Richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di un compagno di Spoleto

Diffondiamo la notizia di una richiesta di sorveglianza speciale nei confronti di un compagno anarchico, per la durata massima di legge, con obbligo di soggiorno in un piccolo comune nell’hinterland spoletino, con il rientro notturno e le firme. La richiesta, notificata solo oggi (6 aprile) con lo scopo evidente di ostacolare la difesa e le iniziative di solidarietà, verrà discussa il prossimo 18 aprile al tribunale di Perugia.
Si tratta di una misura di prevenzione, quella della sorveglianza speciale, ormai rodata nella repressione contro l’anarchismo rivoluzionario. La novità di questo procedimento è che esso prende spunto questa volta non da un’informativa dei soliti ROS o DIGOS, ma da una nota del Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza del febbraio 2021. Si tratterebbe, a leggere le scartoffie, di un’attività di indagine «nell’ambito dell’ordinaria pianificazione operativa annuale» previsto dal codice antimafia del 2015 e ormai esteso anche al cosiddetto antiterrorismo.
Sebbene a conclusione della nota della Finanza si affermi che «non emergono situazioni di incoerenza finanziaria», la procura di Perugia recupera in maniera pretestuosa questo documento per dedurne, assieme ai precedenti di polizia, giudiziari e carichi pendenti, nonché dalla conclamata refrattarietà all’obbedienza delle norme emergenziali anti-Covid, il profilo di pericolosità sociale del compagno e quindi la richiesta di misura di prevenzione personale.
A questa nota la dottoressa Comodi aggiunge un’autocitazione, facendo riferimento alle accuse originariamente mosse nell’ambito dell’indagine Sibilla, per cui erano stati richiesti otto arresti, successivamente ridimensionati in sei misure cautelari, tra i quali gli arresti domiciliari per il compagno in questione – misure poi revocate per ben due volte, l’ultima recentemente lo scorso 14 marzo. Come d’uopo in queste circostanze, le accuse sconfessate in sede giudiziaria vengono esposte come «gravi e attuali indizi di pericolosità sociale». Stavolta l’onestissimo pubblico ministero arriva però a mentire, affermando che il GIP avesse in origine sposato integralmente le sue richieste.
Il fatto che questa volta non siano stati i soliti incappucciati di ROS e DIGOS a raccattare indizi incriminanti, lo dobbiamo probabilmente alla volontà di non ingenerare un sospetto di conflitto di interessi nei confronti di coloro che, nell’arco di oltre 15 anni, hanno portato avanti le attenzioni  poliziesche nei confronti del compagno, anche collezionando non poche figure di merda. Resta nondimeno disgustoso che un nostro compagno che nella vita fa l’operaio, che sopravvive con un reddito da proletario, sia soggetto delle attenzioni delle famigerate fiamme gialle, i cui compiti millantati risiederebbero nello scovare le malefatte finanziarie dei capitalisti.
Non ci facciamo però ingannare dai giochi di prestigio. Questa richiesta viene fatta proprio dal PM Manuela Comodi, specialista delle inchieste anti-anarchiche, recuperando un accertamento dall’esito negativo di due addietro e avviene nel momento più drammatico della lotta aperta da Alfredo Cospito con il suo sciopero della fame. Si pone evidentemente nel solco delle iniziative di controinsurrezione tese a togliere i compagni dalle strade.
In questi tempi di guerra e di repressione, su questo come su altri fronti non accettiamo il monito dello Stato.

Umbria, 6 aprile 202

La Sibilla prevede ancora tempesta. Presenza solidale con Alfredo Cospito in occasione dell’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla (Perugia, 14 marzo 2023)

La Sibilla prevede ancora tempesta. Presenza solidale con Alfredo Cospito in occasione dell’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla (Perugia, 14 marzo 2023)

la sibilla prevede ancora tempesta

 

 

Il 14 marzo si terrà presso il tribunale di Perugia l’udienza di riesame sulle misure cautelari per gli anarchici coinvolti nell’operazione repressiva Sibilla dell’11 novembre 2021, cioè per quei compagni per cui vennero disposte le misure con l’accusa di istigazione a delinquere (414 c. p.), aggravata dalla finalità di terrorismo, in relazione alla redazione, pubblicazione e distribuzione dei primi sei numeri del giornale anarchico “Vetriolo”. Tra gli indagati ci sono Alfredo Cospito, in sciopero della fame da oltre 130 giorni, e Gianluca, attualmente in custodia cautelare agli arresti domiciliari per l’indagine Diamante, disposta il 16 marzo 2022 dalla procura di Genova. Questo secondo riesame è derivato dall’udienza tenutasi il 22 giugno scorso alla corte di cassazione e conclusasi con l’accoglimento della richiesta del pubblico ministero Manuela Comodi, quindi con l’annullamento del precedente provvedimento del tribunale del riesame, che il 16 dicembre 2021 aveva revocato le misure cautelari. La corte di cassazione, a dispetto di quanto espresso dal procuratore generale (che aveva chiesto il rigetto dell’appello della procura perugina), aveva perciò “riesumato” l’indagine annullando la revoca delle misure e disponendo questa nuova udienza di riesame.

Nel contesto di questa indagine portata avanti dalle forze repressive con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, otto compagni, tra cui lo stesso Alfredo – già precedentemente indagati dal ROS dei carabinieri e dalla procura di Milano in un altro procedimento per 270 bis c. p. e 414 c. p. in relazione alla pubblicazione di “Vetriolo” – erano stati oggetto a settembre 2021, da parte della procura di Perugia, di una richiesta di misura cautelare in carcere con le stesse accuse, più altre a vario titolo inerenti ulteriori articoli, volantini, documenti e un danneggiamento. Contestualmente a tale richiesta d’arresto, veniva disposto per Alfredo Cospito un provvedimento di censura sulla corrispondenza della durata di tre mesi, in seguito rinnovato più volte fino al trasferimento in regime di 41 bis, dove la censura – a differenza dell’Alta Sicurezza 2 – è elemento costitutivo del regime stesso. Le ragioni di questa censura divenivano chiare solo successivamente, quando l’11 novembre “scattava” l’operazione Sibilla e l’originaria richiesta del PM veniva ridimensionata dal Giudice per le Indagini Preliminari in sei misure cautelari per la sola accusa di istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo (tra cui un mandato di arresto in carcere per Alfredo, all’epoca recluso nel carcere di Terni). Inoltre, venivano effettuate decine di perquisizioni, sequestrate centinaia di copie giornali e libri e due siti internet erano sottoposti a sequestro preventivo e oscurati (un fatto praticamente inedito per quanto riguarda il movimento anarchico di lingua italiana). Secondo l’antiterrorismo, negli articoli oggetto di indagine «venivano espressi concetti strategici nell’orientamento e nel meccanismo di propaganda istigatoria aventi la concreta capacità di provocare la commissione di specifici delitti non colposi contro la personalità internazionale ed interna dello Stato, al fine di sovvertire attraverso la pratica della violenza il suo ordinamento giuridico, politico, economico e sociale». In questo senso, al fine di evidenziare la «corrispondenza tra i contenuti di “Vetriolo” ed alcune azioni dirette», il ROS – alla ricerca di analogie o coincidenze lessicali e concettuali – aveva intrapreso una comparazione tra gli articoli pubblicati nei primi numeri del giornale e i testi rivendicativi di alcuni attacchi incendiari ed esplosivi avvenuti in Italia e in altri paesi europei.

Assieme al processo Scripta Manent, l’indagine Sibilla ha avuto un ruolo fondamentale nella genesi (e nelle successive molteplici conferme giuridico-politiche da parte del tribunale di sorveglianza di Roma, del ministro della giustizia Nordio e infine della corte di cassazione il 24 febbraio scorso) del provvedimento di detenzione in regime di 41 bis per Alfredo Cospito. Come scriveva il compagno, «quest’ennesima operazione repressiva va a colpire tra le altre cose un giornale anarchico e rivoluzionario come “Vetriolo” che in un periodo pregno di rivolte (e quindi di occasioni da non mancare) e di confusione ideologica ha continuato imperterrito a fomentare lotta di classe in un’ottica anarchica e insurrezionale».

Non riponiamo alcuna fiducia nella giustizia dello Stato e, proprio per questo, restiamo convinti che i rivoluzionari propagano le proprie idee, considerano il precipitare degli eventi come una prospettiva desiderabile, intendono lottare affinché si aprano possibilità di liberazione, gioiscono quando le figure e le strutture dello Stato e del capitale vengono colpite, ma non sono dei meri “istigatori”. Chi agisce contro lo Stato e i padroni ha già maturato una determinazione tale da non avere necessità di essere “istigato”, perché è l’autonomia di pensiero e di azione ad esprimersi, non il gregarismo e la subordinazione a degli ordini. Alfredo Cospito ha dedicato la propria vita ad un’idea che ha continuato ad affermare con risolutezza anche di fronte alle peggiori avversità, come ha fatto a partire dal 5 maggio 2022 con il trasferimento in 41 bis e come sta facendo con ancora più intensità dal 20 ottobre con l’inizio dello sciopero della fame ad oltranza. Non è vittima di un’ingiustizia e non è un “istigatore”, ma un anarchico, un rivoluzionario che si trova in 41 bis perché siamo in un’epoca dove la guerra torna preponderantemente a farsi sentire, dove le stragi (come quella avvenuta sulle coste calabresi il 26 febbraio, con più di 100 migranti annegati) sono parte integrante delle stesse logiche di guerra del capitale, dove i proletari vengono sempre più sfacciatamente impiegati come carne da macello sul lavoro, dove – per guardare più in particolare all’Italia – aumentano costantemente i profitti dell’ENI e di Finmeccanica e dove l’attuale esecutivo, che vede numerosi esponenti della lobby delle armi al suo interno, procede nel proprio avvitamento repressivo e verso la guerra, interna ed esterna, in combutta con gli organismi del capitale internazionale. Ecco perché la vita di Alfredo, le idee che ha sempre sostenuto, le azioni per cui è stato condannato (o che ha rivendicato, come nel caso del ferimento di Adinolfi, dirigente di Ansaldo Nucleare), essendo una radicale espressione della lotta rivoluzionaria, rappresentano le ragioni della rivolta e la necessità della rivoluzione contro le sirene della sottomissione e della rassegnazione a questa realtà sociale.

Per questi motivi siamo solidali con Alfredo Cospito, come lo siamo con Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma, militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente reclusi in 41 bis da oltre 17 anni. Oggi Alfredo si trova nella fase più critica dello sciopero della fame. Noi continuiamo a sostenerlo con la consapevolezza che – dopo tutti questi mesi – niente sarà più come prima.

PRESENZA SOLIDALE CON ALFREDO COSPITO IN OCCASIONE DELL’UDIENZA DI RIESAME PER LE MISURE CAUTELARI DELL’OPERAZIONE SIBILLA: MARTEDÌ 14 MARZO 2023, ALLE ORE 08:30, DAVANTI AL TRIBUNALE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI (EX PALAZZINA ENEL) IN VIA XIV SETTEMBRE 86, A PERUGIA.

Assemblea di solidarietà con Alfredo Cospito e i prigionieri rivoluzionari
Roma, marzo 2023

Neri Come la Vita

 

 

 

 

 

“La  strada senza via d’uscita  è la morte non la vita.

Canta che non è finita”

Anonimo

 

 

Io non mi illumino d’immenso.

 

Io non parlo al singolare, concepisco solo il plurale.

 

Noi per cui non ci illuminiamo d’immenso.

 

Non ci interessa.

 

Per noi fondamentale è altro. Per noi tutto ha inizio da un semplice presupposto:

 

nessuno è libero finché non sono liberi tutti.

 

Nessuno è, nessuno sussiste, se considera solo sé stesso.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo di immenso.

 

Perché di illuminare noi stessi non ci interessa.

 

I verbi riflessivi non ci rappresentano.

 

I nostri verbi sono diretti, le nostre azioni pure.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo di immenso.

 

Perché illuminare sa di artefatto.

 

Si illumina una stanza, una strada, una cella, anzi nemmeno.

 

A noi piace la luce naturale, e il buio che la segue.

 

Il buio che incute timore. Come i nomi che a avete creato voi per noi, come  il nostro colore. Che etimologicamente nemmeno lo è un colore.

 

È l’assenza di luce. Non necessita di nulla per esser definito. È.

 

Come lo siamo noi. Non cerchiamo definizioni per noi stessi. Le date voi, le danno loro.

 

Voi definiteci, come credete. A noi i nomi non servono, non ne abbiamo uno. Sprecate voi il tempo a catalogarci, noi nel frattempo siamo. E basta.

 

Voi non ci conoscete, ma ci classificate.

 

Loro non ci conoscono, ma stigmatizzano.

 

Noi intanto non solo siamo, ma senza nome lottiamo, in nome di tutti, per tutti.

 

 

Noi non ci alluminiano d’immenso.

 

Non ci appartiene la ribalta, non pratichiamo i palcoscenici, non vogliamo rilucere, non ci servono i riflettori.

 

Alla fine, come è scritto su diversi muri, è tutto loro quello che luccica.

 

E a noi di luccicare non interessa. Noi non apparteniamo a loro. Noi apparteniamo solo a noi stessi. Per noi solo una sola cosa conta la libertà, per tutti.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Siamo vecchio stile, siamo retrò, noi la luce la creiamo, la facciamo nascere.

 

Non ci servono né tungsteno, né interruttori, né led, né la corrente. A meno che non sia d’aria. E bella forte.

 

Noi siamo semplici, ci basta una fiamma per vedere, per vederci, per farvi vedere, così da farvi strada.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Noi, citandovi, siamo così controversi che ci accontentiamo di una fiamma e del vento.

 

Non fate però l’errore di pensare che il vento la spenga, come tanti pensano e diversi vorrebbero, il vento la alimenta, porta ossigeno, nuova forza. La tiene viva. In ogni caso ricordate: se si spegne una fiamma al buio si torna. E, si sa, il buio è nostro.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Anche se restiamo al buio non ci perdiamo, non abbiamo paura.

 

La nostra fiamma, no, non si spegne, ma anche se così fosse, ricordate, noi amiamo, conosciamo il buio. Non ci spaventa. Come potrebbe spaventarci la notte? Siamo neri, come lei.

 

 

 

Noi non c’illuminiamo d’immenso.

 

Noi nemmeno proviamo a fermare il vento, sempre un muro insegna, che gli faremo solo perdere tempo.

 

Noi non solo leggiamo, ma scriviamo anche sulle mura delle città. Non per dirvi che ci siamo, scriviamo per voi tutti, perché non parliamo, non rilasciamo dichiarazioni. Crediamo in quello che facciamo. Siamo quello che facciamo. Non ci interessa dare spiegazioni in merito.Va fatto. E’ insito in noi, è nella nostra indole. Una mamma quando nutre un figlio deve dichiararlo? Deve spiegare le sue motivazioni? Rilasciare dichiarazioni? No. Lo fa perché è giusto farlo, lo fa per amore, perché è dare e mantenere una vita, è naturale volere, dare senza avere. Lo stesso motivo che ci anima, che ci mantiene vivi. Le stesse motivazioni. Crediamo in tutto quello che facciamo, lo facciamo perché va fatto, nonostante corriamo rischi gravosi, subiamo condanne ineguagliabili. Noi continuiamo. Perché va fatto, perché è giusto farlo. Lo facciamo per amore, è naturale volere necessaria esigenza in quanto meritiamo non la vita, ma una vita libera, dignitosa, perché essa è nostra e abbiamo il diritto di decidere noi come viverla.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Noi i nostri pensieri ve li lasciamo, ve li regaliamo, ma forse siete proprio voi che non volete capirli, o semplicemente che trovate più agevole travisarli. O forse, essendo questi scritti su muri e vetrine, per vostra scelta non volete vederli. Una volta era condannabile il significato di una frase, ora, al contrario, viene immolata a priori, in base al è il luogo dove viene stilata, senza esser degna non di lettura, ma di comprensione. Due concetti fondamentalmente differenti. Ma noi scriviamo comunque, in bella vista, perché purtroppo, ora come ora forse i muri sono l’unica cosa che viene letta, i libri non più. Ricordate, leggere è sapere e il sapere rende liberi.

 

 

 

Noi scriviamo o, come dite voi imbrattiamo, perché verba volant ma scripta manent, e noi possiamo dirlo, noi lo sappiamo, nessuno lo sa meglio di noi. Lo sanno i nostri cuori, quel che ne resta, dato che troppo pezzi sono stati asportati e posti lontani da noi, invisibili agli occhi di tutti.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo di immenso.

 

Noi dobbiamo pensare al nostro sangue dietro le sbarre, non solo quello secco delle nostre ferite e degli abusi subiti.

 

Il sangue del nostro sangue che ancora scorre nelle vene dei nostri compagni, sepolti sotto metri di terra e isolati dentro una cella. Chiamarla così, poi, è una menzogna lusingatrice. Tomba è decisamente un termine più idoneo.

 

Noi abbiamo le guance solcate dalle nostre lacrime, la pelle straziata da squarci che arrivano fino al midollo. Voragini che mai si rimargineranno, mai cicatrizzeranno, com’è giusto che sia.

 

In fin dei conti la cicatrice altro non è una farsa carnevalesca, nasconde, imbelletta una ferita, in modo che possa esser dimenticata. Ma queste ferite, invece, devono restare aperte. Devono pulsare a ritmo del nostro battito. Devono esser in bella vista vanno ricordate, mai dimenticate.

 

Queste son le peggio ferite. Gli ematomi, gli sfregi, i tagli, le ossa rotte, in confronto risultano essere ridicoli. Dopo tutto a questi ci siamo abituati, a questi le loro forze dell’ordine ci hanno abituati. Non resta che dire una cosa: peggio per loro.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Noi non avremo tutto.

 

Tuttavia, noi però abbiamo molto, quel molto che non si compra, quel molto che in pochi hanno, e che vorremo che tutti avessero.

 

Quel molto il cui valore non è materiale, non è valutabile, vendibile, rateizzabile, poiché per definizione è inestimabile.

 

Noi abbiamo noi stessi.

 

Noi abbiamo la nostra famiglia.

 

Noi non saremo mai soli, noi non lasceremo mai nessuno solo.

 

 

 

Non possiamo illuminarci d’immenso, non vogliamo.

 

Noi non siamo qui per noi siamo qui per tutti voi.

 

La libertà per cui lottiamo dev’essere per tutti anche per chi non ci vuole, non ci accetta.

 

Cantava qualcuno “siamo come le piante infestanti, che più ci tagli le gambe più cresciamo forti”

 

Lo hanno fatto, lo hanno fatto spesso, ma, sfortunatamente per loro, di gambe da tagliere ce ne sono cresciute il quadruplo di prima.

 

Avrebbero voluto abbatterci, ma sono solo riusciti a potarci. E potare si sa, rafforza, irrobustisce. Loro lo hanno fatto cosi frequentemente che alla fine non siamo solo più piante, siamo diventati una foresta.

 

Forse  puntavano all’inversamente proporzionale? Più li abbattiamo meno crescono?

 

Non ha funzionato. Non funziona. Poiché noi non siamo nemmeno direttamente proporzionali. Purtroppo per loro, noi siamo direttamente esponenziali.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Fondamentalmente perché noi non camminiamo, noi non domandiamo.

 

Noi infiammiamo.

 

Noi ardiamo.

 

La nostra strada l’abbiamo trovata con una singola semplice fiamma.

 

Con questa noi illuminiamo, lo facciamo per voi, così che possiate vedere quello che vediamo noi, come potrebbe essere diverso questo mondo.

 

Vorremo che vedeste quello che i nostri occhi vedono, i nostri cuori desiderano e le nostre menti esigono. Vorremo che vedeste una vita completamente diversa, una vita senza piramidi verticali o distinzioni orizzontali, Una vita in cui crediamo non perché bella, ma perché è impossibile non credere che potrebbe essere tale, fattibile, perché cosi dovrebbe essere la realtà che ci spetta, che ci meritiamo.

 

Se non la vedete forse è perché delle ombre la oscurano. Degli stigmi vi bloccano, gli stereotipi vi allertano, i preconcetti vi fermano. Abbandonateli. Guardate quello che vediamo noi.

 

E se non lo vedete esprimetevi, dite quello che pensate. Non abbiamo paura delle diverse opinioni, del confronto. Per noi la diversità è una ricchezza, non una minaccia.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Noi vogliamo che cali il buio su questo sistema imposto.

 

Noi non crediamo in questa società, in questa struttura prestabilita da pochi sulla pelle dei molti restanti. Non ci crediamo e la combattiamo non solo per lo sfruttamento, la disparità, le ingiustizie, gli abomini, le guerre giustificate nei più fantasiosi e ipocriti dei modi.

 

Noi non la accettiamo per un semplice fondamentale motivo: noi crediamo negli esseri umani, noi crediamo nell’empatia, nell’intelligenza, nella socialità, nella capacità di autogestirsi, nella libertà di scegliere, nel mutuo aiuto e soccorso. Noi rinneghiamo questo sistema sociale perché siamo convinti che l’uomo non abbia bisogno di qualcuno che lo governi. Quel qualcuno che poi, pensate, lo fa pure a suo discapito. Noi crediamo che sia possibile un’esistenza senza istituzioni imposte, che l’uomo sia in grado di vivere, collaborare, condividere, rispettare, aiutare, senza nessuno che lo comandi, che gli imponga il suo volere, che gli dica cosa fare.

 

Crediamo in noi, e riponiamo le speranze in voi.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Vorremo lo faceste voi.

 

Voi siete veramente convinti che le persone siano così povere interiormente, così scarne intellettivamente, così primitive socialmente da non essere in grado di convivere senza leggi (ingiuste) norme (inutili) classi (inesistenti nelle leggi, ma che esse stesse creano)?

 

Avete veramente così scarsa fiducia, cosi poca stima di voi stessi? Veramente vi credete così inetti da dover aver qualcuno che vi dica cosa fare, come vivere, quanto lavorare, cosa sia giusto possedere, cosa no, cosa sia bello/brutto/corretto/scorretto/legale/illegale/accettabile/intollerabile/essenziale/inutile? Noi no. Noi crediamo che ognuno sia in grado di scegliere da solo, che l’etica sia implicita nell’essere umano, che l’autogestione sia non possibile, attuabile e fattibile in una società formata solo da ciò che è essenziale e necessario. Gli esseri viventi. E basta.

 

In fin dei conti la disparità non è forse nata quando fu istituita una proprietà privata? La povertà non l’ha partorita il denaro.?  Lo sfruttamento non ha suoi albori nel momento in cui in nome di qualsivoglia dio o dalla smania di accedere alle altrui risorse, coloro che si sono arrogati il diritto di comandare e comandarci hanno invaso l’altrui terra? Tutte le istituzioni, le strutture, le norme una cosa hanno fatto: creato divisioni, minato la libertà, deperito il libero arbitrio. Tutto questo fatto in nome della “vostra libertà”. Dei vostri diritti. Predicavano i vostri interessi, mentre vi rendevano meri schiavi, automi. Come possiamo vedere solo noi tutto questo? Come potete voi accettarlo, e nemmeno dichiaravi felici. Almeno questo consolerebbe. Tristemente invece, vi lamentate, ma accettate la realtà da loro creata a vostro danno. Accettate perché non così è, non c’è altra soluzione, non cambierà mai, e chi protesta nulla potrà. Nemmeno ci provate. Vi hanno tolto anche la dignità l’amor proprio.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Per noi una cosa sola deve essere illuminata e brillare.

 

La libertà.

 

Ma quale? Dov’è la libertà ora? Dov’è quella libertà che hanno detto di avervi garantito con le loro decisioni?

 

Scegliete voi le leggi? No. Il governo? No. Non scegliete nemmeno ciò che desiderate, dato che proprio una legge da loro creata stabilisce chi possa o meno concorrere alle cariche. Votate un simbolo. Una triste e incompetente comitiva che decide da sé le proprie cariche e istituzioni.  Nemmeno vi hanno concesso di scegliere chi governerà i vari ministeri. Votate un partito che, in nome del potere, si allea con altri partiti differenti, con visioni e pensieri anche agli antipodi. E voi andate pure la votarli. Se vi rappresenta un partito come potete accettare che si allei con altri di cui non condividete idee e posizioni?

 

Però il voto è un diritto. Quale? Di scelta libera forse? Però il voto è un dovere, un dovere nei loro confronti in nome dei loro interessi. Che bel dovere. Da schiavi andate alle urne e diventate cittadini. In sostanza migrate da una tipologia di schiavitù all’altra.

 

 

 

Considerate poi un’altra cosa: vi è concessa la scelta di non avere una struttura governativa? No. Vi viene imposto tutto, dalle ore di lavoro ai giorni di riposo, per finire con l’eta del pensionamento. Il tutto da persone per le quali la parola lavorare fa solo rima con lucrare, approfittare, sfruttare,

 

Persone che possono essere elette solo se raggiunto un quorum. La miglior barzelletta del loro sistema elettorale. Il quorum. Linea di demarcazione che distingue ciò che è democratico da ciò che è oligarchico. Ebbene, questa linea, attualmente denota come democratica un votazione se a questa hanno contribuito meno della metà degli elettori aventi diritto. Meno della metà. Questo definirebbe una democrazia, etimologicamente significante il governo del popolo? Beh il dèmos dovrebbe essere decisamente orgoglioso che il suo volere sia rappresentato.

 

 

 

Forse la vera domanda che dovreste porvi è: perché invece nessuno menziona la percentuale dei non votanti? Perché nessuno indaga sulle motivazione che non li portano alle urne? Che democratica questa democrazia, dove meno della metà nazione non sceglie e a nessuno importa. Anzi, per comodità, i non votanti vengono tacciati di menefreghismo.

 

Sarebbe controproducente pensare che in verità i non votanti non si sentano rappresentati da nessuno dei pagliacci in corsa? Magari argomentando che, dopo anni di collaborazionismo con la mafia, appalti, tangenti, furti rapine dei soldi pubblici, è probabile che non abbiano più fiducia in nella classe politica?

 

 

 

Noi non pensiamo nemmeno questo.

 

Non ci interessa questo, poiché noi crediamo che non servano rappresentanti, politici, ministri, portaborse, senatori, parlamentari e tutto l’inquietamente Freak show che pascola questo sistema politico. Ognuno ha il diritto di esprimere e di portare la sua stessa voce. Impossibile? Sarà più realistico un partito che asserisce di realizzare gli interessi di milioni di elettori. Questo non è impossibile, bensì fantascientifico. Ma ancora più ridicolo è che voi ci crediate. E poi ritenete utopica l’abolizione del sistema capitalistico. L’assenza delle strutture governative. E’ mai stato fatto un tentativo? No. E allora come si può giudicare illusorio? Ricordate che era considerata utopia anche che le donne votassero, o che studiassero. Era utopico un mezzo di comunicazione come un telefono, pensatevi internet. Era utopico che potesse essere realizzato un mezzo di trasporto come l’aereo. Anzi era utopico qualsiasi mezzo di trasporto differente dal cavallo. Come non si giudica prima di conoscere, non si dichiara impossibile nulla, nessuna idea, finche non si ha provato a realizzarla e si ha fallito.

 

Noi crediamo in noi, crediamo in voi. Com’è possibile che nemmeno in voi stessi riponiate fiducia? Com’è possibile che noi, i mostri, siamo qua a difendervi, a credervi i voi?

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

 

Non ci serve, ci conosciamo fin toppo bene in tutti i nostri pregi e difetti. La luce serve a chi deve vedere, cercare, conoscere, capire. Noi sappiamo chi siamo. Non ne abbiamo bisogno, ci conosciamo.

 

Noi però conosciamo voi, ma non giudichiamo e mai lo faremo. I giudizi limitano, delineano, distinguono. Non non giudichiamo perché non vorremo essere giudicati.

 

I giudizi non ci appartengono. L’unica cosa che ci appartiene siamo noi. Quella che vorremo ci appartenesse è la libertà.

 

Loro, al contrario, non solo ci vorrebbero imprigionati, loro ci vorrebbero suicidi dietro una grata.

 

Nemmeno la decenza di ammazzarci. Assumono la responsabilità di privare della luce, dell’aria, dei contatti umani, dei libri quanti esseri umani? Ma non si assumono la responsabilità di ammazzarli. Pensate anche loro, dall’altro delle loro poltrone, dalla miseria dei loro intelletti, perfino loro sono riusciti a capire una cosa fondamentale che ci denota: se toccano uno toccano tutti. Per cui la loro soluzione è questa: aspettare, credendo e sperando che coloro sepolti vivi si suicidino, rinunciano spontaneamente alla loro vita, per sfinimento, per annichilamento. Chiedetevi perché. Per pigrizia? No. Per etica e rispetto della vita ? No. Per lo stesso motivo per cui a voi non piace il nero, il buio. Perché il nero vi fa paura. Perché ad ogni azione corrisponde sempre una reazione, con le conseguenze che comporta. Loro però dimenticano una cosa, che la nostra storia dovrebbe avergli insegnato: noi reagiremo sempre, ci opporremo sempre. Non solo alle loro decisioni, a loro in quanto tali. Padroni di niente? No, lo siamo di noi stessi e per questo non siamo servi di nessuno.

 

 

 

 

 

Noi no ci illuminiamo d’immenso.

 

Non vogliamo nemmeno illuminare nessuno.

 

Che nessuno ci ascolti o ci segua poco importa, noi continueremo comunque a lottare.

 

Noi non deteniamo la verità, noi non crediamo nell’onniscienza. Se non altro perché se tutto si sa, se si è convinti di conoscere tutto, non si ha più nemmeno la gioia di scoprire, di conoscere.

 

Noi non vogliamo convincere nessuno. Noi speriamo che deciderete da soli cosa è giusto è cosa non lo è. I politici devono convincervi. Noi, a differenza loro, crediamo nell’intelligenza e nella capacità decisionale e cognitiva umana. Crediamo che tutti abbiano le stesse potenzialità. Purtroppo il sistema che governa ha fatto in modo non solo di gettare sul lastrico un sistema scolastico, ma pure di non renderlo accessibile a tutti. Ha generato consapevolmente l’ignoranza, conscio del fatto che più un popolo è ignorante più è soggiogabile, controllabile, plasmabile. Ma, purtroppo non si è fermato qui. Vi ha pure convinto che la cultura, la lettura, la curiosità, il costruirsi una cultura non sia necessario. Non serva per realizzarsi e sentirsi liberi. Ci avete creduto. Come criticarvi, alla fine coloro che l’hanno propugnato sono dove sono non di certo per capacità di analisi, cognitiva o per ricchezza culturale. Questi sono gli esempi che avete. Come biasimarvi.

 

Nulla è lasciato al caso.

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso.

Noi amiamo il buio, il buio che impera nei loculi dove loro ci chiudono.

 

Per quanto provino a privarci della libertà, dell’aria, delle visite dei nostri cari, delle foto dei nostri cari, dei libri, potete esser certi di una cosa: non ci abbatteranno, non ci avranno e noi mai rinnegheremo.

 

Per quanto potranno trattarci come i peggiori stragisti, incolparci peggio dei più beceri e disumani mafiosi, darci pene peggio degli attentatori che hanno squarciato un paese, noi non ci arrenderemo. Non abbiamo paura.

 

Perché crediamo nella nostra lotta, lotta che è per e di tutti.

 

Perché è pure bello combattere un’istituzione che si proclama democratica e nata dal volere del popolo, pensando che tutti credano a questa bugia a questa mistificazione.

 

Perché è bello combattere un sistema che si crede onnipotente, invincibile e ogni volta che incrocia il nostro sguardo, vacilla, traballa. Ogni volta che si pronunciano le due famose “B” i miseri potenti sentono la necessità di schierare il loro esercito di robocop non pensanti, agenti nel vero senso della parola. Agiscono e basta, pensare non è previsto, né loro concesso.

 

Ora ammettetelo: se poche persone reagiscono, si difendono e attaccano, provate a immaginare solo tanti individui che potenzialità potrebbero avere. Non lo fermerebbero il vento, lo creerebbero direttamente. Anzi sarebbero loro stessi il vento.

 

 

 

Alla fine possono agire in ogni modo, picchiarci, arrestarci, sotterrarci, sperare nel nostro suicidio, arrivare ad ucciderci. Qualsiasi cosa facciano possono toglierci tanto, ma mai tutto.

 

Non potranno, mai ci riusciranno. Poiché le cose a noi più care, quelle per cui lottiamo non sono materiali. Non sono valutabili. Sono inestimabili. E loro, se non possono dare un valore a un qualcosa, se non la possono produrre, industrializzare, capitalizzare, o sfruttare qualcuno in suo nome vanno in seria difficoltà.

 

 

 

 

 

Noi non ci illuminiamo d’immenso

 

 

 

Noi ci illuminiamo d’innesco.

 

 

 

L’immenso al momento non lo contempliamo.

 

 

 

Noi bruciamo di vita.

 

Loro puzzano di morte.

 

Odorano di cancrena.

 

E tra le putride bugie, le becere macchinazioni, i vergognosi teoremi, loro cercano le prove, gli inneschi, quelli veri. Loro e il materialismo, loro e gli oggetti.

 

L’innesco è dentro di noi. L’innesco siamo noi.

 

 

 

Seppelliteci, siamo semi, cresceremo.

 

Dateci l’oblio del buio. Siamo micce. Ci accenderemo. Esploderemo.

 

Non illuminiamo.

 

Noi brilliamo.

 

 

 

La morte viene dipinta come una luce in fondo al tunnel.

 

La nascita della vita è l’antitesi di questo: il seme germoglia nelle tenebre del sottosuolo.

 

La vita si origina nel buio.

 

Il primo spazio che conosciamo, dove iniziamo a esistere, l’unico posto dove nessuno impone il proprio volere su di noi, il ventre della mamma, è buio. Il primo colore che vediamo è il nero.

 

Noi siamo neri come la vita.

 

 

 

Poi, potranno toglierci tanto, ma non tutto. Ma da sempre, non considerano e dimenticano non una nostra variante, ma una nostra costante, fondamentale.

 

 

 

Noi abbiamo le fiamme nel cuore e il vento nelle vene.

 

Le avremo sempre. Fino alla fine. E oltre.

 

 

 

Ogni volta che dal nulla sentirete delle raffiche di vento che profumano di rogo,  saprete che siamo noi.

 

 

 

Viaggiamo solo con il vento in poppa, a più nodi possibili.

 

Pericoloso penserete.

 

La staticità, l’invariabilità, la calma hanno il gusto della sicurezza, dell’assenza di pericolo.

 

Falso. Il mare in bonaccia è il più pericoloso.

 

 

 

E ricordate, se anche l’alfabeto incomincia con la A un motivo ci sarà.

 

 

 

Al fianco nostri pezzi di cuore ingabbiati, con il vento in poppa nelle vene, e le fiamme vive nel cuore.

 

Sempre.

 

Frondenoire e Rogo

 

 

 

 

Omar Nioi: Scripta Manent – Un processo politico contro 20 anni di storia dell’anarchismo rivoluzionario

 

Pubblichiamo la Lettera – Intervento del compagno anarchico sardo Omar Nioi (condannato nel processo “Operazione Scripta Manent”) all’iniziativa tenutasi ad Atene (A.S.O.E.E.) il 19 dicembre 2022 in merito allo sciopero della fame del compagno anarco-nichilista Alfredo Cospito.

 

– Organizzazione: Hangout anarchico Nadir (Salonicco)

 

– Progetto di traduzione blessed-is-the-flame.espivblogs.net, Compagni.

 

– La traduzione dall’italiano è stata fatta dal gruppo di controinformazione Radiofragmata (radiofragmata.nostate.net).

 

Omar Nioi: Scripta Manent – Un processo politico contro 20 anni di storia dell’anarchismo rivoluzionario

Per prima cosa un saluto a tutti i compagni presenti a questa iniziativa, un saluto e un ringraziamento particolare ai compagni promotori. A oggi la tessitura di rapporti internazionali, scambi e confronti, continua ad essere, come in passato, un elemento necessario e parte sempre viva dell’anarchismo rivoluzionario per dare forza ai nostri intendimenti.

 

I fatti:

 

È l’alba del 6 settembre 2016, sono 32 i compagni su tutto il territorio dello Stato italiano a venire svegliati dalla polizia politica (DIGOS).

 

Il risultato del primo troncone dell’operazione di polizia chiamata “Scripta Manent”, ordinata dalla Procura di Torino tramite il suo inquisitore Roberto Maria Sparagna, è di 15 indagati e 7 arresti. Un ottavo anarchico invece, redattore del progetto editoriale della Croce Nera Anarchica (a oggi chiuso), viene arrestato in seguito all’esito della perquisizione domiciliare a suo carico, in cui gli vengono ritrovate delle batterie e un manuale da elettricista.

 

Oltre ai compagni Alfredo Cospito e Nicola Gai, già in carcere dal 2012, processati e condannati per il ferimento di Roberto Adinolfi, (amministratore delegato per Ansaldo Nucleare) azione rivendicata a firma “Nucleo Olga FAI/FRI” , vengono arrestati i compagni Alessandro, Marco, Danilo, Valentina e Anna.

 

Per i compagni, a vario titolo sono gli articoli 270 bis (associazione con finalità di terrorismo), 280 bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi) e 285 (Strage) a venir contestati partendo dal lontano 2003 e riguardanti tutti una serie di attacchi firmati “Federazione Anarchica Informale” attraverso le cellule “Narodnaja Volja”, “Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare)”, “FAI/RAT (Rivolta Anonima e Tremenda)”, e la cellula “Nucleo Olga” appunto.

 

Quindi l’ennesima inchiesta sulla Federazione Anarchica Informale, l’ennesimo tentativo di andare a pescare nel torbido pur di assicurarsi uno stipendio, che tra periodo di indagine e processo, faccia ingrassare quanti più servi dello Stato possibile.

 

Nei primi mesi di questa operazione, i compagni arrestati, hanno fatto i conti con divieti di incontro tra loro, censura sulla corrispondenza, isolamento totale e diversi trasferimenti.

 

Nell’Aprile 2017, con l’avviso di chiusura indagini – per gli arrestati ed indagati a piede libero del Settembre 2016 – viene aggiunto, oltre ai reati già contestati in precedenza, per 12 dei 17 imputati iniziali, l’articolo 414 c.p. (istigazione a delinquere) con finalità di terrorismo come ideatori e/o diffusori del progetto Croce Nera Anarchica, giornale e blog, facendo esplicito riferimento ad alcuni editoriali ed articoli dal n° 0 al n° 3. Per quanto riguarda il reato di istigazione a delinquere, è indicata pure l’aggravante per “aver commesso il fatto attraverso strumenti informatici e telematici”.

 

Il 2 Giugno 2017, è arrivato il secondo troncone dell’inchiesta Scripta Manent. A carico di altri 7 anarchici, a piede libero siamo stati indagati per 270 bis e 414 c.p. perché redattori (e non) del progetto Croce Nera Anarchica e del blog RadioAzione e Anarhjia.info, le accuse qui sono per tutti il 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) in concorso con i compagni anarchici indagati nel primo troncone dell’ OP. Scripta Manent sempre in riferimento alla FAI, in piu’ il 414 c.p. (istigazione a delinquere, sempre con la finalità di terrorismo), traduzioni di comunicati, predisposizione, istigazione, apologia, ideazione e divulgazione sempre attraverso siti e giornali di materiale di propaganda ideologica anarchica “insurrezionalista-lottarmatista”, raccolta di denaro per sostenere i compagni imprigionati.

 

Oltre ad accusare ulteriormente 2 dei 7 succitati per 280 c.p., per il rinvenimento cartaceo, durante le perquisizioni del Settembre 2016, assieme ad altro materiale pubblicato su Croce Nera Anarchica, di copia della rivendicazione dell’attacco al tribunale di Civitavecchia del Gennaio 2016, a firma del “Comitato pirotecnico per un anno straordinario – FAI/FRI”.

 

Pochi giorni dopo, nell’udienza preliminare del 5 giugno 2017 appunto, sono stati unificati i due tronconi d’indagine, rinviando tutti a giudizio, senza cambiar nulla delle varie imputazioni. Praticamente, dopo un anno di controllo, censura (attraverso blocchi e sequestri sistematici della corrispondenza dei compagni arrestati, che è confluita direttamente nei faldoni del Pubblico Ministero, aggiunti agli atti all’udienza preliminare) e monitoraggio della solidarietà, il P.M. e la questura sono riusciti a tirare dentro all’inchiesta anche chi ha continuato a mantenere i contatti con i prigionieri e continuato l’attività editoriale.

 

Il processo in primo grado: Durante il mese di luglio 2017 si è tenuta l’udienza preliminare. Il processo per tutti è cominciato il 16 novembre 2017 presso l’aula bunker del carcere di Torino.

 

Dopo più di un anno di interminabili udienze, in cui l’accusa è andata a ripescare persino in vecchie inchieste anti-anarchiche tra gli anni novanta e i primi del duemila ripercorrendo gli ultimi trent’anni dell’anarchismo rivoluzionario in Italia, la storia degli attacchi a firma FAI, il susseguirsi di testimoni dell’accusa, periti tecnici dell’accusa e della difesa.

 

Nel marzo del 2019 sono arrivate le richieste di condanna da parte del P.M., e nell’aprile dello stesso anno le condanne in primo grado.

 

Alfredo è stato condannato a 20 anni, riconosciuto responsabile di possesso e trasporto di esplosivo in relazione all’ordigno al Parco Ducale ai RIS di Parma del 2005 (assolto dal reato di attentato perché “reato impossibile” in quanto l’interruttore dell’ordigno era spento), del pacco bomba postale inviato all’allora sindaco di Bologna Cofferati nel 2005 (condannato per l’attentato più possesso e trasporto di esplosivo), degli attacchi con ordigni esplosivi multipli alla scuola allievi Carabinieri di Fossano nel 2006 e nel quartiere Crocetta a Torino nel 2007 (reato di strage aggravata dal fatto che l’obiettivo sarebbero state le forze dell’ordine; caduta l’aggravante della motivazione politica), dell’invio di pacchi bomba postali all’allora sindaco di Torino, Chiamparino, al direttore del giornale Torino Cronaca, Giuseppe Fossati, e al COEMA edilità nel 2006. È inoltre indicato come promotore della FAI, riconosciuta come associazione sovversiva con finalità di terrorismo. È caduta l’aggravante della transnazionalità.

 

Anna è stata condannata a 17 anni per gli ordigni alla Crocetta e Fossano e per i pacchi bomba postali del 2006, oltre che per associazione sovversiva con finalità di terrorismo come promotrice della FAI. Nicola è stato condannato a 9 anni per associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Marco e Sandro sono stati condannati a 5 anni per partecipazione ad associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Assolti tutti gli altri imputati. Tutti i condannati rimangono in carcere, mentre viene scarcerato Danilo e Valentina esce dai domiciliari.

 

Processo di appello:

 

Per la data del 1 luglio 2020 è stata stabilita la prima udienza di appello del processo Scripta Manent presso l’aula bunker del carcere di Torino.

 

Gli imputati prigionieri saranno in videoconferenza, come in tutte le ultime udienze del primo grado. Infatti durante il periodo delle udienze preliminari non c’era ancora nessuna legge che imponesse la videoconferenza. Poi, all’inizio del primo grado è passata la legge che però concedeva un anno di tempo a carceri e tribunali per adeguarsi, imponendo in quell’anno di adeguamento la videoconferenza solo agli imputati accusati di essere ai vertici delle “associazioni”. Passato l’arco di tempo di un anno, la videoconferenza è stata applicata a tutti come previsto.

 

Il grosso dell’udienza è stato occupato dalla discussione di varie eccezioni presentate dagli avvocati di difesa in merito al ricorso in appello anche per i compagni assolti in primo grado presentato dal P.M. Sparagna. In particolare sembrava evidente che il P.M. non avesse rispettato i tempi per presentare il suo ricorso, ma un ricalcolo da parte dei giudici ha stabilito nel tardo pomeriggio che il ricorso fosse valido… il processo continua quindi anche per gli imputati assolti in primo grado.

 

Nel corso delle successive udienze, hanno richiesto la condanna per tutti, negando il riconoscimento del “ne bis in idem” (essere già stati processati per gli stessi reati); viene richiesto inoltre il non riconoscimento delle attenuanti generiche per tutti e, nello specifico, la non continuazione del reato per quello che riguarda il ferimento di Adinolfi. Si richiede anche il riconoscimento del reato di strage per l’attacco alla caserma dei RIS di Parma.

 

Il 24 novembre 2020 è stata emessa la sentenza d’appello.

 

– Anna: 16 anni e 6 mesi (in primo grado: 17 anni).

 

– Alfredo: 20 anni (come in primo grado).

 

– Nicola: 1 anno e 1 mese (in primo grado: 9 anni), in continuazione con la sentenza di cassazione a 8 anni, 8 mesi e 20 giorni del processo per l’azione contro Adinolfi.

 

– Alessandro: assolto da ogni accusa (in primo grado: 5 anni).

 

– Marco: assolto dall’accusa di «associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico» (in primo grado: 5 anni), ma condannato a 1 anno e 9 mesi per «istigazione a delinquere» in relazione a “Croce Nera Anarchica”.

 

La condanna per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico» è stata confermata solamente per Anna, Alfredo e Nicola.

 

I compagni Nicola, Alessandro e Marco sono stati scarcerati.

 

A differenza del processo in primo grado, sono state emesse anche altre nove condanne ad altrettanti compagni per «istigazione a delinquere». Condanne inerenti, a vario titolo, la pubblicazione di “Croce Nera Anarchica”, rivista aperiodica e sito internet, e la gestione di alcuni siti internet che erano stati posti sotto accusa nel processo. Queste condanne variano tra i 2 anni e 6 mesi per Gioachino Somma e 1 anno e 9 mesi per Erika, Omar, Alessandro e Lello.

 

Oltre ad Alessandro sono stati assolti da ogni imputazione altri nove compagni anarchici, tra cui Danilo in carcere dal 6 settembre 2016 e scarcerato con l’assoluzione in primo grado il 24 aprile 2019 , e Valentina in carcere e successivamente agli arresti domiciliari nello stesso periodo, anch’essa scarcerata con l’assoluzione in primo grado. Gli altri compagni erano imputati a piede libero.

 

La Cassazione:

 

Lo scorso luglio la Cassazione ha riqualificato l’attacco esplosivo contro la scuola allievi dei carabinieri di Fossano(Cuneo) del 2 giugno 2006 rivendicato da “Rivolta Anonima e Tremenda / Federazione Anarchica Informale” in “strage politica” (art. 285 c. p.), rinviando al tribunale di Appello di Torino per il ricalcolo peggiorativo della pena con il rischio dell’ergastolo per i compagni Alfredo Cospito e Anna Beniamino. L’ergastolo è la pena base che il codice penale italiano prevede per la strage politica. Dopo aver riqualificato il reato, la Cassazione ha rinviato in corte d’appello appunto per rideterminare le condanne. L’udienza che deciderà l’entità di tali condanne è stata fissata a Torino per il 5 dicembre 2022.

 

Il 5 dicembre appena trascorso, si è tenuta l’udienza di appello bis del processo Scripta Manent contro Alfredo Cospito e Anna Beniamino. Il procuratore generale ha chiesto 27 anni e un mese per Anna e l’ergastolo ostativo con 12 mesi di isolamento diurno per Alfredo, andando persino oltre le precedenti richieste del P.M. Sparagna, che per Alfredo furono di 30 anni.

 

La corte di assise di appello di Torino non è riuscita ad emettere la sentenza e si è rivolta alla corte costituzionale: i giudici torinesi chiedono se sia legittimo essere obbligati a non riconoscere le attenuanti ad Alfredo Cospito a causa dei suoi precedenti penali. Ciò li obbligherebbe infatti a condannare Alfredo all’ergastolo, pur per una azione che non ha provocato né morti né feriti.

 

Il prossimo 19 dicembre ci sarà una nuova udienza a Torino, udienza formale tesa ad elaborare il quesito da sottoporre alla consulta.

 

Alfredo e Anna sono intervenuti con delle dichiarazioni spontanee che a oggi avrete già avuto modo di leggere perché tradotte e divulgate a livello internazionale. Alfredo ha ribadito che continuerà lo sciopero della fame iniziato il 20 ottobre 2022 fino al suo ultimo respiro contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, Anna ha sottolineato come chiunque sia dotato di un minimo di pensiero critico saprà individuare i mandanti e gli esecutori dell’annientamento di Alfredo. I solidali presenti in aula hanno salutato i compagni imputati con slogan e grida.

 

Terminato con questo riepilogo -limitato e privo di analisi- riguardo ciò che è stato il processo Sripta Manent, cercherò di addentrarmi nel merito della disposizione del regime 41 bis al nostro compagno Alfredo, al suo sciopero della fame e la mobilitazione internazionale che questo precedente ha generato. Riportando un mio recente contributo al dibattito, con le dovute modifiche per l’occasione. Anche se maggiori delucidazioni al riguardo vi saranno espresse dai compagni del giornale anarchico Vetriolo in relazione a quel che è stata l’ “Operazione Sibilla” per loro e in particolare per Alfredo.

 

L’importanza di una solidarietà Rivoluzionaria. Con l’anarchico Alfredo Cospito, il suo percorso e le sue posizioni.

 

“Vogliamo un presente che meriti di essere vissuto e non semplicemente sacrificato ad attesa messianica di un futuro paradiso terrestre. Abbiamo per questo voluto parlare in concreto di un’anarchia da realizzare ora, non domani. Il “tutto e subito” è una scommessa, una partita che ci giochiamo dove la posta in gioco è la nostra vita, la vita di tutti, la nostra morte, la morte di tutti…» Pierleone Mario Porcu

 

Quella mattina del 7 maggio 2012 a Genova, a riempire con gioia il caricatore di una vecchia Tokarev, che successivamente, stretta in un pugno sparò alle gambe dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, non vi erano unicamente due anarchici d’azione, Nicola Gai e Alfredo Cospito, ma vi era la parte più viva e concreta dell’anarchismo rivoluzionario che si fa azione. Che come “Nucleo Olga” attraverso il mezzo della Federazione Anarchica Informale, quel giorno tagliava i ponti con il presente di allora, con l’immobilismo di un certo anarchismo e il ripiegamento di esso verso toni sempre più al ribasso. Mostrandoci, dopo Fukushima e il ritorno dello spettro del nucleare in Europa, come dietro alle tragedie che tormentano il pianeta, la natura, l’uomo, le stesse tragedie che scatenano emozioni forti nei nostri cuori, non ci siano astrattezze, non ci siano concetti: ma ci siano uomini che proseguono senza sosta nella loro folle e autodistruttiva corsa, ci siano strutture che rendono possibile l’avanzare della morte, ci siano schiavi che proteggono con le armi gli uni e le altre. E che questi uomini, queste strutture, hanno nome e indirizzo.

 

In seguito a quell’azione Nicola e Alfredo vennero arrestati, processati e rivendicarono a testa alta in un’aula di tribunale il loro gesto. Evidenziando come l’azione diretta distruttiva e l’ipotesi armata, fossero ancora dei fatti tanto reali quanto necessaria la loro rivendicazione da parte degli anarchici.

 

Dopo dieci anni di carcere, questo 5 maggio 2022, Alfredo ha ricevuto notifica del suo trasferimento dall’“Alta Sicurezza 2” al “41 bis”.

 

Il 6 luglio 2022, la Corte di Cassazione ha riqualificato l’attacco esplosivo contro la scuola allievi Carabinieri di Fossano del giugno 2006, rivendicato dalla cellula Rivolta Anonima e Tremenda / Federazione Anarchica Informale, per cui erano imputati i compagni Anna Beniamino e Alfredo Cospito, in “Strage Politica”, rinviando ad un calcolo peggiorativo della pena che potrebbe anche prevedere l’ergastolo ostativo.

 

Oggi ancora una volta Alfredo si trova a dar tanto all’anarchismo e a noi tutti, ponendo la sua dignità e le sue posizioni irriducibili persino davanti alla sua stessa condizione fisica con uno sciopero della fame intrapreso dal 20 ottobre 2022 contro il regime 41 bis e l’ergastolo ostativo, il quale andrà avanti ad oltranza, utilizzando il suo corpo come una barricata affinché non passi l’utilizzo del regime 41 bis nei confronti degli anarchici. Sciopero della fame al quale si sono uniti nel tempo anche gli anarchici Juan Sorroche, Ivan Alocco e Anna Beniamino (che in questo momento hanno interrotto).

 

La situazione attuale da spazio a diverse riflessioni, forti emozioni e tante iniziative di vario genere verificatesi in questi due mesi, iniziative in questi contesti sempre molto importanti, sempre valide e di fondamentale importanza affinché questa battaglia abbia maggior eco possibile, ma la lotta di Alfredo in questo momento diventa anche uno strumento per la critica al regime 41 bis e alla società carcere in maniera più generale. Ciò che in questo momento dovrebbe prevalere a mio parere, come componente anarchica rivoluzionaria (internazionale), sono la compostezza, la lucidità e la fermezza che richiede la situazione. Capire cosa fare e come farlo, quali argomentazioni sostenere, ma sopratutto quel che un momento specifico come uno sciopero della fame ad oltranza richiede, per continuare a fare quello che abbiamo fatto fino a ieri e darci l’occasione di farlo anche un domani. Una considerazione in sintonia con quanto scritto poc’anzi è sicuramente la necessità di uscire dalle maglie di una limitante lotta specifica anti-carceraria, uscendo dal vicolo cieco di una mobilitazione generalista e sensibilista che guardi unicamente al regime 41 bis, saper leggere la fase e cogliere, questa volta, il reale oggetto del contendere partendo dalla costruzione di una solidarietà internazionale, specifica, e una mobilitazione ad personam che impedisca l’assassinio del nostro compagno Alfredo Cospito in una tomba di ferro e cemento, da solo.

 

Una solidarietà rivoluzionaria che parta innanzitutto dal rivendicare a viso aperto non solamente le generiche pratiche, che dopotutto assumono solamente il carattere di chi le esercita, ma la storia, le idee, le posizioni, le specifiche azioni contestate al nostro compagno e i conseguenti discorsi che le hanno accompagnate. E questo lo dobbiamo gridare, deve essere una prassi questa valida anche per altri processi alle azioni dirette distruttive, perché è uno dei passaggi fondamentali volto a rompere l’isolamento attorno a chi viene arrestato, dimostrando al potere che quelle azioni appartengono a tutti a tutti gli anarchici.

 

Perché se siamo dalla parte di Alfredo, non è solamente perché la sua situazione attuale tormenta i nostri cuori, ma sopratutto perché è un compagno che ha dedicato la sua vita all’Idea anarchica, che è anche la nostra. Ed è evidente che se non siamo in grado di difendere noi il nostro anarchismo rivoluzionario-nichilista e le sue ragioni, nessun altro potrà mai farlo.

 

Qualunque discorso, più o meno condivisibile, rischia di rimanere – in questo momento specifico si intende- unicamente sul piano di una solidarietà umana, diluita in una lotta smussata e più generale contro il carcere. In passato la questione 41 bis l’abbiamo affrontata più volte, mettendoci la faccia anche quando non avevamo un compagno anarchico in quel regime, seppur con sbalzi di continuità, e continueremo ad affrontarla anche nel futuro più immediato, se avremmo la capacità di elaborare un ragionamento di più ampio respiro, in prospettiva, su come lo strumento di tale regime detentivo potrà essere applicato a fasce sempre più estese del conflitto sociale.

 

Ma quel che conta oggi, in questa corsa contro il tempo, è tirare fuori Alfredo da quel regime, ottenere una declassificazione immediata, senza altre condizioni.

 

Alfredo in tutti questi anni non è mai stato una vittima, e se oggi si trova sottoposto a questo regime è esclusivamente per la volontà da parte del potere di stroncarlo nella sua persona togliendogli i rapporti con ciò che Alfredo per primo ha sempre definito la sua comunità. Non si può escludere inoltre che lo Stato stia cercando di tastare il terreno del “movimento anarchico”, in funzione probabilmente di riuscire a disporre in futuro di questo strumento di annichilimento nei nostri confronti per quel che si è, più per quel che si fa. Potremo inoltre ipotizzare, persino che questo regime possa sostituire definitivamente l’Alta Sorveglianza nel tempo.

 

Sembra evidente che la finalità che il sistema Stato-Capitale persegue, per mezzo del potere poliziesco-giudiziario, con processi, condanne per terrorismo e disposizione del regime d’annullamento quale 41-bis, sia l’eliminazione, l’eradicazione e l’isolamento del nemico di classe dichiarato, come ci dimostra anche la situazione a carico dei comunisti rivoluzionari Nadia Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma che resistono con una dignità esemplare da ben 17 anni alle tenebre del 41-bis. Tutto ciò ci ricorda con forza quanto la battaglia di Alfredo vada sostenuta anche per loro. Tutto questo, in quanto è parte dell’essere connaturato del sistema poliziesco-giudiziario e della sua legge, non può essere estrapolato da un discorso più ampio relativo al contrasto, da parte dello Stato, nei confronti della lotta rivoluzionaria anarchica contro il sistema Stato-Capitale globale in cui rientra anche l’uso del 41 bis come strumento di coercizione ed estorsione del pentimento, quando nessun elemento del domino può recuperare individualità e azioni rivoluzionarie, perché è una volontà, la nostra, rivoluzionaria appunto, che supera le sabbie mobili del disorientamento e dell’attendismo. Una volontà che ha la determinazione e la presunzione ottimista di trasformare la realtà, pur mantenendo immutata la tensione nichilista anarchica per cui riteniamo, nonostante non abbiamo mai messo da parte l’idea della rivoluzione sociale, che questo mondo vada demolito cosi come si presenta oggi.

 

Non a caso in questi termini si collocano a pieno anche le condanne per istigazione a delinquere ricevute in questi anni nei confronti della “Croce Nera Anarchica” e di “RadioAzione”; l’operazione Sibilla nei confronti del giornale anarchico “Vetriolo” e della pubblicazione dell’intervista ad Alfredo Cospito “Quale internazionale?”. In questo senso infatti, possiamo dire che quanto sia stato fatto negli ultimi anni con le nostre pubblicazioni, è stato e continua ad essere di un inestimabile valore perché consente, oggi, agli anarchici di riappropriarsi delle loro idee, di dargli spazio, con l’audacia di sempre, immutabile, con la medesima propensione all’agire nella consapevolezza rivoluzionaria, costruendo l’internazionale.

 

Fuori Alfredo dal 41 bis!

 

Contro l’uso del 41 bis nei confronti dei prigionieri rivoluzionari! Sempre per l’anarchia.

 

Chiudo questo scritto cogliendo l’occasione per mandare i miei più sinceri e calorosi saluti ai promotori di questa iniziativa, ai compagni tutti che in Grecia continuano a battersi da anni dentro e fuori le galere, augurandovi che l’iniziativa si sviluppi anche al di là delle più rosee aspettative e che sia di stimolo per affinare ulteriori dibattiti armando quel bisogno di libertà che ci contraddistingue.

 

Omar Nioi 17/12/2022 Sardegna

Lo Stato è debole

La decisione del tribunale di sorveglianza di Roma, resa nota il 19 dicembre, di confermare la detenzione in regime di 41 bis per l’anarchico Alfredo Cospito è di fatto una condanna a morte, stante la decisione del compagno di non interrompere lo sciopero della fame ad oltranza iniziato il 20 ottobre. Lo Stato mostra i muscoli e si prepara alla prova di forza. Il suo motto potrebbe essere sintetizzato con ammazzarne uno per arrestarne cento, puntando alla liquidazione del movimento anarchico, almeno quello della nostra generazione. Quella che invece sta dando, in realtà, è una prova di debolezza. Sono due mesi che ci diciamo che non è il tempo di analisi e riflessioni, che la situazione è urgente, che bisogna agire.
Eppure, se è vero che per l’anarchismo la teoria non è mai separata dalla pratica, siccome esse si intrecciano in maniera indissolubile, forse è allora proprio questo il momento non tanto di fermarsi a riflettere, ma di ragionare continuando ad agire.
In estrema sintesi. Riteniamo che lo Stato italiano abbia commesso un grosso errore decidendo di aprire il 41 bis per la prima volta ad un anarchico imprigionato. Questo errore ha comportato il verificarsi della più grande mobilitazione di denuncia e di lotta, concreta e internazionale, contro il 41 bis da quando questo infame regime di annientamento e tortura è stato inaugurato nel 1992. Questo movimento non è guidato da sinceri democratici, ma è spinto nella sua essenza propulsiva dall’azione individuale di un compagno indomito, che in questa lotta sta mettendo a repentaglio la sua stessa vita, e da tante azioni e iniziative, individuali e collettive, di un movimento anarchico che ha saputo ritrovare rabbia e vitalità.
Di fronte a tutto questo, paradossalmente, oggi lo Stato potrebbe valutare che – posto che ormai l’errore è stato compiuto e che lo si dovrà pagare – ammazzare Alfredo Cospito possa essere l’opzione meno dolorosa. L’alternativa sarebbe la sconfitta e il dover fare un importante passo indietro, anche perché il movimento anarchico internazionale non promette, dal canto suo, di fare passi indietro in cambio della vita di un compagno. L’anarchismo non sta barattando (né potrebbe mai farlo), una sorta di disarmo in cambio della declassificazione di Alfredo. Così lo Stato non ha nessuna garanzia che gli anarchici si fermeranno. Anzi, teme che saranno rinvigoriti da una vittoria contro il 41 bis.
Si tratta di una scommessa azzardata. E la vita di Alfredo oggi passa dai dadi di questi infami giocatori d’azzardo.

Gli anarchici in 41 bis: genesi di un tentativo di sfondamento politico-militare

Siamo nella primavera del 2022. Il Paese è sorretto dal governo di Unità Nazionale guidato da quello che secondo molti è l’uomo più autorevole delle élites politiche ed economiche europee: Mario Draghi. La pace sociale è asfissiante. In compenso c’è la guerra, quella vera, alle porte d’Europa. Il governo Draghi, in particolare la sua componente di centrosinistra, è fervente sostenitore della politica della NATO. In assoluto uno dei governi più guerrafondai dell’alleanza. Questo provoca enormi sacrifici per la popolazione. Draghi lo sa bene e sa altrettanto bene che la pace sociale è un matrimonio fragile, che può crollare da un momento all’altro. Draghi lo sa bene proprio perché, da direttore della Banca Centrale Europea, è uno dei responsabili della macelleria sociale in Grecia.
Gli anarchici possono essere proprio quella miccia che fa deflagrare la situazione: sono gli unici che, nei fatti, non hanno mai disarmato le ragioni dell’offensiva, quindi la significatività di un connubio tra critica e pratica che per sua natura è profondamente sociale e mai meramente politico. Questo perché – come spesso amiamo ripetere – ci poniamo direttamente all’interno del conflitto, sfruttati tra sfruttati, oppressi tra oppressi, senza affrontarlo o indirizzarlo dall’esterno. Tuttavia gli anarchici appaiono in quel momento, agli occhi dei governanti, quanto mai deboli e divisi. Bisogna ricordare che il 41 bis è in assoluto il momento più politico dell’intero meccanismo giudiziario, tanto che è il ministro della giustizia a firmare i decreti di internamento, cosa che non avviene per nessun’altra ordinanza o sentenza di ogni ordine e grado. E così l’allora ministra Marta Cartabia il 4 maggio firma il decreto di detenzione in 41 bis per l’anarchico Alfredo Cospito, un provvedimento che il giorno seguente diviene esecutivo.
Siamo in tempi di guerra e allora può tornare utile una metafora di tipo militare. Lo Stato in quei mesi ha tentato uno sfondamento in profondità, l’attacco contro il movimento anarchico doveva servire da testa di ponte per un giro di vite complessivo contro chi persevera a credere nella possibilità realizzativa della trasformazione rivoluzionaria e, più in generale, contro l’antagonismo e l’opposizione sociale. Sono i mesi nei quali la procura di Piacenza, per fare l’esempio più eclatante, arrivò ad arrestare sei sindacalisti accusandoli di estorsione perché chiedevano aumenti salariali al padrone. Se contro il movimento antagonista bastano delle severe sferzate, contro gli anarchici si punta alla liquidazione, alla pena esemplare; lo Stato non vuole vincere, vuole stravincere. Nel giro di poche settimane arrivano la condanna di Juan Sorroche a 28 anni per l’attacco esplosivo contro la sede della Lega di Villorba, in provincia di Treviso, del 12 agosto 2018, arriva il trasferimento di Alfredo Cospito in 41 bis e arriva, in cassazione, sempre contro Alfredo e contro Anna Beniamino, la riqualificazione da «strage contro la pubblica incolumità» in «strage contro la sicurezza dello Stato» di una delle accuse (inerente il duplice attacco esplosivo contro la Caserma Allievi Carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo, del 2 giugno 2006) per cui sono già stati condannati, in primo grado e in appello, nel processo Scripta Manent. Se chiedete a qualcuno per strada cosa è una strage, questi sicuramente risponderà l’assassinio di molte persone. In realtà non è così, in Italia si può essere condannati per strage anche in assenza di morti o feriti.
L’articolo 285 del codice penale è il più grave in assoluto del codice penale italiano. Andrebbero scolpite nella pietra, ad eterna infamia, le parole di un passaggio delle motivazioni della corte di cassazione alla sentenza del 6 luglio scorso. Ai difensori, che obiettavano che l’articolo 285 non è stato utilizzato nemmeno per le stragi di mafia e per le stragi dei fascisti (quelle vere), la corte replica che «in quelle sedi le contestazioni riguardavano vicende nelle quali, in presenza di vittime umane, la distinzione dogmatica tra strage comune e strage politica perde di significato» (pag. 63). Detto in altri termini, quando ci sono i morti non è importante applicare l’articolo 285, tanto l’ergastolo arriva lo stesso, ma con gli anarchici, per un crimine meno cruento, bisogna per forza punirli con il reato più grave. Altrimenti come facciamo ad arrivare all’ergastolo?
Un passaggio, questo, che non solo consegna all’infamia perpetua e infanga per la storia il nome di chi lo ha scritto – Luciano Imperiali, presidente della corte – ma che è indicativo di cosa stesse maturando: componenti enormi dello Stato, a tutti i livelli, dal ministro della giustizia ai vertici del supremo organo giudiziario italiano, stavano «cospirando» per ottenere la strage politica dell’anarchismo. Questa è stata la presuntuosa scommessa dello Stato italiano. Tanti i personaggi che si sono messi in gioco, che hanno macchiato la propria onorabilità borghese per giungere al risultato.

Il passo più lungo della gamba: la più grande mobilitazione di tutti i tempi contro il 41 bis

Rimanendo sulla metafora bellica. Lo Stato tenta uno sfondamento in profondità, un’accelerazione repressiva come non se ne vedevano da parecchio tempo. Desidera una testa di ponte dove far affluire nuove truppe e quindi dilagare. Come in ogni guerra, lo sfondamento in profondità presenta dei pericoli enormi: in particolare, la difficoltà a difendere la posizione avanzata che si è conquistata. Una strage senza morti, non è facile da difendere. Un ergastolo senza morti, non è facile da giustificare. Così come non risulta facile spiegare come mai il 41 bis, nato per combattere i mafiosi, allargato poi nel silenzio generale ai compagni delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente arrestati nel 2003, venga adesso impiegato anche per gli anarchici.
Lo Stato non sa difendere questa posizione. E la cosa incredibile è che non lo fa. Non si difende, non si spiega. In due mesi di sciopero della fame non un solo editorialista, non un solo intellettuale, ci ha «messo la faccia» per scrivere un articolo, fare un’intervista, mettersi in gioco per dire che sì, è giusto che un anarchico detenuto venga trasferito in 41 bis e ci resti per tutta la vita. Si affrettano ad ammazzare Alfredo e non lo motivano pubblicamente. Giocano d’azzardo, ma non hanno le carte. Questa condotta prosegue, appunto, per tutti i primi due mesi di sciopero della fame, fino alla pubblicazione (come detto, il 19 dicembre) dell’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Roma per l’udienza del 1° dicembre sul ricorso contro il trasferimento in 41 bis, quando in alcune testate spuntano «timidamente» i primi titoli che, in maniera stentata, tentano di sostenere il provvedimento. Ma è ben poca cosa.
L’anarchismo è davvero qualcosa di meraviglioso e ci presenta sempre delle grandi conferme. Mai come nel caso di Alfredo Cospito azione individuale e azione di massa appaiono intrecciati, indistinguibili; perché è un individuo, Alfredo, in primo luogo, a fare la differenza. Alfredo ha deciso che una vita senza alcun contatto, una vita senza un dialogo con i suoi compagni, non è degna di essere vissuta. Nella Fenomenologia dello Spirito Hegel descrive una immaginaria lotta per la vita e per la morte fra due individui. Uno dei due ha paura della morte e si sottomette all’altro, così nasce la civiltà. Il servo sceglie la vita e rinuncia alla libertà. Alfredo ha dimostrato di non essere servo, sta dimostrando che nella civiltà dei servi non ci vuole vivere e, soprattutto, che la libertà vale più della sua stessa vita.
Il 20 ottobre il compagno entra in sciopero della fame. L’occasione è un’udienza al tribunale di sorveglianza di Sassari inerente un sequestro della corrispondenza. La sua dichiarazione non l’abbiamo letta, forse non la leggeremo mai, sequestrata come tutto quello che viene dal 41 bis. Chi è rinchiuso in 41 bis non ha il diritto di parlare, non una sua parola deve uscire da quelle mura. Nemmeno quelle che sarebbero potute essere le ultime parole della sua vita, nemmeno la dichiarazione dove annuncia uno sciopero della fame fino alla morte.
Questo ennesimo tassello nella coltre d’isolamento imposta dallo Stato diviene per quest’ultimo un primo punto debole. È in questo frangente che si comincia a scrivere, a tradurre in molteplici lingue, che in Italia c’è un compagno anarchico in sciopero della fame fino alla morte, ma che lo Stato gli impedisce di spiegare le sue motivazioni. Anche all’estero si comincia a concepire, ancora vagamente, che genere di inferno è il 41 bis.
I telegiornali occidentali ci martellano tutti i giorni con i crimini commessi dalle dittature loro nemiche. Ci raccontano delle infamità di Putin, ma poi troviamo gli oppositori politici di Putin che scrivono su Twitter dal carcere. Ci raccontano delle condanne a morte dei manifestanti in Iran, e nel farlo toccano le nostre emozioni con le loro ultime parole. Ora nel mondo si viene a sapere che in Italia c’è un condannato a morte a cui è stata tolta anche l’ultima parola.
L’infamia del 41 bis – le 22 di isolamento al giorno, la socialità massimo in quattro persone, l’ora di colloquio al mese con vetro divisorio, la censura della corrispondenza, i giornali che arrivano con gli articoli proibiti ritagliati, le finestre oscurate, i passeggi dove non passa la luce, il divieto di avere foto, disegni, libri – diventano di dominio pubblico. Nel momento in cui i governi ci chiedono sempre maggiori sacrifici nella propria guerra perpetua ai tiranni loro nemici, comincia a diventare indifendibile il fatto che in Italia i rivoluzionari vengano rinchiusi in 41 bis.
Lo Stato italiano si è messo proprio in un bel guaio. Un’ombra come non si era mai vista si addensa allargandosi sul corpo dell’antimafia – e conseguentemente, sulla sua struttura direzionale, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, responsabile diretta del trasferimento del compagno in 41 bis e organo di coordinamento per le più recenti operazioni repressive contro gli anarchici –, fino allo scorso 20 ottobre un’istituzione eroica e intoccabile per i più, mentre oggi nei muri di molte città italiane c’è scritto a caratteri cubitali che «l’antimafia tortura» o che occorre «chiudere il 41 bis». Intanto i boia si chiudono ancora nel mutismo. Come se sperassero di farla franca, di uccidere Alfredo nel silenzio generale.

Una mobilitazione radicale. I riformisti restano alla coda

Non bisogna sottovalutare la radicalità di quanto sta avvenendo, perché essa è un fatto inedito, quantomeno per la nostra generazione. Lo sciopero della fame di Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo non è, per fare un esempio storico, paragonabile allo sciopero della fame che fecero alcuni dissociati negli anni ‘80 del secolo scorso contro l’articolo 90 dell’ordinamento penitenziario (antenato del 41 bis). Cospito non è un dissociato, non è ravveduto, finché ha potuto ha continuato e perseverato a scrivere dal carcere articoli, contributi e interventi, sostenendo sempre la significatività dell’azione rivoluzionaria contro lo Stato e il capitale. Questo aspetto rende di per sé radicale quanto sta accadendo: la più grande mobilitazione della storia contro il 41 bis ha come «punta di sfondamento» un compagno anarchico rivoluzionario che sta mettendo a repentaglio la propria esistenza, contribuendo enormemente a rafforzare il senso e la prospettiva di una solidarietà rivoluzionaria internazionale.
Il sostegno ad Alfredo Cospito ha preso corpo, quantomeno per buona parte della mobilitazione, non come una generica denuncia del 41 bis in quanto regime detentivo di annientamento psico-fisico, ma come sostegno specifico nei confronti della lotta di un compagno avente una connotazione rivoluzionaria ben precisa. Naturalmente non tutti condividono, o affrontano volentieri, l’intera storia di Alfredo, ma è evidente che questa stessa storia esiste. È un fatto, limpido e ineludibile. Mentre, invece – e ciò non rappresenta o comunque non dovrebbe rappresentare un problema per quanti, nel nostro movimento, hanno vedute differenti –, molti altri possono affermare, come abbiamo fatto anche noi, di avere con Alfredo una condivisione profonda e radicale dei princìpi dell’anarchismo, di rispettare senza se e senza ma la sua storia, di sostenere le ragioni e il valore delle pratiche per cui è stato imputato e condannato o che ha rivendicato (come nel caso del ferimento dell’ingegnere Adinolfi, responsabile della catastrofe nucleare).
Questa evidenza inerente la natura della mobilitazione ha comportato che per la prima volta, per quanto riguarda la nostra generazione, stiamo assistendo a una situazione nella quale i riformisti, i garantisti, i democratici, quando ci sono, restano alla coda. È un fatto talmente inedito per i nostri occhi per cui ci troviamo a confronto con la necessità di dover sviluppare degli strumenti politico-culturali adeguati. Nel rapporto con movimenti antagonisti o istanze di critica sociale a determinate realizzazioni del potere, siamo sempre stati abituati ad essere – consentiteci la semplificazione – l’«area più dura» dentro le lotte, quelli spesso allontanati da dirigenti, o aspiranti tali, e dai servizi d’ordine, quando non ne siamo proprio al di fuori, talvolta disprezzando queste stesse lotte per la loro connotazione riformista o del tutto recuperabile. Avversi a ogni logica frontista, ci troviamo a sostenere una lotta nella quale non c’è alcun fronte comune volto ad aggregare entità aventi una concezione radicalmente differente dello scontro e dei compiti dei rivoluzionari: come detto poc’anzi, le «componenti» non rivoluzionarie attente alla lotta in corso si trovano, per forza di cose, costrette a inseguire gli eventi, magari riservandosi di sbuffare per le «truculenze» degli anarchici, però senza poter fare sostanzialmente nulla di più. Allo stesso modo, irrimediabilmente avversi ad ogni adeguamento al ribasso nel terreno del metodo, ci troviamo in una dimensione in cui il motore propulsivo è rappresentato dalla radicalità dell’anarchismo rivoluzionario: quindi quella dei compagni in sciopero della fame e delle azioni in solidarietà.
Detto ciò, un’iniziativa riformista-democratica in effetti c’è stata, con la presa di posizione sulla situazione di Alfredo da parte di alcuni importanti intellettuali: Luigi Manconi, collezionista di percorsi politici (ex Lotta Continua, ex Verdi, ex Partito Democratico); Frank Cimini, giornalista di cronaca giudiziaria; il filosofo Massimo Cacciari e la filosofa Donatella di Cesare; i Wu Ming, brillanti scrittori esponenti del mondo della disobbedienza civile; il vignettista impegnato Zerocalcare. Non ci interessa particolarmente il discorso mediatico, ma seguire la storia di questi due mesi attraverso la stampa borghese può risultare in questo caso utile quale intellegibile di ritorno per dimostrare come i riformisti questa volta sono stati alla coda della mobilitazione.
Quando Alfredo, e successivamente gli altri compagni – prima Juan Sorroche e Ivan Alocco il 25 e 27 ottobre, poi Anna Beniamino il 7 novembre –, hanno iniziato e intrapreso lo sciopero della fame la «potenza di fuoco» della stampa democratico-riformista era relegata a riviste specialistiche e di bassissima tiratura. Quando gli anarchici (già prima dell’inizio dello sciopero, in solidarietà con Alfredo recluso in 41 bis) hanno cominciato a rovinare la festa ai democratici e ai falsi critici nelle loro kermesse, poi a sciopero iniziato a svolgere cortei spontanei, ad occupare Amnesty International e le gru, a tappezzare le città di scritte murali, a porre in atto le più disparate iniziative in solidarietà, la stampa locale ne ha dovuto parlare. Intorno e a seguito della manifestazione del 12 novembre a Roma con i suoi tafferugli, i riformisti guadagnano le pagine nazionali: Cacciari scrive un articolo su “La Stampa” e Manconi su “La Repubblica”. I direttori delle principali testate si pongono il problema editoriale di spiegare che diavolo sta succedendo, visto che i loro lettori ne sanno ben poco dato che fino a pochi giorni prima vigeva l’assoluta censura sul tema. E così via, dopo le azioni dirette sempre più distruttive.
La crescita della campagna democratica si è potuta dare solo nelle condizioni di crescita della mobilitazione, radicalmente rivoluzionaria, degli anarchici e degli altri compagni solidali. E, naturalmente, nel protrarsi dello sciopero della fame e quindi nella drammatizzazione della condizione di Alfredo, che però – lo abbiamo ricordato – è un compagno con una chiara identità, quindi peraltro difficilmente strumentalizzabile in termini umanitaristici.
Ben curioso come alcuni di questi personaggi – in particolare Frank Cimini e Luigi Manconi – abbiano cominciato a preoccuparsi quando le azioni dirette hanno cominciato ad assumere certe proporzioni, sia dal punto di vista della distruttività sul terreno materiale che in quello della rilevanza mass-mediatica assunta da alcune di esse. Non solo prese di distanza, di cui non dubitavamo, ma Frank Cimini arriva a dire che «le manifestazioni esterne di solidarietà rischiano di alimentare la tesi della pericolosità sociale ed essere controproducenti come già accaduto in passato per altri detenuti politici», mentre Manconi ad affermare di voler «proprio conoscere quel genio di un anarchico che ha ritenuto utile, al fine di sostenere lo sciopero della fame di Alfredo Cospito contro il 41 bis, realizzare un attentato incendiario contro la prima consigliera dell’ambasciata italiana ad Atene», dato che quest’azione avrebbe «creato confusione e […] intimidito qualcuno», peraltro consentendo «al titolista del Giornale […] di scrivere che, dal momento che Massimo Cacciari e io abbiamo trattato l’argomento, Cospito avrebbe “sedotto i salotti chic”». Indispettito dopo l’attacco incendiario contro i veicoli di Susanna Schlein, il povero Manconi ci illumina pure informandoci che «solo una concezione politicista e burocratica, in sostanza autoritaria, della lotta politica può spiegare l’azione di Atene». I riformisti, in altre parole, dando alla realtà una lettura completamente auto-centrata, confondono l’effetto con la causa e non vedono come, se mai hanno avuto qualche voce in questa vicenda, essa è debitrice esclusivamente della mobilitazione intrapresa dagli anarchici, non il contrario.

La bilancia dello Stato

Quanto detto conduce però, paradossalmente, all’esito drammatico di questi giorni. Posto che per lo Stato sia stato un errore questo tentativo di sfondamento, posto che una cricca di «manettari» ha fatto precipitare il Paese all’interno di questi sussulti, ormai che dentro la tempesta ci siamo, gli apparati istituzionali più profondi in questi giorni stanno probabilmente mettendo sul piatto della bilancia due alternative: ci facciamo meno male se lo ammazziamo o se lo salviamo?
Declassificare Alfredo per lo Stato significherebbe fare un passo indietro di grande valore. Non si tratta infatti di un errore specifico, di quello che i benpensanti chiamerebbero un errore giudiziario. Se paragoniamo lo Stato a un organismo vivente, abbiamo visto mettersi in moto, in maniera organizzata e persino organica, numerose strutture. Una catena «proteica» che va dal precedente governo di Unità Nazionale con i suoi ministri più autorevoli (nel caso di Marta Cartabia si è spesso parlato di possibile prima donna alla presidenza della repubblica), passa da una struttura auto-sufficiente e incontrastabile come l’antimafia, coinvolge i giudici della cassazione, discende fino agli uffici di numerose procure italiane (Torino per il processo Scripta Manent, quindi l’accusa di strage, Perugia e Milano per le indagini contro la pubblicistica anarchica, in particolare contro il giornale anarchico “Vetriolo”, quindi l’accusa-insinuazione di «ispirare» o «orientare» le azioni, ecc.).
Oltretutto questo passo indietro avverrebbe senza alcuna garanzia. Gli anarchici non promettono niente allo Stato, non lo hanno mai fatto, non lo possono fare per propria natura e in quanto non hanno alcuna struttura politica unitaria. Soprattutto, non lo vogliono fare. Lo Stato italiano perderebbe la battaglia senza nessun premio di consolazione. Lo stesso ergastolo per Alfredo ed Anna è oggi più difficile da ottenere, dopo la decisione del 5 dicembre del tribunale di Torino di rivolgersi alla corte costituzionale ritenendo di dubbia legittimità l’essere obbligati (come pretende la cassazione) a dare un ergastolo in assenza di vittime.
Infine lo Stato ha delle strutture di auto-sufficienza, dei veri e propri «bunker» immuni da qualunque cosa succeda all’esterno. Nemmeno Silvio Berlusconi, quando era presidente del consiglio, è riuscito a fermare i magistrati che lo volevano condannare. Come può riuscirci Alfredo Cospito? Il tribunale di sorveglianza di Roma, addetto alla conferma dei provvedimenti di detenzione in 41 bis, è un organo che nella sua storia li ha sempre confermati tutti. Sono persone pagate per rigettare i ricorsi degli avvocati dei reclusi in 41 bis. Non fanno mai passi indietro, sono una fabbrica di rigetti e si sono confermati tali anche in questa occasione. Rivolte e appelli sui giornali, attentati e prese di posizione dei politici, non sentono nessuno.
Nondimeno lo Stato, intendendo ammazzare Alfredo, sceglie di giocare a dadi con il Diavolo. Non si sa dove lo porterà la partita. La speranza che muove gli esponenti della linea dura è che Alfredo possa fermarsi all’ultimo momento o che, uccidendolo, si possano raccogliere numerosi elementi di prova a carico di chi si sta mobilitando così da effettuare un’ondata di arresti e (illudersi di) chiudere la partita con gli anarchici. Ammazzarne uno per arrestarne cento.
Si tratta di una scommessa azzardata perché essa viene completamente giocata stando seduti dalla parte del torto. Vero è che non basta avere ragione per ottenere il successo; anzi, il fatto che sul pianeta Terra domini l’ingiustizia indica semmai il contrario. Tuttavia, quanto già detto – la natura vessatoria e disumana del 41 bis, la strage senza vittime, l’ergastolo senza morti, l’inaugurazione del 41 bis per gli anarchici – è talmente difficile da giustificare che lo Stato non avrà gioco facile nell’avanzare verso il massacro di Alfredo e di noi tutti. Ormai la vicenda Cospito è di pubblica opinione, ogni telegiornale ne ha parlato per diversi giorni e ne continuerà a parlare. Mentre, lo ripetiamo, non c’è un solo leccapiedi delle procure – non un Saviano, non un Travaglio, non un esponente di governo – che mette la faccia per spiegare perché è giusta la condanna a morte di un anarchico imprigionato.

Segnali di stanchezza dal fronte borghese

Il 19 dicembre arriva quindi il rigetto da parte del tribunale di Roma che si era riunito il 1° dicembre sul ricorso contro il provvedimento di trasferimento in 41 bis. Quasi tre settimane per dire di no, che Alfredo deve morire. La sera il telegiornale dell’emittente televisiva LA7 trasmette un lungo servizio di quattro minuti sulla vicenda. Alla fine del quale il direttore in persona, Enrico Mentana, prende la parola e dice delle cose molto pesanti.
Prima di riportarle, una premessa sul ruolo editoriale de LA7 e sulla figura di Mentana. Nata con l’ambizione di diventare il terzo polo televisivo, LA7 nei suoi 15 anni di vita ha cercato di presentarsi come alternativa sia delle televisioni di proprietà della famiglia Berlusconi che della televisione di Stato, la RAI. Con la scalata dell’editore Urbano Cairo, LA7 entra a far parte di un grande blocco editoriale che controlla anche quello che da sempre è il giornale più autorevole della borghesia italiana, il “Corriere della Sera”. Il blocco LA7-Corriere rappresenta dunque la voce del padrone; un padrone equilibrato, centrista, moderato, benpensante.
In questo quadro svolge un ruolo eminente il direttore del telegiornale. Mentana presenta egli stesso il telegiornale delle ore 20:00 e lo fa attraverso quella che molto spesso appare come una fastidiosa presentazione commentata dei fatti. Dopo alcuni servizi, si prende una manciata di secondi per i suoi commenti non richiesti. Mentana gioca a fare quella parte che nelle tragedie greche era occupata dal coro: la pubblica opinione che empatizza o stigmatizza le vicende dell’eroe. E cosa dice Mentana questa volta?
«È una questione molto molto spinosa. All’osservatore che, come nel mio caso, magari non ha tutti i dati sottomano, sembra che non ci sia proporzione nel chiedere il carcere più duro possibile a chi non ha ucciso né ferito, a chi ha compiuto reati non tali da essere accomunati a quelli di Totò Riina e simili, non è questo il caso. Oltretutto l’interesse di tutti è non creare un caso così spinoso che porta anche a queste reazioni. Ma c’è una questione di giustizia, e lo sapevamo, e non lo si scopre oggi».
La voce della borghesia, per bocca del corifeo Enrico Mentana, dice almeno due cose molto pesanti. La prima, di carattere umanitario: non c’è proporzione tra gli anarchici e la mafia, tra Alfredo Cospito e Totò Riina, il 41 bis per Cospito è sproporzionato. Si tratta di una affermazione ovvia, oggettiva, banale. Conferma il fatto che lo Stato sta facendo una scommessa essendo seduto dalla parte del torto. Persino i direttori dei telegiornali ormai lo affermano e, neanche questa volta, qualcuno che si faccia avanti presso l’opinione pubblica per sostenere il contrario. Lo vanno ad ammazzare e non difendono la propria decisione. Lo vanno ad ammazzare e cercano ancora di farlo in silenzio, sono completamente «impazziti» e non vedono che il silenzio ormai è rotto. Stanno zitti, si mettono i tappi nelle orecchie, e danno un altro giro alla garrota.
La seconda affermazione, però, è addirittura clamorosa: «Oltretutto l’interesse di tutti è non creare un caso così spinoso che porta anche a queste reazioni». Il commento si riferisce alle azioni dirette avvenute negli ultimi giorni, azioni di cui aveva appena parlato il servizio andato in onda. La borghesia italiana, con questa brevissima affermazione, sta dicendo una cosa molto pesante: noi siamo stanchi. La borghesia non comprende per quale ragione gli apparati di sicurezza l’abbiano infilata in questo guaio. Abbiamo già a che fare con la guerra, con la crisi, con il caro energia, perché diavolo ci avete scatenato gli anarchici, per di più con delle ripercussioni a livello internazionale? Poi, perché a partire da una posizione così debole da difendere?
Infine, la stilettata ai responsabili di questo disastro: in Italia c’è un problema di magistratura e non lo si scopre oggi.
In Italia, a partire dal 1992, si è infatti costituito un blocco di potere incontrastabile. Se fossimo dei sinceri democratici preoccupati per le sorti del Paese lo definiremmo «un blocco di potere eversivo». La logica dell’antimafia è una logica del tutto indifferente al mondo e alle sue sollecitazioni. E lo è in maniera costitutiva. Nella paranoia della mafia, nessuno può fermare l’antimafia. Se l’ordinamento avesse previsto, per esempio, che un ministro, il parlamento, una commissione potesse fermare l’antimafia, il pensiero paranoico avrebbe potuto dire: chi ci garantisce che quel ministro, che quel parlamento, che quella commissione non sia in mano alla mafia stessa?
Oggi la borghesia italiana sta pagando il prezzo delle fibrillazioni provocate dal movimento in solidarietà con lo sciopero della fame intrapreso da Alfredo Cospito. L’antimafia, come ogni istituzione, a prescindere dalla propria retorica di autosufficienza, si regge sul sostegno popolare. Il suo «bunker» politico-militare è stato costruito in quel sostegno. Oggi la vita di Alfredo passa anche attraverso la denuncia delle responsabilità dell’antimafia. Quel sostegno deve e può essere messo in discussione. Chi vuole uccidere Alfredo deve sapere che facendolo sta spargendo una pennellata di merda sui baffi di Falcone e Borsellino.
In conclusione, una componente dello Stato ha inteso condannare i compagni Anna Beniamino e Alfredo Cospito puntando a pene che potessero arrivare all’ergastolo e ha voluto trasferire Alfredo in 41 bis affinché ciò fungesse, in termini di deterrenza, da monito contro il movimento anarchico. Allo stesso modo, quella stessa componente dello Stato intende oggi uccidere Alfredo come estrema prova di forza. Ma questa in realtà è una prova di debolezza. Davanti alla determinazione di Alfredo e alla mobilitazione solidale, l’organismo complesso Stato-capitale non è affatto coeso, dato che in esso esistono evidentemente delle spinte contrastanti, delle contraddizioni innestatesi proprio su questa stessa vicenda dello sciopero della fame. Sono dalla parte del torto e non sono capaci di motivare pubblicamente l’assassinio che hanno premeditato. La testa di ponte che lo Stato ha provato ad erigere trasferendo per la prima volta un anarchico in 41 bis è fragile. I rifornimenti sono difficili. Hanno voluto andare troppo in fondo e ora non hanno il coraggio di ritirarsi.
Come ha scritto il compagno Ivan Alocco, cominciando il 22 dicembre un nuovo sciopero della fame al fianco di Alfredo e in solidarietà con i compagni imprigionati: «Che sia attraverso la tortura psicologica dell’isolamento (una forma di morte sociale ed intellettuale) o attraverso la tortura fisica di una morte lenta, quello che vogliono è annientare uno dei loro nemici. Ma Alfredo non è solo. Non lo sarà mai. Il suo coraggio di fronte all’accanimento distruttore della repressione fa aumentare la nostra determinazione». Dobbiamo continuare, continuare, continuare. Alfredo è ancora vivo. Oggi come ieri, non riusciranno a spegnere il pensiero e le pratiche antiautoritarie, a spezzare la tensione rivoluzionaria.

Emmeffe
Efferre

24 dicembre 2022