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Trieste, 23.7.16, iniziativa in solidarietà ad anarchico di Udine ai domiciliari a Trieste

gatto

 

 

 

 

 

NOTE SULLA REPRESSIONE IN CITTÀ

Questa breve cronaca locale delle ultime vicende repressive non vuole essere né un’apologia né un piagnisteo vittimistico, ma un invito all’analisi e alla solidarietà attiva.

Dopo i fatti di Firenze del mese di aprile 2016 (tafferugli dopo provocazioni poliziesche a un concerto in uno spazio occupato), una compagna viene costretta, dopo i primi giorni di carcere, ai domiciliari in attesa di giudizio a Trieste, per poi essere rilasciata il 23 giugno, con obbligo di dimora nel comune.
Denunce (furto e danneggiamento aggravato) per due compagni di Trieste accusati di aver sabotato e rimosso otto telecamere in centro città.
Lunedì 13 giugno, il tribunale di Trieste stabilisce che un compagno friulano dovrà scontare ai domiciliari (iniziati sabato 18 giugno in questa città) una condanna di 8 mesi per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale per i fatti di novembre 2013 (un gruppo di sbirri e gendarmi riconosce il compagno in centro storico a Udine e dopo un dito medio alzato al loro indirizzo, si mette a malmenarlo, pistole alla mano, e a distribuire denunce fra i presenti, arrestando il compagno, denunciandone altri due per resistenza, poi assolti a giugno 2016, e denunciando per resistenza (assolto) e porto d’armi (condannato) ed espellendo dall’Italia un loro amico statunitense che stava filmando la scena).
Lunedì 20 giugno, viene perquisita l’abitazione di un’altra compagna di Trieste (indagine per imbrattamento), accusata di scritte anarchiche su muri della città, con conseguente sequestro di scritti personali. Seguirà interrogatorio della Digos giovedì 7 luglio.

Quante volte nella vita ognuno avrà provato la frustrante sensazione che genera l’immobilismo e la rassegnazione di fronte a tutto ciò che ci opprime? Quante volte abbiamo chinato la testa, credendo che non fosse possibile alcun orizzonte all’infuori del recinto della frustrazione e dell’obbedienza alle regole di questa galera a cielo aperto? Eppure alcuni hanno deciso di alzare la testa, di iniziare a leggere e interpretare questo mondo con occhi propri, comprendendo che non può esservi che umiliante servitù senza rivolta individuale, senza attaccare, scagliare una pietra contro tutto ciò che ci opprime.

Cogliamo l’occasione della costrizione ai domiciliari del compagno di Udine per riflettere sulla repressione.

SABATO 23 LUGLIO
ORE 17:00
PIAZZA ORTIS, TRIESTE

Cogliamo l’occasione anche per esprimere vicinanza al compagno di Venezia colpito da richiesta di sorveglianza speciale.

Solo continuare la lotta può dare un senso alla solidarietà verso i nostri compagni reclusi.

Alcuni anarchici di Udine e Trieste
alcuni-anarchici-ud-trst@inventati.org

Un contributo per l’occasione precedentemente pubblicato su questo blog:

http://info-action.net/index.php?option=com_content&view=article&id=2760:2016-07-21-18-30-35&catid=149:manifestazionigatto

Udine/Trieste, 16.7.16, Le mille facce della repressione

– Abbozzo di contributo su repressione, analisi e solidarietà per un ipotetico dibattito fra compagni –

Udine, domenica 16 luglio 2016

Questa breve cronaca locale delle ultime vicende repressive non vuole essere né un’apologia né un piagnisteo vittimistico, ma un invito all’analisi e alla solidarietà attiva.

Dopo i fatti di Firenze del mese di aprile 2016 (tafferugli dopo provocazioni poliziesche a un concerto in uno spazio occupato), una compagna viene costretta, dopo i primi giorni di carcere, ai domiciliari in attesa di giudizio a Trieste, per poi essere rilasciata il 23 giugno, con obbligo di dimora nel comune.
Denunce (furto e danneggiamento aggravato) per due compagni di Trieste accusati di aver sabotato e rimosso otto telecamere in centro città.
Lunedì 13 giugno, il tribunale di Trieste stabilisce che un compagno friulano dovrà scontare ai domiciliari (iniziati sabato 18 giugno in questa città) una condanna di 8 mesi per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale per i fatti di novembre 2013 (un gruppo di sbirri e gendarmi riconosce il compagno in centro storico a Udine e, dopo un dito medio alzato al loro indirizzo, si mette a malmenarlo, pistole alla mano, e a distribuire denunce fra i presenti, arrestando il compagno, denunciandone altri due per resistenza, poi assolti a giugno 2016, e denunciando per resistenza (assolto) e porto d’armi (condannato) ed espellendo dall’Italia un loro amico statunitense che stava filmando la scena).
Lunedì 20 giugno, viene perquisita l’abitazione di un’altra compagna di Trieste (indagine per imbrattamento), accusata di scritte anarchiche su muri della città, con conseguente sequestro di scritti personali. Seguirà interrogatorio della Digos giovedì 7 luglio.

La repressione non si presenta solo in divisa o toga che sia, la repressione ha inizio dal primo momento in cui si mette piede in questa realtà, si realizza attraverso semplici imposizioni, che venendo accettando diventano sempre più soffocanti costrizioni, si realizza attraverso la nostra impossibilità di reazione davanti a queste ultime, si realizza ogni qual volta si venga allontanati da persone e situazioni proprio a causa della propria scelta di non piegarsi dinanzi a ciò che ci viene imposto. Non vi è solo l’evidente repressione delle istituzioni predette al contenimento della devianza dai loro diktat e dal loro mondo interiore ed esteriore: non è repressione solo un foglio di via, un obbligo di dimora, una condanna, un arresto, ecc.. È repressione, assai più subdola e meno palese, anche quella che non viene direttamente calata dall’alto ma si manifesta da parte dei nostri pari stessi, altri esclusi, che sono contenti di vivere un’esistenza di domesticazione, dentro gabbie fisiche e mentali, altri che ti ricordano in ogni momento che te la sei cercata, che devi rientrare nella società se non vuoi problemi, che in fondo questo mondo funziona così e va tutto bene, quando non ti allontanano, giudicano o prendono le distanze da te apertamente in caso di repressione statale.
Inoltre auspichiamo una riflessione, una lettura dei fatti, quanto meno di quelli che ci riguardano da vicino. Tanto presi dalla quotidianità della militanza può capitare che lo spazio per una discussione, un’idea, la proposta per un dibattito che non finisca abortito in un attimo, manchi o scarseggi. Al di là del dirsi solidali, ben più interessante sarebbe per esempio osservare il reprimere di fatti a volte irrilevanti, e questo non per svilire nel linguaggio, nel suo senso, un’azione o per un tentativo auto-apologetico o di dissociazione da se stessi dinanzi allo sguardo dei tribunali. L’abbassarsi del livello della conflittualità determina un acuirsi della repressione anche per inezie, oltre che per reali azioni di lotta. Certamente queste idee sparse nere su bianco in questo foglio vogliono essere un tentativo di stimolo, un tornare a parlare di cose che potrebbero sembrare ovvie e quindi, a nostro avviso, erroneamente considerate da sorvolarsi. Abbiamo colto l’occasione della costrizione ai domiciliari del nostro compagno di Udine per parlare di queste tematiche, dei recenti avvenimenti, ma questo non deve essere che un punto di inizio, o meglio forse una continuazione, non un arrivo, una solidarietà a parole, simbolica, convenzionale, un tornare a parlare, conoscersi, riflettere e quindi rispondere attivamente. Ogni altra dimensione sarebbe vana, fittizia, fine a se stessa: sarebbe una parola rituale per voltare pagina e ripartire come se nulla fosse punto e a capo con la prossima data sul calendario.

Cogliamo l’occasione anche per esprimere vicinanza al compagno di Venezia colpito da richiesta di sorveglianza speciale.

Solo continuare la lotta può dare un senso alla solidarietà verso i nostri compagni reclusi.

Due anarchici
alcuni-anarchici-ud-trst@inventati.org
alcunianarchiciudinesi.noblogs.org

Il nemico e i suoi dintorni di PierLeone Porcu

Non è compito facile, né è comodo il perseverare, quando tutto implica il sapere con se stessi di dover resistere quotidianamente alle piccole soddisfazioni allettatrici del vivere comodo e spensierato. È difficile lottare con costanza mantenendo intatta e incorrotta la propria volontà di non cedere ai compromessi.

La lotta è aspra, dura, aperta, violenta, procura dolore e indurisce i cuori. Molte volte non vi è nulla di piacevole né di soddisfacente, salvo il sapere con noi stessi, che su questa strada passa la nostra autoliberazione individuale e sociale.

Non dobbiamo mai dimenticare che ogni qualvolta si cerca il compromesso, la mediazione in cambio di un po’ di tregua, ci si confonde, ci si accosta al nemico che combattiamo, fino a divenire un suo utile supporto, simili in tutto e per tutto a quelle forze che giornalmente lo sostengono.

Come rivoluzionari anarchici, ad ogni momento sosteniamo che non sappiamo concepire soluzioni della questione sociale che non passino per la strada della diretta e radicale distruzione di tutte le istituzioni presenti, ma al di là dei limiti di vaghe promesse teoriche, sono ben pochi i compagni che vanno a verificarle nell’azione.

Si concorda tutti che non si vive di sole chiacchiere, né di bonarie e ben predisposte affettività ideologiche che ci fanno sentire “tutti fratelli”, ma in concreto quello che si fa è poco o nulla.

E i più mirano ad allontanare da sé i rischi e i pericoli che la lotta sempre comporta quando è tale e non ridotta a spettacoli simbolici recitati in piazza.

Esiste, nelle situazioni sociali, una vocazione a collaborare, a partecipare per non sentirsi tagliati fuori, con tutte quelle rappresentanze democratiche che sappiamo benissimo quanto concorrano, con la loro azione cloroformizzante, a disarmare e frenare gli impeti della rivolta, a smorzare ogni bisogno della vendetta, a mantener nell’apatia, nella sonnolenza le masse proletarizzate. Così, più che radicalizzare il conflitto sociale tra padroni e schiavi, finiamo per ritrovarci in quel calderone di forze politiche e democratiche che tendono a sanarlo sul terreno della partecipativa e alienante dimensione della collaborazione di classe. Tutto questo è dannoso e letale alla causa sociale rivoluzionaria, che a ogni piè sospinto diciamo sostenere.

Quel che muove a sdegno e fa rabbia in questo momento, è che alla trista genìa dei ruffiani e sensali e mercanti della carne proletaria, agli impudichi giullari del potere, ai castratori di ogni tensione rivoluzionaria, ai miopi della questione sociale, ai coccodrilli religiosi o laici della non violenza, non si riesca a dare una chiara e precisa risposta.

Anche perché si continua a vivere di bugiarde promesse fatte a se stessi, rattoppando a destra e a manca le proprie manchevolezze, sfuggendo alle proprie contraddizioni, fino ad aderire ad iniziative che non disturbano l’ordine costituito e la terrificante pace sociale che contribuisce a conservarlo.

Quando ogni cosa che si fa appare un igienico raggio volto a sterilizzare preventivamente ogni germe di rivolta, tutto diventa accettabile, anche la merda. Il tutto in cambio di una meschina e miserabile tranquillità socio-domestica.

In una società dove tutti corrono verso il giustificare le proprie debolezze, dove a prevalere sono i livellamenti verso il basso, dove a dominare sono la mediocrità e la miseria, le coscienze sono flessibili e plasmabili per ogni esigenza, e tutto ciò è espressione di quanto va producendo il sistema democratico.

Nel nostro movimento, molti di coloro che si dicono anarchici, non sono animati da un bisogno intimo di rivolta, ma di essere costantemente afflitti da un mal celato desiderio di voler emergere e possedere una “attraente immagine” come parvenza alternativa ai modelli dominanti nei circuiti sociali della massamarea dei dormienti che ci circonda.

Costoro deviano sul terreno delle piccole felicità, accettano supinamente tutti i compromessi per salvaguardarsi da ogni rischio di conflitto, portano con sé il suicidio di ogni radicale tensione alla rivolta, indossano una umana “maschera” fatta di ipocrite convenzioni e miserevoli giustificazioni, che cela l’aver fatto propria nella tirannia della debolezza, l’abiezione, inconfessabile persino a se stessi nella loro fragilità.

Afflitti dalla paranoia repressiva, sostengono, dietro un contorto e fumoso giro di parole, la tesi che non si deve far nulla in sostanza, al di fuori di quanto legalmente consentito dal sistema, facendosi così apertamente fautori della pacificazione sociale contro la rivolta.

Ma perché non dicono apertamente che hanno paura della lotta, che non sanno dire di no alle proprie debolezze, che il rischio di volersi liberare da ogni tutela li spaventa. Evidentemente preferiscono vivere come animali addomesticati, piuttosto che giocarsi la vita per conquistarsi la libertà. Certo, io li capirei se dicessero chiaramente di amare la comodità, la via dolce e tappezzata di velluto, di non avere il coraggio di rispondere alle angherie ed ai soprusi cui quotidianamente siamo sottoposti.

Tutto ciò è umano; e sappiamo benissimo che “il coraggio uno non se lo può dare”. A che serve nascondersi dietro tanta ipocrisia?

Molti di costoro vivono aggrappati tenacemente ai tanti piccoli miserabili privilegi dati dalla propria condizione sociale, che li vede svolgere diligentemente ruoli dirigenti sui rispettivi posti di lavoro. E così” giocano” a tacere tutto ciò che rovina l’estetica del loro dorato e ovattato mondo in cui se ne stanno ben rintanati, e danno un’immagine addomesticata della realtà del tutto funzionale agli attuali progetti di dominio del capitale e dello Stato.

Non è un caso, che il contrapporsi con durezza di chi si rivolta contro questo stato di cose, si scontri all’interno del Movimento proprio con costoro, che cercano in tutti i modi di dissuaderlo dall’intraprendere la strada dell’insorgenza, volendolo ricondurre all’adozione dei loro innocui e disarmanti metodi di lotta, come l’uso della piazza a mo’ di teatro, dove si rappresentano spettacoli simbolici, utili soltanto a dare di se stessi un’immagine perbenista, gratificante e compatibile con quello che è l’andazzo del più generale spettacolo offerto dai network televisivi.

Per altri versi, c’è chi da tempo immemorabile si è lasciato andare al muoversi come uno zombie per forza d’inerzia dentro il circolo chiuso della “militanza-testimonianza”, che, alla stregua di un dopolavoro consiste nell’aprire la sede e star lì in attesa di qualche mitico evento, tipo “il risveglio dell’iniziativa di massa” o, nel migliore dei casi, nel diffondere la stampa nei “centri sociali”, nelle case occupate e nelle manifestazioni, per poi finire la giornata al cinema o in qualche locale “alternativo”, gestito da ex compagni, reduci del ’68 o del ’77 e dintorni. È in questo modo che si esaurisce, nell’ambito dell’amministrazione-gestione dell’esistente, la dimensione del loro agire, come vuota ripetizione ritualizzata di ciò che è stato e che in quella veste non tornerà mai più. L’accentuarsi della precarietà sociale, l’aggravarsi generalizzato dello stato di cose esistenti, sempre più invivibile, spinge iniziative di lotta per la difesa del proprio status quo e relegate nella mera sopravvivenza. Sempre più chiusi in questi luoghi della resistenza e della conservazione della propria misera quotidiana, il luogo fisico, è una dimensione-divisa mentale.

Non si criticano le cose che si fanno a partire dal voler dar corso ad una radicalizzazione dello scontro sociale, dal voler dare una maggiore incisività all’azione rivoluzionaria, ma tutto viene criticato a partire da quei tratti caratteriali espressione delle proprie paure e attaccamento alle proprie inveterate abitudini. Si mira soprattutto a non mettere in discussione l’attuale essenza di iniziative, in quanto il farlo comporta il rischio di perdere il piccolo spazio ritagliatosi all’interno del Movimento.

L’illegalismo o meglio il muoversi fuori dalla legge, viene esorcizzato e represso, prima ancora che dagli organi polizieschi e giuridici dello Stato, dai fantasmi che assediano la mente di certi compagni.

Il destino del progetto insurrezionale anarchico, sembra oggi giocarsi attraverso una compiacente adesione data al succedersi di fatti serviti come spettacolo altamente repressivo del potere, che può in questo contare su quella parte di compagni che vogliono con tutte le loro forze che vengano allontanati da sé simili e così pericolosi fantasmi inerenti la possibile guerra sociale.

Oggi tutto l’interesse dei compagni viene puntualmente deviato in modo sempre più totalizzante, sui soli aspetti spettacolari e commerciabili, come lo spettacolo di una solidarietà evirata dai conflitti sociali, con la collaborazione anche da parte dei compagni che non condividono questo modo di operare. In questo tipo di iniziative non vi è nulla di inerente a quel che più di ogni altra cosa dovrebbe interessarci: le modalità di una propaganda anarchica rivoluzionaria tesa a sviluppare un’azione insurrezionalista.

Se siamo rimasti noi stessi, testardi più di prima, a lottare e sostenere, al di là di ogni repressione e criminalizzazione quello che contro ogni compromesso abbiamo portato avanti sul piano rivoluzionario, con chiarezza e consapevolezza, perché dovremmo abbandonare questa strada proprio ora. Se esiste una teoria e una pratica rivoluzionaria ancora degna di questo nome, questo è l’anarchismo rivoluzionario. Se esiste uno spirito di rivolta dell’individuo, un desiderio di insorgenza per dar corso alla totale autoliberazione individuale e sociale, questo è quanto abbiamo e sosteniamo e portiamo avanti da sempre.

Noi non abbiamo bisogno di rifarci il “maquillage”, né abbiamo da rinnegare nulla del nostro passato, se c’è qualcosa che ci rimproveriamo, è la nostra insufficienza mostrata quando ci siamo adagiati.

Oggi noi dobbiamo approfondire tutto, ma per poter far meglio di quanto fin qui c’è riuscito di fare è sempre sulla strada aperta e violenta della rivolta “esplosiva” e dello scontro sociale armato contro lo Stato, il capitale, la Chiesa e tutti i loro innumerevoli rappresentanti e servitori.

No, noi non chiudiamo gli occhi sulla realtà, né ci stordiamo e ci lasciamo incantare dalle prefiche di “Liber asinorum” a tal punto, da non riuscire a più a distinguere chi è il nemico (e i suoi dintorni), ciò che va facendo per rendersi più attraente, partecipativo e accettabile.

Non ci interessano le “minestre” riscaldate della critica-critica, nè i bigotti ripetitori delle formule sonanti, quanto vaghe e fors’anco vane, sia tra gli spaccamonti funesti e superflui, quanto per i contemplativi e i salmodianti della teoria “insurrezionalista”. Noi non abbiamo fiducia nelle chiacchiere, né ci interessano le battaglie cartacee, noi ci vogliamo confrontare unicamente sul terreno dell’agire e su quello ragioniamo perchè lì stanno sempre i nostri problemi veri, in quanto ineriscono il qui e ora dell’azione rivoluzionaria anarchica all’interno dei conflitti sociali in corso.

Noi non agiamo solo per distruggere il presente sistema sociale, ma anche contro chi all’interno delle lotte intraprese mira a creare nuove autorità e nuovi istituti di coercizione sociale al posto di quelli annientati.

Noi agiamo per risvegliare la rivolta contro i capi che comandano, contro il gregge che ubbidisce, per affermare la libera autonomia individuale, responsabile solo di fronte alla propria coscienza, il rispetto della sovranità del singolo di fronte alla stupida ed eunuca concordia pecorile delle masse, sempre prone agli ordini di vecchi e nuovi capi.

L’anarchia che incendia i nostri cervelli e infiamma i nostri cuori è inestinguibile fonte di entusiastico palpito

rivoluzionario, che ci porta a voler abbattere iconoclasticamente tutte le divinità del cielo e della terra che albergano nella conservatrice e statica mentalità umana.

Siamo dei perfetti nichilisti e individualisti perché anarchici, e siamo anarchici perché amiamo la libertà e la solidale acrazia tra gli uomini. Saremo e resteremo ancora, forse, degli incompresi e saremo forse maledetti, calunniati, derisi; ma avremo l’orgoglio e la gioia serena, ragionata, convinta, cosciente, così facendo di aver dato sempre tutto per ciò che fa di un uomo un uomo , ossia vivere nell’orizzontalità della vita sulla strada degli uomini liberi.

PierLeone Porcu

Un punto di vista. Contributo di Alfredo Cospito al dibattito aperto da CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai

Questo contributo di Alfredo Cospito, prigioniero nel carcere di Ferrara, risponde al testo delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai tradotto e pubblicato anche su questo blog lo scorso marzo (https://thehole.noblogs.org/post/2016/03/10/grecia-testo-della-cospirazione-delle-cellule-di-fuoco-cellula-di-guerriglia-urbana/).

Lo scritto di Alfredo risale ad oltre un mese fa. Nonostante non sia più sottoposto a formale censura della posta, le comunicazioni dal carcere di Ferrara continuano ad essere intermittenti e con forti ritardi a causa dei soliti spioni in divisa.

Fonte: www.autistici.org/cna

Un punto di vista

Un contributo individuale al dibattito aperto dai fratelli e sorelle delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai

Ho avuto il piacere di leggere, tradotto da “Sin Banderas.Ni fronteras” il vostro scritto in cinque punti e mi è venuta una gran voglia di contribuire al dibattito. Le notizie qui in prigione in Italia sono limitate e sperando che la traduzione dello scritto in spagnolo sia affidabile, cercherò nei limiti del possibile di dire la mia. Premetto quindi che per la posizione in cui mi trovo e per la mia poca conoscenza della situazione in Grecia il mio contributo sarà limitato. Sorvolerò velocemente sull’interessante analisi che fate della situazione del movimento anarchico greco e sulla sua evoluzione storica negli ultimi dieci anni che mi ricorda da vicino(fatte le dovute differenze storiche) la situazione italiana della “ritirata” dopo l’esperienza di lotta armata degli anni 70 (senza, fortunatamente per voi, lo schifoso strascico di pentiti e dissociati) che qui in Italia, tanto per essere ottimisti, fece nascere dalle ceneri del lottarmatismo un anarchismo più vitale ed originale. Sono d’accordo con voi che le parole degli anarchici-e prigionieri non devono essere santificate e prese per verità assolute, sono semplicemente dei contributi teorici alla lotta. Come sono d’accordissimo quando sostenete che bisognerebbe: ”Ricordare le nostre esperienze passate non per imitarle ma per superarle”. Proprio per questo la creazione di un “movimento anarchico autonomo”, di un “polo anarchico autonomo per l’organizzazione della guerriglia urbana anarchica”, di una “federazione anarchica internazionale “ mi sembra un passo indietro. Un ritorno al passato, ai vecchi schemi che rischiano di ricondurre alla classica organizzazione specifica di sintesi, uno strumento vecchio, un bisturi spuntato. Dopo il “Dicembre nero”, splendida campagna d’azione a cui molti gruppi Fai-Fri hanno partecipato, avete sentito il bisogno di proporre un salto di qualità, avete sentito la necessità di un “polo anarchico autonomo” strutturato con i “propri meccanismi politici, senza burocrazia, nostre proprie assemblee senza ficcanaso, nostre proprie organizzazioni senza rango” e lo avete fatto a nome delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai.
Capisco perfettamente l’entusiasmo ed il bisogno che sentite di rafforzarvi, di diventare sempre più incisivi, di unire le varie correnti anarchiche rivoluzionarie, individualisti, nichilisti, insurrezionalisti, ribelli ma non credo sia quella la strada. E soprattutto che una proposta di questo tipo non dovrebbe provenire da una cellula Fai/Fri. Mi spiego, darsi un’organizzazione strutturata attraverso la creazione di assemblee inesorabilmente porterebbe alla nascita di organizzazioni specifiche snaturando l’informalità dello strumento Fai-Fri, deviando dagli obiettivi che la federazione informale si è data, facendola venir meno alla sua semplice natura di strumento di comunicazione. Una proposta come la vostra rappresenta sicuramente un tentativo generoso, ma in nome della Fai-Fri spingere alla nascita di un polo anarchico autonomo, fare un discorso quantitativo, ideologico di aggregazione di settori del movimento trasformerebbe la federazione informale in un’organizzazione che per sua natura con questi presupposti non potrà che farsi egemonica, impoverendola, rallentandola, alla lunga uccidendola.
Una proposta come la vostra fatta a nome della Fai-Fri dividerebbe piuttosto che unire, indebolirebbe piuttosto che rafforzare. Non mi stancherò mai di ripeterlo, secondo me la federazione informale deve “limitarsi” ad essere semplice strumento di cui anche compagni-e come me, totalmente alieni da qualunque organizzazione, possano far uso, regalandosi la possibilità di rapportarsi con altri singoli o nuclei sparsi per il mondo. La Fai-Fri è un’arma da guerra, più semplice è la sua struttura, più elementari sono le sue dinamiche di funzionamento, più sarà efficiente. Diminuirne la complessità ne aumenta l’efficacia. Come un coltello ben affilato, come una Tokaref ben oliata. Secondo me sono il coordinamento e l’assemblea le due metodologie che bisognerebbe evitare per non trasformare la Fai in una pachidermica, lenta organizzazione strutturata. Due metodologie che rischierebbero di farla diventare un’organizzazione specifica anarchica, nient’altro infondo della solita federazione anarchica impregnata di ideologia, che spiana qualunque dissenso intorno a sé fino a sparire sotto i colpi della repressione. Sia il coordinamento che le assemblee hanno bisogno della conoscenza diretta tra i gruppi ed i singoli. Per coordinarsi i rappresentanti dei vari gruppi devono incontrarsi e darsi delle scadenze temporali o altro per le azioni. Nelle assemblee i singoli individui si conoscono e dicono la loro, creando inevitabilmente leaderismi: chi sa parlare o muoversi meglio, chi ha più tempo da dedicare all’assemblea detta la linea, generando gerarchie e delega. Sia il coordinamento che l’assemblea espongono alla repressione, tutti si conoscono, è come un castello di carte, se cade una cadono tutte. La Fai in maniera molto semplice e naturale attraverso l’esperienza collettiva di decine di gruppi sparsi per il mondo ha sostituito, senza neanche accorgersene, queste due vecchie metodologie con le campagne rivoluzionarie, che non hanno bisogno di scadenze o conoscenza reciproca, parlano solo le azioni. Non c’è bisogno di coordinamento quando basta comunicare l’inizio di una campagna attraverso le rivendicazioni, scritti che seguono le azioni e che aprono dibattiti tra le differenti tensioni (insurrezionalisti ,individualisti, nichilisti, anarchici sociali e antisociali) creando percorsi nuovi mai caratterizzati dall’uniformità, dall’ideologia, dalla politica. Per quanto riguarda l’assemblea, questa è un modo di politicizzare , ideologizzare dei rapporti semplici e naturali di affinità, amicizia, amore , sorellanza, fratellanza che ogni gruppo Fai-fri tiene di per sé e che riguardano solo la propria vita più intima e che solo nel momento dell’azione si intrecciano con l’esistenza della federazione informale.
Rapporti che riguardano solo il singolo ed il suo gruppo e che non possono esser imprigionati in uno strumento politico come l’assemblea.
Non essendoci contatti diretti tra i gruppi, se si venissero comunque a creare dei meccanismi autoritari rimarrebbero per forza maggiore limitati a quel singolo gruppo, non impestando tutto l’organismo.
Detto questo so bene che chi vuol fare la rivoluzione deve necessariamente rapportarsi con assemblee e coordinamenti, anche perché la rivoluzione si fa con gli sfruttati, con gli esclusi ,con il cosiddetto “movimento reale” .
L’informalità della Fai-fri per un obiettivo” politico” di tale portata è inadeguata. La federazione informale segue un suo percorso di guerra che nei limiti delle sue forze vuole solo distruggere e niente costruire. Un percorso imprevedibile, mai ideologico, mai politico, mai costruttivo che a volte si interseca con quello del “movimento reale”. Due percorsi con obiettivi ben distinti il primo il movimento anarchico ,combattivo, violento, rivoluzionario con le sue assemblee ed organizzazioni specifiche e non il secondo la Fai-fri uno strumento semplice, elementare, basico, informale per fare la guerra, colpire per poi sparire, comunicare senza mai apparire. Bisogna tenere ben distinti i tuoi percorsi che insieme si annullerebbero a vicenda.
Soprattutto una cosa deve essere chiara , si fa parte della Fai -fri solo nel momento dell’azione, poi ognuno ritorna alla propria vita di anarchico, nichilista, individualista, ai propri progetti alla propria prospettiva di ribelle o rivoluzionario con tutto il suo corollario di assemblee, coordinamenti, nuclei di affinità, occupazioni, comuni ,lotte sul territorio , e chi più ne ha più ne metta.
La Fai-fri(così almeno la intendo io) non è un partito, né un movimento né tanto meno un’organizzazione, ma un mezzo per rafforzare e potenziare i singoli gruppi di affinità o singoli individui d’azione attraverso campagne internazionali che uniscono le nostre forze senza coordinamenti, senza cedere preziosa libertà. Un mezzo di cui può avvalersi qualunque anarchico che aspiri alla distruzione qui ed ora. Non è uno strumento perfetto, molte cose si possono migliorare ad iniziare dalle campagne internazionali che, secondo me, non sono mai state sfruttate a pieno. Immaginate di concentrare le forze su obiettivi di uno stesso genere , di portata internazionale. Cosa c’è di più internazionale e nocivo delle multinazionali, dell’industria tecnologica, della scienza…se le campagne sono generiche vanno secondo me a perdere forza e significato se ci si limita ad un fatto di mera testimonianza di generica solidarietà non si sfruttano a pieno le reali capacità di uno strumento che potrebbe (in quel caso sì ) far fare un enorme salto di qualità.
La prima generazione delle CCF ha avuto un gran merito, certi discorsi che prima erano stati fatti solo teoricamente, attraverso la loro forza e coerenza si sono concretizzati, hanno preso vita nelle campagne internazionali. Un discorso antico, che agli inizi degli anni 60 le federazioni giovanili anarchiche europee avevano messo in pratica e che sembrava appartenere ad un passato ormai lontano, oggi ha ripreso vita grazie al coraggio ed alla fantasia di fratelli e sorelle rinchiusi da anni nelle carceri greche ma, mai arresi .Un discorso attualissimo che, attraverso l’informalità, è rinato ed è più forte che mai.
Alfredo Cospito

Solidarietà con gli accusati dell’incendio di un’auto di polizia a Parigi.

 

 

A seguito dell’ipermediatizzazione di un’auto di polizia incendiata sotto gli occhi di una dozzina di telecamere, cinque persone sono state arrestate,in serata o nel giorno seguente,accusati di un attacco che tutto sommato avviene abbastanza spesso, tutti odiano la polizia,e capita quasi ogni giorno che venga attaccata in diversi modi su tutto il territorio, specialmente in questa maniera!

 

A seguito del fermo di polizia, una persona è stata rilasciata, gli altri quattro sono sotto accusa per “tentato omicidio volontario” “violenza volontaria in banda organizzata su pubblico ufficiale” “distruzione di bene pubblico in banda organizzata e partecipazione a gruppo armato” Uno di loro è inoltre accusato del delitto di avere rifiutato di sottoporsi al prelievo del DNA.

I quattro sono attualmente in detenzione preventiva (tre liberati sotto controllo giudiziario il 24 maggio).

Se le accuse altisonanti a loro rivolte(“tentato omicidio”)e la conseguente minaccia( ergastolo)non reggeranno al processo servono nel frattempo ad assicurare loro la detenzione preventiva sotto la benedizione di qualche sadico in toga.

I media della democrazia, obbedienti agli ordini, hanno fatto bene il loro gioco,il loro zelo pari solo alla loro servilità impeccabile alla violenza estrema e normalizzante, in nome della pace sociale.

Una bella soddisfazione data ai sindacati della polizia che quel giorno manifestavano, sembra essere l’obbiettivo secondario del ministro degli interni e del governo.

Un po’ di emozioni forti per il cittadino medio, un po’ di vendetta per la polizia, deterrenza per i ribelli.

E ‘alla base di questo trittico vile che la ragione di Stato si è messa all’opera contro alcuni compagni, probabilmente scelti a caso da qualche fascicoletto scadente della pseudo “ultra-sinistra”, categoria inventata dallo stato che ha già dato luogo a decine di processi, incarcerazioni, e  spionaggi di ogni genere,dall’ultimo decennio ad oggi.

(ancora oggi la famosa “macchina delle espulsioni”resta a giudizio e molti compagni e compagne ancora sotto indagine)

Probabilmente lo stesso fascicolo utilizzato recentemente per emettere divieti e accuse varie con la scusa dell’emergenza sociale.

 

 

Oggi riteniamo necessario rielaborare tre posizioni importanti:

 

  • Come rivoluzionari, saremo sempre dalla parte di coloro che sfidano, contaminano, attaccano l’ordine e quindi anche la sua forza, in una prospettiva di emancipazione. Perché la rivoluzione non avverrà nei saloni con power-point , del folklore militante e filosofi annoiati, ma in strada, con l’odio, il fuoco e la speranza.
  • Questi compagni avrebbe potuto essere qualsiasi delle migliaia di manifestanti che si sono riversati nelle strade ridipingendola con i colori della gioia negli ultimi mesi. Potevamo essere noi, o voi, tu o io. Questa repressione è quindi un attacco contro tutti i rivoluzionari e , contro tutti coloro  “che odiano la polizia” e che odiano il lavoro.
  • Pertanto, la questione del “senso di colpa” o dell’innocenza dei comnpagni accusati appartiene solo al potere , e lasciamo queste considerazioni,  il vocabolario del codice penale, che non sono e non saranno mai  nostri, a quelli dall’altra parte (siano essi poliziotti, giudici, avvocati o giornalisti). Questo gesto, chiunque siano gli autori, è parte di una lunga tradizione di pratica rivoluzionaria, che dobbiamo difendere come tale . Non si tratta di legittimare  questo tipo di attacco, giustificarlo, o minimizzarlo, ma di attaccare ogni principio di legittimità, ogni tendenza alla giustificazione, ed ogni moderazione nell’ attacco anti-autoritario al dominio, e gli agenti che proteggono il loro regno.

Affermiamo la nostra solidarietà con gli imputati, e soprattutto con il gesto di cui sono accusati, che ricordiamo, è un atto di vita quotidiana, un atto necessario per tutti coloro che desiderano la libertà, e non un ” terribile evento  ultra-violento “o” eccezionale “- l’unico elemento eccezionale potrebbero essere le telecamere onnipresenti, non solo lo stato, e neppure i journaflics, contrariamente, ad esempio, dei cosiddetti quartieri “sensibili”, dove tutto accade in silenzio, senza copertura mediatica o effusioni, con regolarità. Ripetiamo ancora una volta che le immagini sono un problema contro il quale dobbiamo organizzare concretamente .In caso contrario, i ribelli continueranno a scendere, come albicocche in estate.

In una città come Parigi, che ha gustato nel 2015 una violenza indiscriminata, a cinque minuti a piedi da Quai de Valmy, veramente terribile e sorprendente, davvero violenta, veramente terrorista, è indecente a piangere per la sorte di una macchina di polizia, la cui funzione è proprio quella di farsi prendere a schiaffi in faccia da tutto ciò che  rifiuta ordine mondiale di conseguenza.  Non lasciamo soli i compagni nel  vortice mediatico-repressivo che li rendono degli individui assetati di sangue e cannibali feroci,  oggetto di dibattiti  sterili “contro” o “a favore” della “violenza”.

No, di fronte allo Stato e ai suoi lacchè, sono nostri ccompagni, e noi siamo i  loro.

Né verità né giustizia, complicità e  rivoluzione.
La miglior difesa è l’attacco.
Libertà per tutte e tutti.

Il 24 maggio 2016 a Parigi, pochi anarchici .

ILLEGALISMO E PROPAGANDA CON I FATTI-Pier Leone Porcu

 

 

death-breath-the-plague-artwork-by-danny-larsenSembrano passati secoli da quando Pierleone Porcu scriveva queste parole “Illegalismo e propaganda con i fatti”.

Chi pratica l’azione oggi, ma siamo ben lungi dalla dinamite, dal plastico e dal tritolo che invocava Porcu,si erge a moralizzatore dell’azione altrui, come se non bastassero i giudici dello Stato a dare sentenze, e stabilisce chi sia abilitato ad operare sul “palcoscenico” della lotta.

Quanto si è letto di nichilismo, individualismo, distruzione in questi ultimi anni? Migliaia di comunicati di rivendicazione di attentati di ogni tipo, ma se la distruzione nichilistica del sé, della morale imposta dalla società non avviene con il superamento del vecchio uomo, ci troveremo sempre di fronte a dei moralizzatori travestiti da rivoluzionari. Dei distruttori che impongono regole affinché tutto venga distrutto secondo una certa etica, la loro.

Come diceva qualcuno: “Per scalare il vertice ci vogliono unghie affilate e mani pronte alle ferite più dolorose.

Mentre si scala il vertice di un’umanità decadente, cadono, cadono le rocce che si sgretolano sotto le dita…”

E quando vi scontrerete con la morale ancora insita in voi sentirete un gran male, questo l’ho sperimentato.

 SZ

 

 

ILLEGALISMO E PROPAGANDA CON I FATTI

 

Rivolta permanente con la parola,

con gli scritti,col pugnale,col fucile,con la dinamite.

Per noi,è buono tutto ciò che non è legale.

P.Kropotkin,”Le Rèvolte”

(dicembre 1880)

Sgombriamo il campo, anzitutto, della flora parassitaria che vi si infittisce e rende sterili moltisforzi: equivoci, antiquate impostazioni generali, pessimismi aprioristici, pregiudizi fondati su moralismi bottegai -preteschi, ostilità dovute a miopia e ostilità dovute a un brutto calcolo d’interesse.

La formula” illegalismo e Propaganda con i fatti”, deve essere presa e trattata con spirito libero e con estrema spregiudicatezza. Essa non è il titolo di una nuova scienza social-rivoluzionaria. E’ il nome che nel nostro movimento si è convenuto assegnare per comodità del discorso, alla convergenza di tutte quelle pratiche rivoluzionarie che uscendo dal terreno della legalità attaccano direttamente con mezzi esplosivi – dinamite,plastico,tritolo – tutte le istituzioni attuali e con le armi in pugno attentano ai loro rappresentanti e vari servitori,come pure armi in pugno si procacciano i mezzi per finanziare tale attività(furti,rapine,sequestri,ecc.),e difendono sempre armi in pugno la propria libertà personale dalle aggressioni mosse loro dalla sbirraglia pubblica e privata.

L’attentato,l’incendio,il saccheggio,il sabotaggio,loscontro armato (organizzato o meno) sono parte integrante della “guerra sociale” portata avanti senza esclusione di colpi,senza più limiti prescostituiti dati dall’azione rivoluzionaria.

Le ragioni del perchè, io insurrezionalista anarchico,sia partigiano dell’illegalismo e della “propaganda con i fatti “,sono date dal fatto che ritengo di stretta necessità-ieri come oggi- di fare tutti gli sforzi possibili per propagandare e diffondere “con la parola, con gli scritti, con la dinamite” l’idea rivoluzionaria dell’Anarchia e lo spirito di rivolta fra le masse dei proletarizzati. Reputo il più semplice fatto o atto di rivolta, diretto contro lo Stato, il capitale, la Chiesa e i loro innumerevoli rappresentanti e servi, che parli meglio al cuore e alla mente di ogni oppresso e sfruttato che migliaia di stampati e fiumi di parole. Inoltre, questa è la sola pratica fin qui elaborata in campo rivoluzionario che,senza ingannare nessuno,senza creare deleghe di nessuna specie,miri direttamente allo scopo,che è quello dell’attacco diretto ed esplosivo per disintegrare l’intero stato di cose esistenti.

La mia è una scelta di campo e di vita,che sul terreno della globalità di ciascuno di noi implica il fatto di giocarsi la vita sulla materialità della rivolta intrapresa,senza più transazioni vissute come aspettative di un futuro sedicente paradiso terrestre.

Per non creare inutili aspettative e pericolose illusioni sono contro ogni specie di opportunismo e ogni specie di politica. Non avendo nessuna fiducia nell’efficacia dei mezzi legali e non volendo in nessun modo prendere parte alla cosiddetta vita “politica ufficiale” né a quella sedicente “rivoluzionaria”.

Quello che cerco – da solo o assieme ad altri – di mettere in pratica è esclusivamente diretto a rendere evidente a tutti che io confido unicamente nella forza materiale per abbattere la forza materiale che ci opprime,e che bisogna strappare con la forza ciò che dalla forza ci è conteso.

Rifiuto ogni confronto dialettico con la controparte, nè mi servo del suo costituzionale democratico armamentario di difesa giuridica quando mi incrimina, io – fuori come dentro le aule di qualsiasi tribunale- rivendico a viso aperto come metro di rapportazione la guerra sociale armata.Il rifiuto di stilare copiose autodifese ed altro ancora,è una logia conseguenza di questo mio modo di agire fiero,franco e intransigente di fronte al nemico.Permettetemi questa citazione “Di fronte ai poliziotti e ai giudici – diceva Victor Serge in un suo scritto del 1925 – non cedere alla tendenza inculcata dall’educazione idealista borghese di stabilire o ‘ristabilire’ la verità.Nei conflitti sociali non esiste verità comune alle classi sfruttatrici e alle classi sfruttate.Non esiste verità – né piccola né grande – impersonale,suprema,al di sopra della guerra di classe.(…) La loro veritànon è la nostra.Il militante non deve rendere conto di alcuno dei suoi atti ai giudici della classe borghese [io qui aggiungi a nessuna specie di giudice],non deve alcun rispetto di una pretesa verità.(…) La veritò noi la dobbiamo solo ai nostri fratelli e compagni…”.

Da quanto fin qui sostenuto,è solare che io – rispetto a quei compagni nostri ammalatisi di legalismo e giuridismo – ho fiducia esclusivamente nei nostri mezzi rivoluzionari anarchici,e su quelli in ogni circostanza confido.AL di là di tutte le chiacchiere e le polemiche intrattenute sull’argomento “solidarietà rivoluzionaria”,io penso che il primo passo da compiersi è quello che fra compagni deve vigere l’omerta più assoluta di fronte a sbirri,magistrati e media.Un altro punto è quello che unica e vera solidarietà tra rivoluzionari è quella di rendersi complici nell’azione di attacco demolitorio intrapreso contro tutte le strutture.grandi e piccole,del dominio esistente.

Rifiuto di atteggiarmi a scopritore di un nuovo modi di fare le cose,perchè i problemi che abbiamo si sono presentati sempre nella storia fin qui percorsa del nostro movimento,e le soluzioni fin qui adottata per risolverli sono più o meno le stessi di quelle adottate da chi ci ha precedeuto su questa strada.Si deve dar porva di intransigenza in quel solo punto nel quale il nostro sistema d’attacco può dirsi relativamente nuovo.Ci sono problemi,difficoltà limiti,inadeguatezze di ogni specie al nostro interno,per uscirne occorre dare misura della nostra potenza di azione nel concreto di ogni situazione,avendo chiara e insindacabile l’esigenza di annientare l’autorità e tutti i suoi innumerevoli istituti di governo,di amministrazione e coercizione presenti nel sociale.Non esistono a questo proposito ricette pronte all’uso,ma ci si può dare la possibilità di potervi pervenire nel migliore dei modi.Per questo ritengo indispensabile che all’interno del nostro movimento ci sia la totale libertà di critica,di azione e di associazione.

La totale libertà di critica significa che ogni singolo compagno – associato o meno – deve poter dire,quale che ai la circostanza,la sua liberamente,vale a dire senza abbia a subire preventive censure,malcelate pressioni o minacce da parte di chiunque,questo perche si deve mettere fine al fatto che ci creino capi,capetti e gregariato vario, e si affermi senza infingimenti ideologici formali e informali la concreta libera autonomia individuale del singolo,responsabile solo di fronte alla propria coscienza,quindi totale rispetto della sovranità dell’individuo.Alle critiche, fossero pure le peggiori e velenose di questo mondo,si risponde con l’argomentazione o non si risponde affatto,altro discorso è invece la calunnia e via discorrendo.Io qui tengo fermo il principio che tra compagni si deve sempre discutere,avendo chiaro che chi tira calci prende calci.

La totale libertà di azione verte sul fatto che nessuno può mettere veti e limiti all’azione di un altro compagno,come pure stabilire – salvo che per lui stesso – quel tipo di azione che si crede meglio rispetto ad altre.Per cui,il tipo di azione che uno adotta vale per tutti quelli che la condividono,tutti gli altri saranno sempre anarchicamente liberi di fare e adottare quelle che credono più rispondenti e opportune alle proprie esigenze.

Questa è da sempre la caratteristica prassi di rapportazione anarchica:basata sempre sul rispetto assoluto dell’autonomia individuale ed il rifiuto totale da parte del singolo di farsi assoggetare ad idee e pratiche che non sente come proprie.

Ciò che è insurrezionalismo anarchico da ciò che non lo è,per me non lo stabilisce certo l’elucubrazione teorico-intellettualistica di questo o quel compagno che ama ritenere se stesso il massimo dell’anarchismo insurrezionalista,nè quanto si scrive oggi in molti nostri giornali,ma solo ciò che emerge dalla pratica messa in atto nel concreto della guerra sociale intrapresa.

Si possono avere progetti insurrezionalisti anarchici basati sulle piccole azioni come pure su quelle più grandi e spettacolari,come pure si può essere per l’azione in “ordine sparso” e senza organizzazione,come pure all’inverso ci può essere chi pensa utile e indispensabile dotarsi di organizzazione specifica armata.

Dire ad un compagno:”Tu non hai un progetto”,o altre scemenze del genere per il solo fatto che questo non segue le tue indicazioni, rivela una sorta di mania monopolistica e dirigistica che afflige molto di coloro che fanno queste affermazioni.

Per me,non sono mai esistiti livelli,nè precostituiti limiti da darsi all’azione insurrezionalistica che portiamo avanti.Chi,sotto il pretesto dell’efficacia o di altro,vorrebbe uniformare gli altri al suo modi di vedere la lotta rivoluzionria,bisongna rispondergli: “ No,grazie!Per oggi faccio a meno della tua lezione di ‘scienza rivoluzionaria’.Preferisco sbagliare da solo,come pure pagare da solo i miei errori”:

Libertà totale di associarsi come meglio si crede.Ritengo l’associarsi necessario,utlie ed indispensabile.Ma,l’associazione fra noi,deve prodursi come manifestazione di esigenza spontanea,fraterna,che avviene tra indivualità che si scoprono in tante cose affini,per scopi ben definiti,sempre revocabile e sempre ricostruibile;associazione su basi e prassi essenzialmente e permanentemente antiautoritarie e inssurezzionaliste,con il più libero accordo,nella più sovrana autonomia dei singoli e senza nessun impedimento reciproco.Mai organizzazione codificata o informalmente monopolista e negatrice di altre forme di organizzazone anarchica.

L’etica come l’intendo io,non è morale,nè immorale,ma puramente AMORALE,è cioè al di sopra e al di fuori di quella cerchia che si vuole porre come limite circoscritto alle idee di “unici”.

Per concludere,non faccio parte di nessuna congrega “ufficiale” o informalizzata che dir si voglia.

Il resto lascio a voi giudicare.

PierLeone Mario Porcu

Individualità Anarchiche Lucane-Lucania Nichilista

 

Un blog nato da poco, ma che già promette bene.

Si presentano così:

https://lucanianichilista.noblogs.org/

lupo

 

“Ci indirizziamo […] agli insoddisfatti ed a coloro che dubitano. Ai malcontenti di sé stessi, a coloro che sentono pesare su di essi il fardello di centinaia e centinaia di secoli di convenzionalismi e pregiudizi. A coloro che hanno sete di vita vera, di libertà di movimento, di attività reale e che non trovano attorno ad essi che insincerità, truccatura, conformismo e servilità. A coloro che vorrebbero conoscersi maggiormente e più intimamente. Agli inquieti, ai tormentati, ai cercatori di sensazioni nuove, agli esperimentatori di formule inedite di felicità individuale. A coloro che nulla credono di ciò che è stato loro dimostrato. Agli irrequieti; sì, agli irrequieti, poiché io preferisco l’onda agitata all’acqua stagnante.”
É. Armand – Iniziazione individualista anarchica

Nell’età del capitalismo moderno, la democrazia subendo un processo di trasformazione riorganizza il proprio potere, assumendo forme sempre più liberticide ed autoritarie. Durante questa fase qualsiasi diritto concesso dall’alto, viene annichilito sotto i colpi di politiche tese ad aumentare la centralizzazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi individui, mentre le diverse strutture di potere promuovono il corporativismo e la pace sociale a colpi di una cieca repressione. Il processo sociale messo in atto, non fa altro che portare ad un’evidente escalation della violenza e ad una nevrosi collettiva ove l’individuo vede nell’altr* il proprio potenziale nemico, indirizzando il proprio odio e le proprie frustrazioni verso l’emarginato/a ,il/la disagiato/a o l’eversivo/a visti/e come fonte della presunta decadenza politico-sociale, alimentando una guerra fra poveri ove ne escono vittoriose le classi dominanti. Inoltre la nostalgia di un fantomatico ordine perduto e di un messianico riscatto sociale, porta alla (ri)scoperta di vecchie ideologie autoritarie o della religione, abdicando la vita e sacrificando sé stessi ad idee di morte. Le costruzioni sociali che siamo costretti ad emulare, i rapporti sociali basati sulla competizione, sull’utilitarismo e su un solipsismo nevrotico, la morale borghese, l’esistenza dettata dal Capitale e dai tempi lavorativi sono gli strumenti di controllo tesi a disgregare e alienare gli individui o la loro unione per soffocare qualsiasi spinta spontaneista e atto di rivolta che possa scaturire da essi. In questo contesto abbiamo deciso di unirci sotto il nome di Individualità Anarchiche Lucane, per rompere con l’esistente, uniti da un solo obiettivo: la distruzione di qualsiasi tipo di dominio, potere e autorità. Rifiutiamo qualsiasi pratica e affinità con coloro che promuovono l’uso degli stessi strumenti del Potere o si fanno portatori delle sue istanze; non vogliamo farci detentori di verità, di strategie assolute o di un’egemonia di pensiero, qualunque tentativo su questa via non porterebbe ad altro che alla fondazione di uno scellerato avanguardismo. Stanch* del “politically correct” e del messianismo rivoluzionario, il nostro agire è fondato sull’hic et nunc teso a creare un vivere radicale nel presente, attraverso la sperimentazione di pratiche sovversive e relazioni egualitarie nel nostro quotidiano e nella continua decostruzione delle gerarchie sociali (basate sui concetti di razza, sesso, specie, classe ed età). Crediamo che il terreno fertile per la creazione di complicità politiche si basi sull’ostilità alla sovrastruttura dominante. Assetati di libertà, prendiamo parte al banchetto del Caos cibandoci del Vecchio Mondo. Il nostro rifiuto totale per un’esistenza arida lasciata da una politica di morte protratta dallo sviluppo del Capitale, ci porta alla riscoperta della gioia di vivere e nella creazione ludica di nuovi mondi ove la Vita possa riconquistare il proprio spazio e l’individuo possa tendere al suo massimo sviluppo etico, intellettuale e psicofisico attraverso la costituzione di gruppi di affinità. Qualunque comunicato, azione e/o testo riprodotto su questa piattaforma avrà il fine di decostruire l’esistente, augurandoci di moltiplicare gli atti di rivolta individuali e collettivi, per destabilizzare la realtà opponendosi ai tentativi di soffocarci sotto ritmi alienanti e la meccanizzazione del presente per aprire nuove prospettive di vita, che possano sorgere dai nostri sogni e desideri nella riscoperta di un vivere radicale e libertario.

Per la liberazione totale degli esseri viventi, per l’Anarchia!