tipo i neo-borbonici. Il luogocomunismo è un movimento di massa: il sillogismo costruito con le tre proposizioni di cui sopra (una sola delle quali è corretta) è stato espresso ad alta voce almeno una volta credo da cinque milioni di persone nell’ultimo anno. Più o meno.

Il lugocomunismo, per dirlo con una famosissima canzone di Jovanotti, è quella “grande chiesa che va da Che Guevara e Madre Teresa”. Un verso tutt’altro che ironico e che è stato il manifesto per una generazione di sinistri giovanili.

Come si fa ad essere definiti luogocomunisti? Possiamo abbozzare una definizione “scientifica”. Per essere luogocomunisti si deve condividere circa la metà delle seguenti affermazioni (non si possono condividere tutte dato che alcune sono auto-contraddittorie, ma ci sono dei veri geni del teatro dell’assurdo che ci riescono):

Un generico complottismo secondo il quale dietro tutti i problemi dell’umanità (dal terrorismo islamico ai maremoti) ci sta la CIA; una generica nostalgia per la Russia di Stalin e/o per la Jugoslavia di Tito e/o per la Cina di Mao (talvolta rimpiante tutte insieme nonostante fossero in guerra quasi aperta tra loro); il tifare tutt’ora per la Russia di Putin, per la Cina del “maledetto Deng” (come cantavano i CCCP) e vabbe’ la Jugoslavia non c’è più…ma votare un partito come quello di Rizzo che era al governo quando veniva bombardata; una generica simpatia verso i Fronti Popolari, le coalizioni interclassiste, il CLN…e però contestare, ogni benedetto 25 di aprile con la stessa costanza di un pellegrino di Fatima, i partigiani ebrei che del carrozzone CLN facevano parte; lo scendere in piazza col tricolore e la bandiera rossa; una generica simpatia per tutti ma proprio tutti i governi mediorientali che stanno in conflitto con gli USA e/o Israele, che essi siano fascisti o sinistri, laicisti o islamisti, arabi o persiani e portare tutte le loro bandiere in piazza nonostante quelle nazioni stiano in guerra tra loro; un generico pacifismo e/o (scrivo “e/o” perché talvolta troviamo entrambi) un generico estremismo parolaio, salvo poi prendere le distanza ogni qual volta succede un’azione violenta; il cagarsi sotto per ogni episodio che possa portare ad una denuncia, ad un arresto, a delle conseguenze penali (vedi sopra alla voce complottismo: black bloc, insurrezionalisti, ecc., tutti pagati dalla CIA); una a volte generica a volte lucida stima verso la magistratura italiana che quanto meno avrebbe salvato il paese dalle derive autoritarie prima di Craxi, poi di Berlusconi, in questi giorni pure di Renzi; il voto “tattico” a Grillo, alla Le Pen, per far crollare tutto e così fare la rivoluzione (???); …

E l’elenco potrebbe continuare. Facciamo un gioco: ognuno aggiunga il luogo comune che gli viene in mente! Quello che nessuno può negare è che il luogocomunismo sia un movimento reale: a chi non è capitato di vedere la bandiera kurda, quella irachena e quella iraniana vicine in una manifestazione contro la guerra (senza che finisse a coltellate)? a chi non è mai capitato di vedere insieme la bandiera della Russia di Putin vicino a quella dell’URSS? e chi si ricorda più dei 100 mila comunisti imprigionati e uccisi dalla repubblica islamica iraniana? Per citare solo alcuni degli esempi fatti sopra. E come dimenticare le masse belanti che ai tempi di Berlusconi scendevano in piazza coi cartelli “intercettateci tutti”, col tricolore e le bandiere rosse!

La loro concezione di internazionalismo è una bislacca alleanza delle nazioni “rivoluzionarie”, una federazione di nemici e un arcobaleno di colori: dalle bandiere del Venezuela a quelle del Partito del (porco) Dio libanese, da quelle curde a quelle irachene (che, ricordiamolo, i curdi li hanno gasati), dal tricolore italiano a quello francese e chi più ne ha più ne metta. Un fatto poco serio ma assolutamente serioso e severo. Mentre l’internazionalismo – quello vero – è il fraternizzare dei soldati al fronte e il fucilare i generali, è la gioia di vedere il proprio padrone impiccato, è il rogo della bandiera e il crollo della frontiera, è un’orgia anticlericale, è prendere per la barba gli imam e toccare il culo alle suore (per le femministe: rileggere sopra la parte sull’ironia).

Sull’ Unione Europea i luogocomunisti raggiungono il loro apice artistico, con un orgasmo di colori e posizioni diverse, quasi da attacco epilettico. Ci sono: A) i luogocomunisti che sono contro l’Europa, per tornare agli Stati nazionali; B) i luogocomunisti che sono per l’Europa, perché solo un’Europa forte può impensierire gli USA, quindi la crisi del 2011 di Grecia, Spagna, Italia sarebbe anche quella un complotto americano (e gli anarchici a tirare molotov tutti agenti CIA, ovviamente); C) i luogocomunisti che sono per l’Eurasia, ciò per l’unione di Europa e paesi del vecchio blocco sovietico, solo questa e non l’Europa, troppo piccola da sola, potrebbe impensierire gli odiati americani.

Vi è poi un altro fenomeno. Lo abbiamo accennato, ma va affrontato con più precisione. Per continuare con i neologismi, lo potremmo definire metacomplottismo. Ovvero il vedere complotti ovunque fino al punto di aderire, davvero, ad una sorta di progetto per sminuire ogni fenomeno sovversivo.

I metacomplottisti hanno un certo fiuto, aprono siti internet sempre qualche mese prima dal riaccendersi di fenomeni di fermento (anti)sociale. Guadagnano visitatori con articoli intelligenti, ma anche con cazzate epiche che però ti incuriosiscono i ti fanno cadere nel fatidico “clic”, si appoggiano con intelligenza su social e hanno amici nella stampa ufficiale che talvolta li citano.

Poi quando finalmente succede “qualcosa”, degli scontri di piazza, un’azione diretta, un’azione armata vera e propria, si scatenano. Cominciano a pubblicare le “prove” della mano dello Stato dietro a queste vicende. I giornali li citano, gaudienti, i tg parlano dei bravi cittadini che postano le foto dei violenti per dimostrare che questi siano in realtà sbirri.

Poi se ne fregano se delle persone reali vengono arrestate, spesso grazie a loro, se magari rivendicano addirittura in aula le azioni imputate, c’è sempre un altro complotto da inseguire, quello vecchio, una volta infangata l’azione rivoluzionaria, ha raggiunto il suo scopo e perde di interesse.

Li chiamo metacomplottisti perché loro sì che finiscono per aderire, consapevoli o meno, ad un progetto controrivoluzionario. Non può essere un caso la falsa notizia dell’anarchica col rolex agli scontri del primo maggio 2015 a Milano, finisca contemporaneamente su tutti i siti online e su tutti i tg. Qualcuno deve averla suggerita. Questa non è paranoia ma realismo.

L’ultima della serie delle dietrologie vuole gli anarchici e no border che hanno attaccato la frontiera del Brennero pagati (o comunque servi sciocchi) dell’Europa. Secondo la teoria nazi-maoista per cui l’immigrazione produrrà l’annacquamento dei popoli e favorirà la creazione dello stato imperialista europeo. Devo ammettere che di fronte a certe affermazioni mi vengono dei dubbi sull’antipsichiatria.

Ebbene il luogocomunismo, con i suoi milioni di aderenti, è la principale massa di manovra dove arruolare dei complottisti al servizio della pacificazione sociale. Chiunque ha più di 25 anni, senza andare troppo lontani, ricorderà che all’alba del nuovo millennio i leader del giovane movimento no global invitavano a portare in piazza le telecamere digitali, che in quegli anni si stavano diffondendo, per denunciare gli abusi della polizia. Il gioco allora era quello di superare immaginarie linee che la forza pubblica voleva presidiare, fino ad arrivare ad un contatto fisico. I manifestanti si limitavano a spingere, spesso proprio con le mani in alto, quindi le conseguenze penali erano minime. La polizia invece a volte legnava un po’ più forte del dovuto e le telecamere diventavano lo strumento per un’efficace propaganda di denuncia delle violenze degli sbirri.

Tutti quei giovani, video muniti, erano dei luogocomunisti in vitro. Tornavano in piazza dopo due decenni di pace sociale, e dopo un decennio dal crollo dell’URSS, e lo facevano mischiando i simboli di quel passato “glorioso”: la maglietta del Che, la kefia davanti al naso, la bandiera sovietica con la falce e martello, la bandiera di rifondazione e spesso quella del vecchio PCI regalata dal nonno (talvolta persino quella del PDS o della sinistra giovanile, ma solo quando non governavano loro), il tricolore a volte con la stella rossa al centro delle repubbliche partigiane; ma anche al di dentro delle contraddizioni della contemporaneità, ad esempio rivendicando il no agli ogm, il cibo biologico, il no ai diritti d’autore, l’internet libero, la lotta alla precarietà, ecc. Insomma cercavano la nuova teoria e pratica anticapitalista, ma finivano per fare un brodo con quelle vecchie e nuove, spesso in contraddizione. Fai bollire a fuoco lento per 10 anni e nasce il luogocomunismo.

Alla fine quelle cazzo di telecamere sono diventate lo strumento della repressione e del complottismo. Quando in quelle piazze si è finalmente espressa una rivolta vera, soprattutto grazie a l’unico movimento rivoluzionario emergente negli ultimi decenni, quello anarchico insurrezionalista (termini che rischiano anche loro ormai di diventare dei luoghi comuni, ma che in realtà sono serissimi), quelle cazzo di telecamere dei no global sono diventati lo strumento per la caccia all’infiltrato e quindi per la pubblica delazione.

Oggi quei giovani hanno 40 anni e in buona parte, se votano, votano Movimento 5 stelle. Insieme ai fratelli maggiori che 10 anni prima tiravano le monetine a Craxi.

Il luogocomunismo si diffonderà con tanta più forza col passare degli anni e quindi con la confusione di ideologie in passato in lotta tra loro. E fra questa massa di luogocomunisti si pescano i nuovi infami. Il 15 ottobre 2011 a Roma, il 1 maggio 2015 a Milano, ecc. Per non parlare del 14 dicembre del 2010 quando un “pacifista” mandò in coma con un colpo alla testa un ribelle che stava tirando sassi alla polizia.

D’altronde chiunque ha vissuto un minimo di tensione ribelle nella propria vita, sa quanto i leaderini di movimento siano i primi censori della rivolta. Oggi se un ragazzino vuole fare una scritta sul muro, prima trova il capoccia del suo circolino che cerca di fermarlo, e solo dopo arriva la digos. Per non parlare degli scontri di piazza o delle azioni dirette. Il movimento come avanguardia dello Stato.

Possiamo individuare 3 caratteristiche in questo caso proprie di tutti i luogocomunisti:

In primis, il luogocomunismo è uno strano “comunismo senza lotta di classe”. Le battaglie sono, qualche volta condivisibili, a favore di un popolo oppresso, contro l’Europa, oppure di studenti, oppure di antifascismo, ma i rapporti tra sfruttati e sfruttatori gli sono estranei. E’ Diego Fusaro che qualche sera fa su La7 affermava che il capitalismo sta affamando lavoratori e imprenditori (???). Inoltre e più in generale, il luogocomunisti sono degli strani “comunisti senza alcuna conoscenza di economia”. Vale a dire è un comunismo più gramsciano che marxiano, dove il capitalismo è qualcosa di cattivo, moralmente disprezzabile, ma non si è capaci di fare un minimo di analisi e anzi le si evita con orrore. Infine, il luogocomunismo è un “comunismo senza rivoluzione”. Di solito i più folkloristici sono appassionati delle sfilate con le bandiere rosse, apologeti della battaglia di Stalingrado, ma il momento dell’insurrezione, i decenni di azioni nichiliste che l’hanno preceduta, sono qualcosa che non gli interessa ricordare. Sono nostalgici di quegli stati totalitari sfavillanti nel rosso e nel verde dei carri armati, ma il momento della sollevazione violenta se lo dimenticano. Se c’è malafede (non vogliono parlare degli anarchici, del terrorismo dei nichilisti, dell’insubordinazione dei militari, ma nemmeno di Trotsky) o se è più che altro una naturale tendenza legalitaria magari dipende da caso a caso.

In conclusione, abbiamo riso ma possiamo tentare delle riflessioni serie.

La prima. Il comunismo è ormai un malato grave. Per ogni marxista rivoluzionario vero, competente nella teoria e conseguente nella pratica, troviamo mille luogocomunisti. La malattia è così grave che non si può dire, al momento, neppure se il malato riuscirà a sopravvivere. Non me ne rallegro. Ci tengo a precisarlo, visto che sono stato sarcastico fino ad ora.

La seconda. Il solo movimento che fa lotta rivoluzionaria nel mondo è l’anarchismo. Quantomeno nel mondo industrializzato, e quasi tutto il mondo ormai lo è. Alla faccia di Marx che vedeva l’anarchismo come qualcosa di legato al mondo sottoproletario e quindi forte, ai suoi tempi, in Italia, Spagna e Russia e non nelle metropoli industriali come l’Inghilterra e la Germania, oggi se qualcuno tira una molotov contro una banca nella City di Londra potete mettere la mano sul fuoco è stato un anarchico. E così dal Cile all’Ucraina, dalla Grecia alla Spagna, e qualcosa si sta vedendo anche in Egitto, in Cina ed in India. E questo perché le contraddizioni generate dal capitalismo – la disoccupazione, la precarietà, le migrazioni, le guerre, le macchine, lo smog, la violenza sempre più organizzata sugli animali, le vetrine luccicanti e vicino la miseria – vanno in una direzione che solo la rivolta anarchica sa affrontare ed alimentare.

Con tutti i nostri limiti. Ma per questa volta non ne parliamo.

 

Emmeffe

 

Firenze:indirizzo Michele in carcere dal 20 aprile per scontri con le guardie all’uscita di un concerto

 

 

 

lunga vita ai ribelliA Firenze il  23 aprile 2016 è stato convalidato l’arresto di tre anarchici fermati nella  serata  del 20 aprile, durante scontri con le guardie all’uscita di un concerto, in due hanno già ottenuto gli arresti domiciliari, con tutte le restrizioni.Michele invece resta in carcere,con la possibilità che gli vengano concessi i domiciliari.

Per chi volesse comunicare con Michele:
Michele Lai

Casa Circondriale Sollicciano

v. Minervini 2/r Firenze