Indirizzi provvisori arresti del 6 settembre

Troviamo su Croce Nera Anarchica l’indirizzo delle compagne e dei compagni arrestati nell’operazione “Scripta Manent” della Procura di Torino. Sono sicuramente provvisori, in attesa che i prigionieri vengano trasferiti nelle sezioni speciali per anarchici previste dal DAP. I cui tempi però, è bene ricordarlo, sono imperscrutabili: legati al periodo di isolamento formale (eventuali divieti di incontro) o meno (pretestuosi tempi tecnici), per cui le compagne e i compagni possono rimanere in queste carceri in isolamento anche per un bel po’. Pertanto è importante esprimere loro immediatamente la nostra vicinanza.

I compagni arrestati in questa operazione:

BISESTI MARCO: C.R. REBIBBIA via Bartolo Longo n. 72 – 00156 ROMA

MERCOGLIANO ALESSANDRO: C.R. REBIBBIA via Bartolo Longo n. 72 00156 ROMA

BENIAMINO ANNA: C.C. CIVITAVECCHIA via Aurelia nord km 79,500 n. snc 00053

CREMONESE DANILO EMILIANO: C.C. via San Donato n.2- 65129 PESCARA

SPEZIALE VALENTINA: C.C. via Ettore Ianni n.30 – 66100 CHIETI

ALFREDO E NICOLA SI TROVANO SEMPRE A FERRARA IN AS2

Daniele, compagno redattore di CROCE NERA ANARCHICA, è stato arrestato secondo altro procedimento, con l’accusa di detenzione di materiale atto alla fabbricazione di ordigni esplosivi. In seguito al ritrovamento nel suo appartamento di alcune batterie e un manuale da elettricista.

CORTELLI DANIELE C.C. regina coeli  Via della lungara n29 – 00165 roma

Per inviare contributi solidali
N° Carta PostePay: 4023 6009 1934 2891
Intestato a: Omar Nioi

Un punto di vista. Contributo di Alfredo Cospito al dibattito aperto da CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai

Questo contributo di Alfredo Cospito, prigioniero nel carcere di Ferrara, risponde al testo delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai tradotto e pubblicato anche su questo blog lo scorso marzo (https://thehole.noblogs.org/post/2016/03/10/grecia-testo-della-cospirazione-delle-cellule-di-fuoco-cellula-di-guerriglia-urbana/).

Lo scritto di Alfredo risale ad oltre un mese fa. Nonostante non sia più sottoposto a formale censura della posta, le comunicazioni dal carcere di Ferrara continuano ad essere intermittenti e con forti ritardi a causa dei soliti spioni in divisa.

Fonte: www.autistici.org/cna

Un punto di vista

Un contributo individuale al dibattito aperto dai fratelli e sorelle delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai

Ho avuto il piacere di leggere, tradotto da “Sin Banderas.Ni fronteras” il vostro scritto in cinque punti e mi è venuta una gran voglia di contribuire al dibattito. Le notizie qui in prigione in Italia sono limitate e sperando che la traduzione dello scritto in spagnolo sia affidabile, cercherò nei limiti del possibile di dire la mia. Premetto quindi che per la posizione in cui mi trovo e per la mia poca conoscenza della situazione in Grecia il mio contributo sarà limitato. Sorvolerò velocemente sull’interessante analisi che fate della situazione del movimento anarchico greco e sulla sua evoluzione storica negli ultimi dieci anni che mi ricorda da vicino(fatte le dovute differenze storiche) la situazione italiana della “ritirata” dopo l’esperienza di lotta armata degli anni 70 (senza, fortunatamente per voi, lo schifoso strascico di pentiti e dissociati) che qui in Italia, tanto per essere ottimisti, fece nascere dalle ceneri del lottarmatismo un anarchismo più vitale ed originale. Sono d’accordo con voi che le parole degli anarchici-e prigionieri non devono essere santificate e prese per verità assolute, sono semplicemente dei contributi teorici alla lotta. Come sono d’accordissimo quando sostenete che bisognerebbe: ”Ricordare le nostre esperienze passate non per imitarle ma per superarle”. Proprio per questo la creazione di un “movimento anarchico autonomo”, di un “polo anarchico autonomo per l’organizzazione della guerriglia urbana anarchica”, di una “federazione anarchica internazionale “ mi sembra un passo indietro. Un ritorno al passato, ai vecchi schemi che rischiano di ricondurre alla classica organizzazione specifica di sintesi, uno strumento vecchio, un bisturi spuntato. Dopo il “Dicembre nero”, splendida campagna d’azione a cui molti gruppi Fai-Fri hanno partecipato, avete sentito il bisogno di proporre un salto di qualità, avete sentito la necessità di un “polo anarchico autonomo” strutturato con i “propri meccanismi politici, senza burocrazia, nostre proprie assemblee senza ficcanaso, nostre proprie organizzazioni senza rango” e lo avete fatto a nome delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai.
Capisco perfettamente l’entusiasmo ed il bisogno che sentite di rafforzarvi, di diventare sempre più incisivi, di unire le varie correnti anarchiche rivoluzionarie, individualisti, nichilisti, insurrezionalisti, ribelli ma non credo sia quella la strada. E soprattutto che una proposta di questo tipo non dovrebbe provenire da una cellula Fai/Fri. Mi spiego, darsi un’organizzazione strutturata attraverso la creazione di assemblee inesorabilmente porterebbe alla nascita di organizzazioni specifiche snaturando l’informalità dello strumento Fai-Fri, deviando dagli obiettivi che la federazione informale si è data, facendola venir meno alla sua semplice natura di strumento di comunicazione. Una proposta come la vostra rappresenta sicuramente un tentativo generoso, ma in nome della Fai-Fri spingere alla nascita di un polo anarchico autonomo, fare un discorso quantitativo, ideologico di aggregazione di settori del movimento trasformerebbe la federazione informale in un’organizzazione che per sua natura con questi presupposti non potrà che farsi egemonica, impoverendola, rallentandola, alla lunga uccidendola.
Una proposta come la vostra fatta a nome della Fai-Fri dividerebbe piuttosto che unire, indebolirebbe piuttosto che rafforzare. Non mi stancherò mai di ripeterlo, secondo me la federazione informale deve “limitarsi” ad essere semplice strumento di cui anche compagni-e come me, totalmente alieni da qualunque organizzazione, possano far uso, regalandosi la possibilità di rapportarsi con altri singoli o nuclei sparsi per il mondo. La Fai-Fri è un’arma da guerra, più semplice è la sua struttura, più elementari sono le sue dinamiche di funzionamento, più sarà efficiente. Diminuirne la complessità ne aumenta l’efficacia. Come un coltello ben affilato, come una Tokaref ben oliata. Secondo me sono il coordinamento e l’assemblea le due metodologie che bisognerebbe evitare per non trasformare la Fai in una pachidermica, lenta organizzazione strutturata. Due metodologie che rischierebbero di farla diventare un’organizzazione specifica anarchica, nient’altro infondo della solita federazione anarchica impregnata di ideologia, che spiana qualunque dissenso intorno a sé fino a sparire sotto i colpi della repressione. Sia il coordinamento che le assemblee hanno bisogno della conoscenza diretta tra i gruppi ed i singoli. Per coordinarsi i rappresentanti dei vari gruppi devono incontrarsi e darsi delle scadenze temporali o altro per le azioni. Nelle assemblee i singoli individui si conoscono e dicono la loro, creando inevitabilmente leaderismi: chi sa parlare o muoversi meglio, chi ha più tempo da dedicare all’assemblea detta la linea, generando gerarchie e delega. Sia il coordinamento che l’assemblea espongono alla repressione, tutti si conoscono, è come un castello di carte, se cade una cadono tutte. La Fai in maniera molto semplice e naturale attraverso l’esperienza collettiva di decine di gruppi sparsi per il mondo ha sostituito, senza neanche accorgersene, queste due vecchie metodologie con le campagne rivoluzionarie, che non hanno bisogno di scadenze o conoscenza reciproca, parlano solo le azioni. Non c’è bisogno di coordinamento quando basta comunicare l’inizio di una campagna attraverso le rivendicazioni, scritti che seguono le azioni e che aprono dibattiti tra le differenti tensioni (insurrezionalisti ,individualisti, nichilisti, anarchici sociali e antisociali) creando percorsi nuovi mai caratterizzati dall’uniformità, dall’ideologia, dalla politica. Per quanto riguarda l’assemblea, questa è un modo di politicizzare , ideologizzare dei rapporti semplici e naturali di affinità, amicizia, amore , sorellanza, fratellanza che ogni gruppo Fai-fri tiene di per sé e che riguardano solo la propria vita più intima e che solo nel momento dell’azione si intrecciano con l’esistenza della federazione informale.
Rapporti che riguardano solo il singolo ed il suo gruppo e che non possono esser imprigionati in uno strumento politico come l’assemblea.
Non essendoci contatti diretti tra i gruppi, se si venissero comunque a creare dei meccanismi autoritari rimarrebbero per forza maggiore limitati a quel singolo gruppo, non impestando tutto l’organismo.
Detto questo so bene che chi vuol fare la rivoluzione deve necessariamente rapportarsi con assemblee e coordinamenti, anche perché la rivoluzione si fa con gli sfruttati, con gli esclusi ,con il cosiddetto “movimento reale” .
L’informalità della Fai-fri per un obiettivo” politico” di tale portata è inadeguata. La federazione informale segue un suo percorso di guerra che nei limiti delle sue forze vuole solo distruggere e niente costruire. Un percorso imprevedibile, mai ideologico, mai politico, mai costruttivo che a volte si interseca con quello del “movimento reale”. Due percorsi con obiettivi ben distinti il primo il movimento anarchico ,combattivo, violento, rivoluzionario con le sue assemblee ed organizzazioni specifiche e non il secondo la Fai-fri uno strumento semplice, elementare, basico, informale per fare la guerra, colpire per poi sparire, comunicare senza mai apparire. Bisogna tenere ben distinti i tuoi percorsi che insieme si annullerebbero a vicenda.
Soprattutto una cosa deve essere chiara , si fa parte della Fai -fri solo nel momento dell’azione, poi ognuno ritorna alla propria vita di anarchico, nichilista, individualista, ai propri progetti alla propria prospettiva di ribelle o rivoluzionario con tutto il suo corollario di assemblee, coordinamenti, nuclei di affinità, occupazioni, comuni ,lotte sul territorio , e chi più ne ha più ne metta.
La Fai-fri(così almeno la intendo io) non è un partito, né un movimento né tanto meno un’organizzazione, ma un mezzo per rafforzare e potenziare i singoli gruppi di affinità o singoli individui d’azione attraverso campagne internazionali che uniscono le nostre forze senza coordinamenti, senza cedere preziosa libertà. Un mezzo di cui può avvalersi qualunque anarchico che aspiri alla distruzione qui ed ora. Non è uno strumento perfetto, molte cose si possono migliorare ad iniziare dalle campagne internazionali che, secondo me, non sono mai state sfruttate a pieno. Immaginate di concentrare le forze su obiettivi di uno stesso genere , di portata internazionale. Cosa c’è di più internazionale e nocivo delle multinazionali, dell’industria tecnologica, della scienza…se le campagne sono generiche vanno secondo me a perdere forza e significato se ci si limita ad un fatto di mera testimonianza di generica solidarietà non si sfruttano a pieno le reali capacità di uno strumento che potrebbe (in quel caso sì ) far fare un enorme salto di qualità.
La prima generazione delle CCF ha avuto un gran merito, certi discorsi che prima erano stati fatti solo teoricamente, attraverso la loro forza e coerenza si sono concretizzati, hanno preso vita nelle campagne internazionali. Un discorso antico, che agli inizi degli anni 60 le federazioni giovanili anarchiche europee avevano messo in pratica e che sembrava appartenere ad un passato ormai lontano, oggi ha ripreso vita grazie al coraggio ed alla fantasia di fratelli e sorelle rinchiusi da anni nelle carceri greche ma, mai arresi .Un discorso attualissimo che, attraverso l’informalità, è rinato ed è più forte che mai.
Alfredo Cospito

[Prigioni greche] Per una nuova posizione di lotta dell’insurrezione anarchica – Per un Dicembre Nero

“Odio l’individuo che china il suo corpo sotto il peso di una potenza sconosciuta, di un X qualsiasi, di un Dio. Odio tutti coloro che cedendo ad altri per paura, per rassegnazione, una parte della loro potenza di uomini non solamente si schiacciano, ma schiacciano anche me, quelli che io amo, col peso del loro spaventoso concorso o con la loro inerzia idiota. Li odio, sì, io li odio, perché lo sento, io non mi abbasso sotto il gallone dell’ufficiale, sotto la fascia del sindaco, sotto l’oro del capitale, sotto tutte le morali e le religioni; da molto tempo so che tutto questo non è che una indecisione che si sbriciola come vetro…”
–Joseph Albert (Libertad)

Ci sono momenti nella storia in cui la casualità di alcuni eventi può provocare delle variabili dinamiche in grado di paralizzare quasi interamente lo spazio-tempo sociale.

Era la notte di sabato 06 dicembre 2008 quando in pochi istanti c’è stato il culmine del conflitto tra due mondi. Da un lato la violenza insurrezionale, giovanile, entusiasta, spontanea e impetuosa; dall’altro l’apparato ufficiale e instituzionale dello stato che, legittimamente, reclama il monopolio della violenza attraverso la repressione.

No, non si è trattato di un ragazzino innocente e un poliziotto paranoico che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma di un giovane compagno ribelle che ha attaccato una pattuglia, in una zona in cui gli scontri con le forze di repressione erano frequenti, e di un poliziotto che pattugliava quella stessa zona e, obbedendo all’idea personale di onore e reputazione della polizia, ha deciso di affrontare da solo gli agitatori. È stato un conflitto fra due forze opposte: da una parte l’Insurrezione, dall’altra il Potere, con i protagonisti principali di questo conflitto che rappresentavano il proprio campo.

L’assassinio di Alexandros Grigoropoulos da parte del poliziotto Epameinondas Korkoneas, e l’ampia sommossa che ne è conseguita, hanno causato un elettrochoc sociale potente, perché l’immagine di “pace sociale” ne è uscita distrutta e l’esistenza di questi due mondi contrapposti è diventata visibile nel modo più evidente, scatenando situazioni da cui non era facile tornare indietro, almeno non senza la creazione e la manifestazione di eventi la cui dinamica nessuno poteva più fingere di non aver notato, di non aver visto, di non aver sentito, di non aver preso in conto.

La rivolta del 2008 ha scosso una società che, per la maggior parte, approfittava ancora della benedizione consumistica e della cultura dello stile di vita occidentale, e ignorava le conseguenze insopportabili dell’incombente crisi economica. Ha causato imbarazzo, torpore e paralisi percettiva, poiché la maggioranza del corpo sociale era incapace di capire da dove saltassero fuori le tante migliaia di rivoltosi che creavano disturbi di tale portata.

All’indomani della rivolta, numerosi intellettuali, analisti politici, professori, sociologi, psicologi, criminologi, e persino artisti, approfittando tutti del loro prestigio e della loro notorietà professionale, hanno partecipato al dibattito pubblico, non solo per interpretare Dicembre ’08, ma anche per privarlo di senso, diffamandolo e condannando allo stesso tempo la violenza, da dovunque venisse, rendendo ben chiaro quale fosse il loro reale ruolo sociale.

C’è molto da dire su Dicembre ’08 e la sua eredità insurrezionale, come è stato manifestato attraverso decine di gruppi di azione diretta che si sono moltiplicati in maniera esplosiva in tutto il paese, creando un fronte di minaccia interna. Un periodo in cui l’azione diretta anarchica ha minato la normalità sociale quasi quotidianamente. Ma quello che vogliamo innanzi tutto è ricordare…

Ricordare cos’è stato Dicembre ’08 e come l’anarchia, assumendo un ruolo da protagonista, ha contribuito all’apparizione di situazioni dinamiche che hanno acquistato risonanza nel movimento anarchico internazionale.

Ricordare il momento in cui l’anarchia ha superato la paura dell’arresto, della prigionia e della repressione violenta, acquisendo così un’enorme fiducia in se stessa, passando ad azioni e gesti che fino ad allora sembravano impossibili; una fiducia che si è manifestata con l’intera gamma di azioni anarchiche multiformi, dai semplici interventi pubblici a ogni tipo di occupazioni, e dalle pratiche conflittuali spontanee alle azioni offensive più organizzate.

Vogliamo ricordare il nostro giovane compagno colpevole della propria spontaneità che ha pagato con la vita. In altre circostanze avremmo potuto essere al suo posto, poiché lo stesso entusiasmo insurrezionale ci pervade da allora, e tra l’altro, TUTT* dovremmo ricordare le nostre origini invece di esorcizzarle.

Vogliamo ricordare la bellezza del paralizzare lo spazio-tempo sociale attraverso corto-circuiti sociali piccoli o grandi.

Vogliamo ricordare quanto può diventare pericolosa l’anarchia, quando vuole…

Vogliamo rivivere i giorni in cui “morte non avrà dominio, i morti nudi saranno uno on l’uomo nel vento e la luna occidentale, e irromperanno nel sole fin che il sole cadrà” (versi parafrasati da un poema di Dylan Thomas).

* * *

“È così che impariamo l’umiltà.
Quante volte la gente è rimasta seduta
a casa e aspettato da sola,
aspettato che i compagni
tornassero?
La battaglia è pianificata
Ogni minuto conta
Ogni persona sa quello che deve fare
Sono state prese tutte le precauzioni.
Stanotte quanti guerriglieri stanno combattendo?
Stanotte la radio annuncia
che la polizia sta cercando di ricacciare
dalle strade centinaia di manifestanti.
Le pietre volano,
puoi sentire i canti, i vetri che si spaccano,
le sirene dietro il chiacchiericcio nervoso del cronista.
Le undici.
Non è ancora finita.
Quanti sono passati prima di noi?
Le linee risalgono
lungo la storia.
Quante ne restano ancora da fare?”
–La tribù dell’Aquila orgogliosa del Weather Underground

Partendo da una semplice osservazione, il bisogno imperativo di tracciare una strategia il cui nucleo sia l’azione anarchica molteplice che si scontri frontalmente col Potere e i suoi esponenti, siamo sicuri che il contributo di un’altra proposta teorica sull’organizzazione anarchica non sarebbe proficuo, se dovesse restare all’interno della struttura ristretta dell’inflessibilità ideologica. Se non tentiamo di sciogliere le nostre contraddizioni quotidiane attraverso azioni che siano complementari della lotta di liberazione nel suo complesso, siamo destinati ad annegare nella marea di introversione che pervade i circoli anarchici.

Crediamo che per elaborare una strategia – sui cui assi si incroceranno gruppi di affinità, lotta multiforme e insurrezione anarchica permanente – dobbiamo mettere alla prova nella pratica le nostre forze, il nostro slancio, le nostre capacità e i nostri limiti. In questo modo saremo in grado di porre i fondamenti logici basati su reali esperienze di lotta e non su acrobazie teoriche. Viviamo l’inizio della fine del mondo come lo conosciamo.

Il tentativo da parte dello Stato di risolvere pacificamente i conflitti sociali è un lontano ricordo, come lo è la prosperità economica, e i modelli d’interventismo di stato nell’economia sono finiti in pattumiera – dato che ai giorni nostri la dominazione delle multinazionali e la possibilità del Capitale di oltrepassare i confini nazionali senza restrizioni sono state istituzionalizzate dai centri di potere dominanti. La narrazione storica degli stati-nazione che ha servito lo sviluppo capitalista per diversi decenni attraverso le economie nazionali sta collassando, la fascizzazione tecnologica crea infinite possibilità per la gestione delle emozioni umane, la complessità in continua crescita della struttura sociale destabilizza gli automatismi sociali e militarizza la vita sociale delle metropoli, le macchine per la digitalizzazione della vita tolgono vigore al complesso funzionamento critico del pensiero degli esseri umani e creano cimiteri di coscienze, le immagini dell’orrore umano vengono assimilate nella coscienza sociale e cessano di creare sentimenti al di là della sensazione di choc.

Ci troviamo nel processo di un aumento qualitativo della “guerra civilizzata”, in cui la felicità di uno convive col tormento di un altro; in questo nuovo ambiente fa la sua comparsa la specie di umani contemporanei, geneticamente atti ad accettare come ovvio un modo di vita malato, in un mondo degenere da cui ogni selvatichezza della natura è sparita a causa della rigenerazione urbana e le tendenze espansive delle condizioni artificiali della civilizzazione. Viviamo in mezzo a roditori industriali che vivono con una dieta controllata, in un ambiente controllato, e si trasformano in modelli sociali che dobbiamo seguire per sopravvivere.

In questo contesto l’anarchia acquista una possibilità strategica di incendiare tutte le forme di rappresentazione politica e di diventare un fronte di guerra aperta e non convenzionale contro la dominazione, che trasformerà la diversità e il pluralismo delle opinioni all’interno della comunità anarchica in un vantaggio e riunirà gli oppressi che decideranno di spezzare le catene della loro sottomissione ai centri di lotta creati. Spesso le osservazioni più importanti vengono dette nella maniera più semplice. Vogliamo vedere il mondo del Potere distrutto dalle mani armate di uomini e donne ribelli. Quindi superiamo gli schemi teorici, e riportiamo il peso del discorso al punto iniziale, al punto in cui il sasso lascia la nostra mano per finire sulla testa di un poliziotto, il punto in cui decidiamo di spezzare le catene della prigionia, il punto in cui le volontà sovversive si manifestano in maniera combattiva nelle strade, il punto in cui le lancette di un ordigno esplosivo si allineano per far esplodere la nebbia assassina dell’ordine legale.

Invertendoil flusso del dialogo predeterminato, non parliamo in anticipo del modo in cui agiremo, ma proponiamo la coordinazione dell’azione anarchica e una rete informale di progetti anarchici tramite la forza vitale dell’azione multiforme; in questo modo saremo in grado ‘individuare i nostri errori e le nostre debolezze misurando allo stesso tempo le nostre capacità di arrivare a una valutazione critica che sarà la base della nostra strategia che favorirà l’azione anarchica frontale contro ogni autorità.

La nostra proposta di scommettere sulla formazione di un fronte anarchico insurrezionale molteplice è semplice; una campagna d’azione col nome di ‘Dicembre Nero’ che sarà il detonatore per la ripresa dell’insurrezione anarchica, dentro e fuori le prigioni.

Un mese di azioni coordinate per conoscerci fra noi, uscire in strada e distruggere le vetrine dei grandi magazzini, occupare scuole, università e municipi, distribuire testi che diffonderanno il messaggio di ribellione, piazzare ordigni esplosivi contro fascisti e padroni, esporre striscioni su ponti e strade, sommergere le città di manifesti e volantini, far saltare le case dei politici, lanciare molotov contro la polizia, taggare i muri con slogan, sabotare il flusso tranquillo di merci in pieno periodo natalizio, saccheggiare l’ostentazione di abbondanza, organizzare attività pubbliche e scambiare esperienze e motivazioni su diversi temi della lotta.

Incontrarci nelle strade della città, e dipingere con le ceneri sugli orridi edifici di banche, commissariati, multinazionali, basi militari, studi televisivi, tribunali, chiese, associazioni benefiche.

Sconvolgere in mille modi la mortale normalità sociale delle droghe psicotrope, l’asfissia economica, la miseria, l’impoverimento e la depressione, regolando la nostra esistenza sui ritmi dell’insurrezione anarchica, in cui la vita assume un significato nella battaglia incessante contro la dominazione e i suoi rappresentanti. Incendiare la fragile coesione sociale e uscire in strada per strangolare per prima cosa il mostro dell’economia, prima che ci stermini attraverso i suoi meccanismi burocratici e i suoi killer in giacca e cravatta che riempiono i centri di comando della guerra economica.

Dicembre Nero non cerca semplicemente di trasformarsi in qualche giorno di rivolta; quello che vogliamo creare invece – attraverso l’azione anarchica multiforme e multilivello – è una piattaforma di coordinazione informale sulla cui base confluiscano gli impulsi sovversivi; un primo tentativo di coordinazione informale dell’anarchia, al di là del quadro predeterminato, che aspira a creare quest’esperienza di lotta per mettere in moto proposte sovversive e strategie di conflitto.

Questa nostra proposta è legata allo stesso tempo con eredità di lotta corrispondenti al di là dei nostri confini geografici; qualche mese fa, in Messico, un gruppo di compagn* ha attaccato l’istituto nazionale elettorale con un ordigno esplosivo, e chiamato a una campagna anti-elettorale multiforme e dinamica per un Giugno Nero, appello che è stato raccolto da una parte significativa del movimento anarchico. Seggi elettorali e ministeri sono stati travolti dalle fiamme, scontri con la polizia sono nati nelle strade delle città, sono state tenute riunioni pubbliche, e testi di propaganda anarchica contro le elezioni sono stati distribuiti. Un mosaico di attività molteplici, con riferimenti politici e punti di partenza diversi, con cui l’anarchia ha risposto al circo elettorale della democrazia, avendo come strumenti i principi di orizzontalità, coordinazione informale e insurrezione perenne; tali esperienze di lotta, in cui l’immaginazione collettiva e la determinaione creano fuochi di guerra liberatori nel nuovo ordine dele cose, dimostrano chiaramente che esiste una prospettiva per l’abolizione effettiva della nota pseudo-polarità tra legale e illegale, e allo stesso tempo rende la progettualità anarchica opportuna attraverso i fuochi dell’insurrezione.

La scommessa della sovversione rimane aperta; il destino di questa proposta si trova nelle mani dei/lle compagn* di tutto lo spettro di lotta che sceglieranno se vale la pena metterla in movimento.

“La prima notte in cella, pensieri della sua vita libera viaggiavano a velocità vertiginosa nei neuroni del suo cervello. Sapeva che la prigionia è la conseguenza logica dello scontro con un nemico che possiede una potenza di fuoco superiore a tutti i livelli.
Per chi ha sabotato i binari del treno del terrore appartenente a una realtà sociale che elimina in ogni modo possibile coloro che lo mettono in questione, le sbarre della prigione saranno una realtà; ma naturalmente questo non significa che questa realtà verrà accettata senza lottare.

Con questi pensieri in testa, chiuse gli occhi e sognò non che gli sarebbe piaciuto vivere fuori dalle mura ma l’incubo di molti anni di inerzia, attesa e corruzione dei propri istinti.

Il mattino seguente, affrontando per la prima volta la monotonia di una routine carcerale quotidiana e ripetitiva, era già stanco di essere paziente; l’aveva visto viaggiare senza scopo attraverso il labirinto della tolleranza nei primi segni di una vigliaccheria nascosta. Rinchiuse l’odio nella valigia delle emozioni intatte accanto all’amore per la libertà, e passò la chiave a un compagno, chiedendogli di lasciarla acanto alle tombe dei/lle compagn* assassinat* che sono caduti in battaglia contro il nemico.

Gli anni sono passati e l’unica cosa che la prigione è riuscita a fare è stato riempirlo di rabbia, renderlo impaziente per il dopo, fargli cercare un modo di applicare praticamente la guerra anarchica; a quel momento aveva realizzato che l’unica alleanza fattibile è col mondo delle possibilità.

Poche possibilità per convincere la maggioranza delle persone in questa società che la sua scelta non si trova tra la follia e un’impasse, ma abbastanza perché valga la pena scommetterci per la grandiosa idea di distruzione. La grandiosa idea di una collisione frontale con il mondo delle ombre e i suoi sottomessi. La porta della prigione si apre, e ora sa cosa fare; tenere viva la memoria, non lasciare spazio all’oblio, non dimenticare mai i compagni lasciati indietro, riprendere il filo dell’insurrezione dove si era spezzato, versare il veleno dell’insubordinazione nelle reti riproduttive della società capitalista.

Per un’insurrezione anarchica permanente!
Nessuna tregua col Potere e i suoi burattini!”

Per un Dicembre Nero!

Per l’offensiva anarchica contro il mondo del Potere!

PS. L’11 dicembre di due anni fa il nostro fratello Sebastián ‘Angry’ Oversluij ha perso la vita durante l’espropriazione armata di una banca in Cile, ucciso dal tiro di un servo in uniforme del sistema. Crediamo che questo Dicembre Nero sia l’occasione per onorare la memoria del nostro fratello anarchico, unendo la memoria anarchica e abolendo di fatto confini e distanze.

Nikos Romanos

Panagiotis Argirou, membro della Cospirazione delle Cellule di Fuoco – FAI/IRF