LO SCIOPERO ARMATO di Errico Malatesta

Non ho mai amato particolarmente Malatesta, ma certo lo spirito di questo scritto è ben lontano dal catechismo di certi malatestiani.

L’Amanuense

[Londra, 1902]

La propaganda per lo sciopero generale ha fatto e sta facendo un bene immenso. Essa, indicando ai lavoratori un mezzo efficace per emanciparsi da loro stessi, distrugge la fede cieca e nefasta nei mezzi parlamentari e legislativi; scaccia dal movimento operaio gli ambiziosi che se ne fanno sgabello per salire al potere; dà mezzo ai rivoluzionari di impegnare nella lotta la grande massa operai, e mette questa lotta in tali termini che ne deve risultare naturalmente, in modo quasi automatico, una radicale trasformazione dei rapporti sociali. Però i grandi vantaggi di questa propaganda ed il successo che essa ha avuto han dato origine ad un pericolo grave per la causa stessa al cui trionfo essa è indirizzata

Si è andata formando l’illusione che la rivoluzione si possa fare quasi pacificamente, incrociando le braccia e riducendo i padroni a discrezione semplicemente col rifiutarsi di lavorare per loro. Ed ad forza di insistere sulla grande importanza della lotta economica, si è quasi dimenticato che a fianco ed in difesa del padrone che affama vi è il governo che affama ed uccide. A Barcellona, a Trieste, nel Belgio si è già pagato col sangue di popolo il fio di questa illusione. Si è fatto lo sciopero quasi assolutamente senz’armi e senza il proposito determinato di adoperare le pochissime che si avevano; – ed i governi con quattro fucilate han messo ordine a tutto.

Lo sciopero generale, quando si concepisce come uno sciopero legale e pacifico, è una concezione assurda. […] Che cosa si mangerebbe? Con quali mezzi si comprerebbe il necessario per vivere? I lavoratori sarebbero morti di fame assai prima che i borghesi dovessero rinunziare ad un poco del loro superfluo. Dunque se si vuol fare lo sciopero generale, bisogna essere disposti ad impossessarsi dei mezzi di vita in onta ai pretesi diritti di proprietà privata. Ma allora vengono i soldati, e bisogna scappare o battersi. Se dunque si sa che fatalmente lo sciopero dovrà portare al conflitto con la forza armata perché non dirlo e non prepararvici? Dovrà durare eternamente questo giuoco inetto di periodici conflitti in cui per centinaia di proletari uccisi, si ha a mala pena qualche soldato o poliziotto contuso di pietra? Facciamo sciopero ma facciamolo in condizioni da poterci difendere. Poiché dovunque si manifesta un conflitto tra padroni e lavoranti si presenta la polizia e la truppa, mettiamoci in grado di tenerle in rispetto.

I rivoluzionari si debbono armare per essere in grado a fare la rivoluzione quando l’occasione si presenta. Gli operai non rivoluzionari si debbono armare, almeno per non farsi bastonare come montoni. I proletari non potranno mai col risparmio raccogliere un capitale col quale lottare contro il capitale dei padroni; ma possono bene, con un po’ di buona volontà, procurarsi una rivoltella. Ed una massa di scioperanti munita di rivoltella o altre armi qualsiasi, impone ben maggiore rispetto di una che possegga una cassa di resistenza, sia anche pingue. Viva dunque lo sciopero generale, ma sia SCIOPERO ARMATO.

[Secondo articolo della serie L’Amanuense, raccolta di scritti copiati a mano e non reperibili sul web. Precedente articolo: “Contro lo Stato“. Comunicato anarchico sull’uccisione di Aldo Moro]

CONTRO LO STATO – Nucleo di controinformazione anarchica di Roma (10 maggio 1978)

 

 

anarchismoCon questo articolo cominciamo una serie di pubblicazioni di materiale storico mai apparso in rete, che rischia di scomparire con il disfacimento della carta su cui é stato veicolato. Quando gli anarchici avevano un linguaggio molto diverso, ma idee molto più chiare di oggi su chi fosse il nemico.

 

 

L’Amanuense

 

 

Ieri le Brigate Rosse hanno recapitato allo Stato, sull’asse via delle Botteghe Oscure-Piazza del Gesù, il cadavere di Aldo Moro, chiuso in una Renault 4.

Il caso-Moro si è quindi apparentemente concluso.

La nuova svolta che esso ha significato nel processo rivoluzionario in Italia è, invece, appena agli inizi.

Il rapimento Moro e la sua “esecuzione” ha travolto tutti i precari equilibri ed equilibrismi che reggevano da un lato in parlamento, dall’altro lato fuori dal parlamento. […]

In parlamento qualsiasi opposizione è caduta di fronte all’alternativa di stare con lo Stato o con le Brigate Rosse, in effetti non c’era dubbio che i partiti presenti in parlamento fossero, da sempre, con lo Stato; all’esterno del parlamento abbiamo assistito ad una diversificazione del copione per “merito” esclusivo di quegli impagabili attori comici che siedono dietro al tavolo della redazione di Lotta Continua.

Lo slogan “Né con lo Stato né con le Br” è semplicemente grottesco.

Sembra QUASI CHE SI POSSA restare neutrali nella fase attuale dello scontro di classe e che Stato e Br siano sullo stesso piano di ferocia repressiva antiproletaria, di protagonisti dello sfruttamento, di espropriatori della libertà e della vita degli oppressi.

E’ come se la vita dei compagni e dei proletari assassinati dalle varie polizie di Stato avessero lo stesso peso di quella dei cani da guardia del capitale e dello Stato.

Questa posizione cattolica di L.C. è, in realtà, semplicemente forcaiola; non tanto perché non sia lecito criticare la linea partitica delle Br, quanto perché i rivoluzionari sono sempre e comunque CONTRO LO STATO E SOLIDALI CON QUANTI, IN MODO ORGANIZZATO E NON, SEPPURE CON PROGRAMMI DIVERSI, OSANO METTERE IN GIOCO LA PROPRIA VITA E LA PRIOPRIA LIBERTA’ NELLA LOTTA CONTRO QUESTO MOSTRO.

Quindi noi anarchici, dobbiamo ribadirlo, piangiamo solo i morti del proletariato e non quelli dello Stato. […]

Abbiamo detto all’inizio che all’esterno del parlamento, dopo il caso-Moro, si siano sciolte come neve al sole posizioni di forze politiche che si definiscono rivoluzionarie; Lotta Continua non è mai stata tale ma si è sempre definita così: delle sue falsità ultime abbiamo già detto; ma il fenomeno più grave, a nostro avviso, è stato quello che ha investito la frazione di Autonomia Operaia romana che fa capo a via dei Volsci; per sintetizzare la situazione potremmo dire che l’Autonomia Proletaria a Roma va avanti NONOSTANTE esista via dei Volsci.

Da mesi a questa parte questo gruppo, nel riflusso del movimento dopo il maggio 77, ha avuto modo di strutturarsi sempre più in senso partitico; la chiusura della sede ha visto “i Volsci” impegnati in una campagna democraticistica rivolta a “tutte le forze democratiche” per far ripartire il loro “covo”.

Questa apertura a destra e a sinistra (nel senso vero delle parole) ha, ovviamente ridato fiato ai tromboni dei gruppetti, ai vari leaderini di “lettere” e via discorrendo.  […] I compagni di via dei Volsci, sono, secondo noi, ancora permeati di quello stato confusionale del ribellismo che non si vuol trasformare in reale opposizione rivoluzionaria e che è poi il naturale terreno su cui crescono i più bei fusti delle nuove piante autoritarie di sempre nuovi partitini sotto-parlamentari.

Chiuso per un momento questo discorso, torniamo a trattare dei fini e dei mezzi della lotta armata in Italia, ora.

Finché lo Stato era un’espressione militare-burocratica che aveva il suo generatore nella borghesia, gli individui, al suo interno, rivestivano un ruolo subordinato rispetto al potere economico che li determinava.

Con la progressiva statizzazione dell’economia i ruoli burocratici si fondono con quelli tecnocratici ed entrambi generano la piramide sociale, sostituendosi al vertice della vecchia classe dirigente: la borghesia.

I borghesi avevano un ruolo in quanto possessori di capitale ed esprimevano la loro condizione sociale attraverso le loro ville, le loro carrozze, i loro yachts, le loro vacanze “tutto l’anno”.

I beni di consumo erano, insomma, l’immagine il biglietto da visita di chi gestiva il potere.

Ora non vogliamo dire che oggi non sia proprio così: i veri tecnocrati, burocrati e generali sono fruitori di ogni bene di lusso ma è diverso il ruolo che essi rivestono nell’apparato; il borghese non era l’apparato, il tecnocrate sì.

Inoltre l’apparato è estremamente più disseminato sul territorio: la città è un gigantesco ingranaggio diviso (eppur unito) in varie parti ognuna delle quali comprende in sé subordinati e subordinatori, sfruttati e apparato.

E’ proprio questo apparato che bisogna colpire senza tregua e in ogni modo e momento possibile.

Se prima far saltare la casa del signore voleva dire colpire il cuore, il senso del potere, oggi questo attacco alle cose non basta più: l’attacco deve essere generalizzato alle cose ed ai ruoli dell’apparato, cioè gli individui. […]

E’ immediata la visualizzazione della parola d’ordine dell’AZIONE DIRETTA e dell’AUTOGESTIONE DELLE LOTTE.

Con questa pratica diffusa contro LO STATO NEL SUO COMPLESSO COME PRINCIPIO TRASFORMATORE DEL POTERE, è in contrapposizione strategica il disegno delle Br.

Ciò è ovvio in quanto le istanze leniniste tendono alla presa e non alla distruzione dello Stato.

Ma noi siamo anarchici e come tali vogliamo colpire, e colpiamo, ogni persona, ogni organizzazione che faccia parte dell’apparato, ogni nemico che ci si mette di traverso sulla strada della rivoluzione sociale. […]

E’ insomma l’idea di partito che bisogna sradicare dalla testa degli sfruttati.

Questo vuol dire che non c’è posto nel potere per chi crede che esso possa, in seguito, essere soppresso a vantaggio del comunismo autogestito: il potere schiaccia chi cade in simili equivoci.

In altri termini l’apparato organizzativo delle Br tende nel futuro a ripercorrere la stessa strada, inevitabile, del partito bolscevico.

Appunto la situazione storica è però irreversibilmente diversa: la diffusione dell’opposizione armata sul territorio, la situazione di crisi internazionale, la pratica generalizzata dell’azione diretta dicono chiaro che è impossibile per un solo partito egemonizzare il processo rivoluzionario in Italia.

 

[tratto da Anarchismo n°20 Marzo-Aprile 1978]