Il nemico e i suoi dintorni di PierLeone Porcu

Non è compito facile, né è comodo il perseverare, quando tutto implica il sapere con se stessi di dover resistere quotidianamente alle piccole soddisfazioni allettatrici del vivere comodo e spensierato. È difficile lottare con costanza mantenendo intatta e incorrotta la propria volontà di non cedere ai compromessi.

La lotta è aspra, dura, aperta, violenta, procura dolore e indurisce i cuori. Molte volte non vi è nulla di piacevole né di soddisfacente, salvo il sapere con noi stessi, che su questa strada passa la nostra autoliberazione individuale e sociale.

Non dobbiamo mai dimenticare che ogni qualvolta si cerca il compromesso, la mediazione in cambio di un po’ di tregua, ci si confonde, ci si accosta al nemico che combattiamo, fino a divenire un suo utile supporto, simili in tutto e per tutto a quelle forze che giornalmente lo sostengono.

Come rivoluzionari anarchici, ad ogni momento sosteniamo che non sappiamo concepire soluzioni della questione sociale che non passino per la strada della diretta e radicale distruzione di tutte le istituzioni presenti, ma al di là dei limiti di vaghe promesse teoriche, sono ben pochi i compagni che vanno a verificarle nell’azione.

Si concorda tutti che non si vive di sole chiacchiere, né di bonarie e ben predisposte affettività ideologiche che ci fanno sentire “tutti fratelli”, ma in concreto quello che si fa è poco o nulla.

E i più mirano ad allontanare da sé i rischi e i pericoli che la lotta sempre comporta quando è tale e non ridotta a spettacoli simbolici recitati in piazza.

Esiste, nelle situazioni sociali, una vocazione a collaborare, a partecipare per non sentirsi tagliati fuori, con tutte quelle rappresentanze democratiche che sappiamo benissimo quanto concorrano, con la loro azione cloroformizzante, a disarmare e frenare gli impeti della rivolta, a smorzare ogni bisogno della vendetta, a mantener nell’apatia, nella sonnolenza le masse proletarizzate. Così, più che radicalizzare il conflitto sociale tra padroni e schiavi, finiamo per ritrovarci in quel calderone di forze politiche e democratiche che tendono a sanarlo sul terreno della partecipativa e alienante dimensione della collaborazione di classe. Tutto questo è dannoso e letale alla causa sociale rivoluzionaria, che a ogni piè sospinto diciamo sostenere.

Quel che muove a sdegno e fa rabbia in questo momento, è che alla trista genìa dei ruffiani e sensali e mercanti della carne proletaria, agli impudichi giullari del potere, ai castratori di ogni tensione rivoluzionaria, ai miopi della questione sociale, ai coccodrilli religiosi o laici della non violenza, non si riesca a dare una chiara e precisa risposta.

Anche perché si continua a vivere di bugiarde promesse fatte a se stessi, rattoppando a destra e a manca le proprie manchevolezze, sfuggendo alle proprie contraddizioni, fino ad aderire ad iniziative che non disturbano l’ordine costituito e la terrificante pace sociale che contribuisce a conservarlo.

Quando ogni cosa che si fa appare un igienico raggio volto a sterilizzare preventivamente ogni germe di rivolta, tutto diventa accettabile, anche la merda. Il tutto in cambio di una meschina e miserabile tranquillità socio-domestica.

In una società dove tutti corrono verso il giustificare le proprie debolezze, dove a prevalere sono i livellamenti verso il basso, dove a dominare sono la mediocrità e la miseria, le coscienze sono flessibili e plasmabili per ogni esigenza, e tutto ciò è espressione di quanto va producendo il sistema democratico.

Nel nostro movimento, molti di coloro che si dicono anarchici, non sono animati da un bisogno intimo di rivolta, ma di essere costantemente afflitti da un mal celato desiderio di voler emergere e possedere una “attraente immagine” come parvenza alternativa ai modelli dominanti nei circuiti sociali della massamarea dei dormienti che ci circonda.

Costoro deviano sul terreno delle piccole felicità, accettano supinamente tutti i compromessi per salvaguardarsi da ogni rischio di conflitto, portano con sé il suicidio di ogni radicale tensione alla rivolta, indossano una umana “maschera” fatta di ipocrite convenzioni e miserevoli giustificazioni, che cela l’aver fatto propria nella tirannia della debolezza, l’abiezione, inconfessabile persino a se stessi nella loro fragilità.

Afflitti dalla paranoia repressiva, sostengono, dietro un contorto e fumoso giro di parole, la tesi che non si deve far nulla in sostanza, al di fuori di quanto legalmente consentito dal sistema, facendosi così apertamente fautori della pacificazione sociale contro la rivolta.

Ma perché non dicono apertamente che hanno paura della lotta, che non sanno dire di no alle proprie debolezze, che il rischio di volersi liberare da ogni tutela li spaventa. Evidentemente preferiscono vivere come animali addomesticati, piuttosto che giocarsi la vita per conquistarsi la libertà. Certo, io li capirei se dicessero chiaramente di amare la comodità, la via dolce e tappezzata di velluto, di non avere il coraggio di rispondere alle angherie ed ai soprusi cui quotidianamente siamo sottoposti.

Tutto ciò è umano; e sappiamo benissimo che “il coraggio uno non se lo può dare”. A che serve nascondersi dietro tanta ipocrisia?

Molti di costoro vivono aggrappati tenacemente ai tanti piccoli miserabili privilegi dati dalla propria condizione sociale, che li vede svolgere diligentemente ruoli dirigenti sui rispettivi posti di lavoro. E così” giocano” a tacere tutto ciò che rovina l’estetica del loro dorato e ovattato mondo in cui se ne stanno ben rintanati, e danno un’immagine addomesticata della realtà del tutto funzionale agli attuali progetti di dominio del capitale e dello Stato.

Non è un caso, che il contrapporsi con durezza di chi si rivolta contro questo stato di cose, si scontri all’interno del Movimento proprio con costoro, che cercano in tutti i modi di dissuaderlo dall’intraprendere la strada dell’insorgenza, volendolo ricondurre all’adozione dei loro innocui e disarmanti metodi di lotta, come l’uso della piazza a mo’ di teatro, dove si rappresentano spettacoli simbolici, utili soltanto a dare di se stessi un’immagine perbenista, gratificante e compatibile con quello che è l’andazzo del più generale spettacolo offerto dai network televisivi.

Per altri versi, c’è chi da tempo immemorabile si è lasciato andare al muoversi come uno zombie per forza d’inerzia dentro il circolo chiuso della “militanza-testimonianza”, che, alla stregua di un dopolavoro consiste nell’aprire la sede e star lì in attesa di qualche mitico evento, tipo “il risveglio dell’iniziativa di massa” o, nel migliore dei casi, nel diffondere la stampa nei “centri sociali”, nelle case occupate e nelle manifestazioni, per poi finire la giornata al cinema o in qualche locale “alternativo”, gestito da ex compagni, reduci del ’68 o del ’77 e dintorni. È in questo modo che si esaurisce, nell’ambito dell’amministrazione-gestione dell’esistente, la dimensione del loro agire, come vuota ripetizione ritualizzata di ciò che è stato e che in quella veste non tornerà mai più. L’accentuarsi della precarietà sociale, l’aggravarsi generalizzato dello stato di cose esistenti, sempre più invivibile, spinge iniziative di lotta per la difesa del proprio status quo e relegate nella mera sopravvivenza. Sempre più chiusi in questi luoghi della resistenza e della conservazione della propria misera quotidiana, il luogo fisico, è una dimensione-divisa mentale.

Non si criticano le cose che si fanno a partire dal voler dar corso ad una radicalizzazione dello scontro sociale, dal voler dare una maggiore incisività all’azione rivoluzionaria, ma tutto viene criticato a partire da quei tratti caratteriali espressione delle proprie paure e attaccamento alle proprie inveterate abitudini. Si mira soprattutto a non mettere in discussione l’attuale essenza di iniziative, in quanto il farlo comporta il rischio di perdere il piccolo spazio ritagliatosi all’interno del Movimento.

L’illegalismo o meglio il muoversi fuori dalla legge, viene esorcizzato e represso, prima ancora che dagli organi polizieschi e giuridici dello Stato, dai fantasmi che assediano la mente di certi compagni.

Il destino del progetto insurrezionale anarchico, sembra oggi giocarsi attraverso una compiacente adesione data al succedersi di fatti serviti come spettacolo altamente repressivo del potere, che può in questo contare su quella parte di compagni che vogliono con tutte le loro forze che vengano allontanati da sé simili e così pericolosi fantasmi inerenti la possibile guerra sociale.

Oggi tutto l’interesse dei compagni viene puntualmente deviato in modo sempre più totalizzante, sui soli aspetti spettacolari e commerciabili, come lo spettacolo di una solidarietà evirata dai conflitti sociali, con la collaborazione anche da parte dei compagni che non condividono questo modo di operare. In questo tipo di iniziative non vi è nulla di inerente a quel che più di ogni altra cosa dovrebbe interessarci: le modalità di una propaganda anarchica rivoluzionaria tesa a sviluppare un’azione insurrezionalista.

Se siamo rimasti noi stessi, testardi più di prima, a lottare e sostenere, al di là di ogni repressione e criminalizzazione quello che contro ogni compromesso abbiamo portato avanti sul piano rivoluzionario, con chiarezza e consapevolezza, perché dovremmo abbandonare questa strada proprio ora. Se esiste una teoria e una pratica rivoluzionaria ancora degna di questo nome, questo è l’anarchismo rivoluzionario. Se esiste uno spirito di rivolta dell’individuo, un desiderio di insorgenza per dar corso alla totale autoliberazione individuale e sociale, questo è quanto abbiamo e sosteniamo e portiamo avanti da sempre.

Noi non abbiamo bisogno di rifarci il “maquillage”, né abbiamo da rinnegare nulla del nostro passato, se c’è qualcosa che ci rimproveriamo, è la nostra insufficienza mostrata quando ci siamo adagiati.

Oggi noi dobbiamo approfondire tutto, ma per poter far meglio di quanto fin qui c’è riuscito di fare è sempre sulla strada aperta e violenta della rivolta “esplosiva” e dello scontro sociale armato contro lo Stato, il capitale, la Chiesa e tutti i loro innumerevoli rappresentanti e servitori.

No, noi non chiudiamo gli occhi sulla realtà, né ci stordiamo e ci lasciamo incantare dalle prefiche di “Liber asinorum” a tal punto, da non riuscire a più a distinguere chi è il nemico (e i suoi dintorni), ciò che va facendo per rendersi più attraente, partecipativo e accettabile.

Non ci interessano le “minestre” riscaldate della critica-critica, nè i bigotti ripetitori delle formule sonanti, quanto vaghe e fors’anco vane, sia tra gli spaccamonti funesti e superflui, quanto per i contemplativi e i salmodianti della teoria “insurrezionalista”. Noi non abbiamo fiducia nelle chiacchiere, né ci interessano le battaglie cartacee, noi ci vogliamo confrontare unicamente sul terreno dell’agire e su quello ragioniamo perchè lì stanno sempre i nostri problemi veri, in quanto ineriscono il qui e ora dell’azione rivoluzionaria anarchica all’interno dei conflitti sociali in corso.

Noi non agiamo solo per distruggere il presente sistema sociale, ma anche contro chi all’interno delle lotte intraprese mira a creare nuove autorità e nuovi istituti di coercizione sociale al posto di quelli annientati.

Noi agiamo per risvegliare la rivolta contro i capi che comandano, contro il gregge che ubbidisce, per affermare la libera autonomia individuale, responsabile solo di fronte alla propria coscienza, il rispetto della sovranità del singolo di fronte alla stupida ed eunuca concordia pecorile delle masse, sempre prone agli ordini di vecchi e nuovi capi.

L’anarchia che incendia i nostri cervelli e infiamma i nostri cuori è inestinguibile fonte di entusiastico palpito

rivoluzionario, che ci porta a voler abbattere iconoclasticamente tutte le divinità del cielo e della terra che albergano nella conservatrice e statica mentalità umana.

Siamo dei perfetti nichilisti e individualisti perché anarchici, e siamo anarchici perché amiamo la libertà e la solidale acrazia tra gli uomini. Saremo e resteremo ancora, forse, degli incompresi e saremo forse maledetti, calunniati, derisi; ma avremo l’orgoglio e la gioia serena, ragionata, convinta, cosciente, così facendo di aver dato sempre tutto per ciò che fa di un uomo un uomo , ossia vivere nell’orizzontalità della vita sulla strada degli uomini liberi.

PierLeone Porcu

Un punto di vista. Contributo di Alfredo Cospito al dibattito aperto da CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai

Questo contributo di Alfredo Cospito, prigioniero nel carcere di Ferrara, risponde al testo delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai tradotto e pubblicato anche su questo blog lo scorso marzo (https://thehole.noblogs.org/post/2016/03/10/grecia-testo-della-cospirazione-delle-cellule-di-fuoco-cellula-di-guerriglia-urbana/).

Lo scritto di Alfredo risale ad oltre un mese fa. Nonostante non sia più sottoposto a formale censura della posta, le comunicazioni dal carcere di Ferrara continuano ad essere intermittenti e con forti ritardi a causa dei soliti spioni in divisa.

Fonte: www.autistici.org/cna

Un punto di vista

Un contributo individuale al dibattito aperto dai fratelli e sorelle delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai

Ho avuto il piacere di leggere, tradotto da “Sin Banderas.Ni fronteras” il vostro scritto in cinque punti e mi è venuta una gran voglia di contribuire al dibattito. Le notizie qui in prigione in Italia sono limitate e sperando che la traduzione dello scritto in spagnolo sia affidabile, cercherò nei limiti del possibile di dire la mia. Premetto quindi che per la posizione in cui mi trovo e per la mia poca conoscenza della situazione in Grecia il mio contributo sarà limitato. Sorvolerò velocemente sull’interessante analisi che fate della situazione del movimento anarchico greco e sulla sua evoluzione storica negli ultimi dieci anni che mi ricorda da vicino(fatte le dovute differenze storiche) la situazione italiana della “ritirata” dopo l’esperienza di lotta armata degli anni 70 (senza, fortunatamente per voi, lo schifoso strascico di pentiti e dissociati) che qui in Italia, tanto per essere ottimisti, fece nascere dalle ceneri del lottarmatismo un anarchismo più vitale ed originale. Sono d’accordo con voi che le parole degli anarchici-e prigionieri non devono essere santificate e prese per verità assolute, sono semplicemente dei contributi teorici alla lotta. Come sono d’accordissimo quando sostenete che bisognerebbe: ”Ricordare le nostre esperienze passate non per imitarle ma per superarle”. Proprio per questo la creazione di un “movimento anarchico autonomo”, di un “polo anarchico autonomo per l’organizzazione della guerriglia urbana anarchica”, di una “federazione anarchica internazionale “ mi sembra un passo indietro. Un ritorno al passato, ai vecchi schemi che rischiano di ricondurre alla classica organizzazione specifica di sintesi, uno strumento vecchio, un bisturi spuntato. Dopo il “Dicembre nero”, splendida campagna d’azione a cui molti gruppi Fai-Fri hanno partecipato, avete sentito il bisogno di proporre un salto di qualità, avete sentito la necessità di un “polo anarchico autonomo” strutturato con i “propri meccanismi politici, senza burocrazia, nostre proprie assemblee senza ficcanaso, nostre proprie organizzazioni senza rango” e lo avete fatto a nome delle CCF-Cellula guerriglia urbana-Fai.
Capisco perfettamente l’entusiasmo ed il bisogno che sentite di rafforzarvi, di diventare sempre più incisivi, di unire le varie correnti anarchiche rivoluzionarie, individualisti, nichilisti, insurrezionalisti, ribelli ma non credo sia quella la strada. E soprattutto che una proposta di questo tipo non dovrebbe provenire da una cellula Fai/Fri. Mi spiego, darsi un’organizzazione strutturata attraverso la creazione di assemblee inesorabilmente porterebbe alla nascita di organizzazioni specifiche snaturando l’informalità dello strumento Fai-Fri, deviando dagli obiettivi che la federazione informale si è data, facendola venir meno alla sua semplice natura di strumento di comunicazione. Una proposta come la vostra rappresenta sicuramente un tentativo generoso, ma in nome della Fai-Fri spingere alla nascita di un polo anarchico autonomo, fare un discorso quantitativo, ideologico di aggregazione di settori del movimento trasformerebbe la federazione informale in un’organizzazione che per sua natura con questi presupposti non potrà che farsi egemonica, impoverendola, rallentandola, alla lunga uccidendola.
Una proposta come la vostra fatta a nome della Fai-Fri dividerebbe piuttosto che unire, indebolirebbe piuttosto che rafforzare. Non mi stancherò mai di ripeterlo, secondo me la federazione informale deve “limitarsi” ad essere semplice strumento di cui anche compagni-e come me, totalmente alieni da qualunque organizzazione, possano far uso, regalandosi la possibilità di rapportarsi con altri singoli o nuclei sparsi per il mondo. La Fai-Fri è un’arma da guerra, più semplice è la sua struttura, più elementari sono le sue dinamiche di funzionamento, più sarà efficiente. Diminuirne la complessità ne aumenta l’efficacia. Come un coltello ben affilato, come una Tokaref ben oliata. Secondo me sono il coordinamento e l’assemblea le due metodologie che bisognerebbe evitare per non trasformare la Fai in una pachidermica, lenta organizzazione strutturata. Due metodologie che rischierebbero di farla diventare un’organizzazione specifica anarchica, nient’altro infondo della solita federazione anarchica impregnata di ideologia, che spiana qualunque dissenso intorno a sé fino a sparire sotto i colpi della repressione. Sia il coordinamento che le assemblee hanno bisogno della conoscenza diretta tra i gruppi ed i singoli. Per coordinarsi i rappresentanti dei vari gruppi devono incontrarsi e darsi delle scadenze temporali o altro per le azioni. Nelle assemblee i singoli individui si conoscono e dicono la loro, creando inevitabilmente leaderismi: chi sa parlare o muoversi meglio, chi ha più tempo da dedicare all’assemblea detta la linea, generando gerarchie e delega. Sia il coordinamento che l’assemblea espongono alla repressione, tutti si conoscono, è come un castello di carte, se cade una cadono tutte. La Fai in maniera molto semplice e naturale attraverso l’esperienza collettiva di decine di gruppi sparsi per il mondo ha sostituito, senza neanche accorgersene, queste due vecchie metodologie con le campagne rivoluzionarie, che non hanno bisogno di scadenze o conoscenza reciproca, parlano solo le azioni. Non c’è bisogno di coordinamento quando basta comunicare l’inizio di una campagna attraverso le rivendicazioni, scritti che seguono le azioni e che aprono dibattiti tra le differenti tensioni (insurrezionalisti ,individualisti, nichilisti, anarchici sociali e antisociali) creando percorsi nuovi mai caratterizzati dall’uniformità, dall’ideologia, dalla politica. Per quanto riguarda l’assemblea, questa è un modo di politicizzare , ideologizzare dei rapporti semplici e naturali di affinità, amicizia, amore , sorellanza, fratellanza che ogni gruppo Fai-fri tiene di per sé e che riguardano solo la propria vita più intima e che solo nel momento dell’azione si intrecciano con l’esistenza della federazione informale.
Rapporti che riguardano solo il singolo ed il suo gruppo e che non possono esser imprigionati in uno strumento politico come l’assemblea.
Non essendoci contatti diretti tra i gruppi, se si venissero comunque a creare dei meccanismi autoritari rimarrebbero per forza maggiore limitati a quel singolo gruppo, non impestando tutto l’organismo.
Detto questo so bene che chi vuol fare la rivoluzione deve necessariamente rapportarsi con assemblee e coordinamenti, anche perché la rivoluzione si fa con gli sfruttati, con gli esclusi ,con il cosiddetto “movimento reale” .
L’informalità della Fai-fri per un obiettivo” politico” di tale portata è inadeguata. La federazione informale segue un suo percorso di guerra che nei limiti delle sue forze vuole solo distruggere e niente costruire. Un percorso imprevedibile, mai ideologico, mai politico, mai costruttivo che a volte si interseca con quello del “movimento reale”. Due percorsi con obiettivi ben distinti il primo il movimento anarchico ,combattivo, violento, rivoluzionario con le sue assemblee ed organizzazioni specifiche e non il secondo la Fai-fri uno strumento semplice, elementare, basico, informale per fare la guerra, colpire per poi sparire, comunicare senza mai apparire. Bisogna tenere ben distinti i tuoi percorsi che insieme si annullerebbero a vicenda.
Soprattutto una cosa deve essere chiara , si fa parte della Fai -fri solo nel momento dell’azione, poi ognuno ritorna alla propria vita di anarchico, nichilista, individualista, ai propri progetti alla propria prospettiva di ribelle o rivoluzionario con tutto il suo corollario di assemblee, coordinamenti, nuclei di affinità, occupazioni, comuni ,lotte sul territorio , e chi più ne ha più ne metta.
La Fai-fri(così almeno la intendo io) non è un partito, né un movimento né tanto meno un’organizzazione, ma un mezzo per rafforzare e potenziare i singoli gruppi di affinità o singoli individui d’azione attraverso campagne internazionali che uniscono le nostre forze senza coordinamenti, senza cedere preziosa libertà. Un mezzo di cui può avvalersi qualunque anarchico che aspiri alla distruzione qui ed ora. Non è uno strumento perfetto, molte cose si possono migliorare ad iniziare dalle campagne internazionali che, secondo me, non sono mai state sfruttate a pieno. Immaginate di concentrare le forze su obiettivi di uno stesso genere , di portata internazionale. Cosa c’è di più internazionale e nocivo delle multinazionali, dell’industria tecnologica, della scienza…se le campagne sono generiche vanno secondo me a perdere forza e significato se ci si limita ad un fatto di mera testimonianza di generica solidarietà non si sfruttano a pieno le reali capacità di uno strumento che potrebbe (in quel caso sì ) far fare un enorme salto di qualità.
La prima generazione delle CCF ha avuto un gran merito, certi discorsi che prima erano stati fatti solo teoricamente, attraverso la loro forza e coerenza si sono concretizzati, hanno preso vita nelle campagne internazionali. Un discorso antico, che agli inizi degli anni 60 le federazioni giovanili anarchiche europee avevano messo in pratica e che sembrava appartenere ad un passato ormai lontano, oggi ha ripreso vita grazie al coraggio ed alla fantasia di fratelli e sorelle rinchiusi da anni nelle carceri greche ma, mai arresi .Un discorso attualissimo che, attraverso l’informalità, è rinato ed è più forte che mai.
Alfredo Cospito

Solidarietà con gli accusati dell’incendio di un’auto di polizia a Parigi.

 

 

A seguito dell’ipermediatizzazione di un’auto di polizia incendiata sotto gli occhi di una dozzina di telecamere, cinque persone sono state arrestate,in serata o nel giorno seguente,accusati di un attacco che tutto sommato avviene abbastanza spesso, tutti odiano la polizia,e capita quasi ogni giorno che venga attaccata in diversi modi su tutto il territorio, specialmente in questa maniera!

 

A seguito del fermo di polizia, una persona è stata rilasciata, gli altri quattro sono sotto accusa per “tentato omicidio volontario” “violenza volontaria in banda organizzata su pubblico ufficiale” “distruzione di bene pubblico in banda organizzata e partecipazione a gruppo armato” Uno di loro è inoltre accusato del delitto di avere rifiutato di sottoporsi al prelievo del DNA.

I quattro sono attualmente in detenzione preventiva (tre liberati sotto controllo giudiziario il 24 maggio).

Se le accuse altisonanti a loro rivolte(“tentato omicidio”)e la conseguente minaccia( ergastolo)non reggeranno al processo servono nel frattempo ad assicurare loro la detenzione preventiva sotto la benedizione di qualche sadico in toga.

I media della democrazia, obbedienti agli ordini, hanno fatto bene il loro gioco,il loro zelo pari solo alla loro servilità impeccabile alla violenza estrema e normalizzante, in nome della pace sociale.

Una bella soddisfazione data ai sindacati della polizia che quel giorno manifestavano, sembra essere l’obbiettivo secondario del ministro degli interni e del governo.

Un po’ di emozioni forti per il cittadino medio, un po’ di vendetta per la polizia, deterrenza per i ribelli.

E ‘alla base di questo trittico vile che la ragione di Stato si è messa all’opera contro alcuni compagni, probabilmente scelti a caso da qualche fascicoletto scadente della pseudo “ultra-sinistra”, categoria inventata dallo stato che ha già dato luogo a decine di processi, incarcerazioni, e  spionaggi di ogni genere,dall’ultimo decennio ad oggi.

(ancora oggi la famosa “macchina delle espulsioni”resta a giudizio e molti compagni e compagne ancora sotto indagine)

Probabilmente lo stesso fascicolo utilizzato recentemente per emettere divieti e accuse varie con la scusa dell’emergenza sociale.

 

 

Oggi riteniamo necessario rielaborare tre posizioni importanti:

 

  • Come rivoluzionari, saremo sempre dalla parte di coloro che sfidano, contaminano, attaccano l’ordine e quindi anche la sua forza, in una prospettiva di emancipazione. Perché la rivoluzione non avverrà nei saloni con power-point , del folklore militante e filosofi annoiati, ma in strada, con l’odio, il fuoco e la speranza.
  • Questi compagni avrebbe potuto essere qualsiasi delle migliaia di manifestanti che si sono riversati nelle strade ridipingendola con i colori della gioia negli ultimi mesi. Potevamo essere noi, o voi, tu o io. Questa repressione è quindi un attacco contro tutti i rivoluzionari e , contro tutti coloro  “che odiano la polizia” e che odiano il lavoro.
  • Pertanto, la questione del “senso di colpa” o dell’innocenza dei comnpagni accusati appartiene solo al potere , e lasciamo queste considerazioni,  il vocabolario del codice penale, che non sono e non saranno mai  nostri, a quelli dall’altra parte (siano essi poliziotti, giudici, avvocati o giornalisti). Questo gesto, chiunque siano gli autori, è parte di una lunga tradizione di pratica rivoluzionaria, che dobbiamo difendere come tale . Non si tratta di legittimare  questo tipo di attacco, giustificarlo, o minimizzarlo, ma di attaccare ogni principio di legittimità, ogni tendenza alla giustificazione, ed ogni moderazione nell’ attacco anti-autoritario al dominio, e gli agenti che proteggono il loro regno.

Affermiamo la nostra solidarietà con gli imputati, e soprattutto con il gesto di cui sono accusati, che ricordiamo, è un atto di vita quotidiana, un atto necessario per tutti coloro che desiderano la libertà, e non un ” terribile evento  ultra-violento “o” eccezionale “- l’unico elemento eccezionale potrebbero essere le telecamere onnipresenti, non solo lo stato, e neppure i journaflics, contrariamente, ad esempio, dei cosiddetti quartieri “sensibili”, dove tutto accade in silenzio, senza copertura mediatica o effusioni, con regolarità. Ripetiamo ancora una volta che le immagini sono un problema contro il quale dobbiamo organizzare concretamente .In caso contrario, i ribelli continueranno a scendere, come albicocche in estate.

In una città come Parigi, che ha gustato nel 2015 una violenza indiscriminata, a cinque minuti a piedi da Quai de Valmy, veramente terribile e sorprendente, davvero violenta, veramente terrorista, è indecente a piangere per la sorte di una macchina di polizia, la cui funzione è proprio quella di farsi prendere a schiaffi in faccia da tutto ciò che  rifiuta ordine mondiale di conseguenza.  Non lasciamo soli i compagni nel  vortice mediatico-repressivo che li rendono degli individui assetati di sangue e cannibali feroci,  oggetto di dibattiti  sterili “contro” o “a favore” della “violenza”.

No, di fronte allo Stato e ai suoi lacchè, sono nostri ccompagni, e noi siamo i  loro.

Né verità né giustizia, complicità e  rivoluzione.
La miglior difesa è l’attacco.
Libertà per tutte e tutti.

Il 24 maggio 2016 a Parigi, pochi anarchici .

ILLEGALISMO E PROPAGANDA CON I FATTI-Pier Leone Porcu

 

 

death-breath-the-plague-artwork-by-danny-larsenSembrano passati secoli da quando Pierleone Porcu scriveva queste parole “Illegalismo e propaganda con i fatti”.

Chi pratica l’azione oggi, ma siamo ben lungi dalla dinamite, dal plastico e dal tritolo che invocava Porcu,si erge a moralizzatore dell’azione altrui, come se non bastassero i giudici dello Stato a dare sentenze, e stabilisce chi sia abilitato ad operare sul “palcoscenico” della lotta.

Quanto si è letto di nichilismo, individualismo, distruzione in questi ultimi anni? Migliaia di comunicati di rivendicazione di attentati di ogni tipo, ma se la distruzione nichilistica del sé, della morale imposta dalla società non avviene con il superamento del vecchio uomo, ci troveremo sempre di fronte a dei moralizzatori travestiti da rivoluzionari. Dei distruttori che impongono regole affinché tutto venga distrutto secondo una certa etica, la loro.

Come diceva qualcuno: “Per scalare il vertice ci vogliono unghie affilate e mani pronte alle ferite più dolorose.

Mentre si scala il vertice di un’umanità decadente, cadono, cadono le rocce che si sgretolano sotto le dita…”

E quando vi scontrerete con la morale ancora insita in voi sentirete un gran male, questo l’ho sperimentato.

 SZ

 

 

ILLEGALISMO E PROPAGANDA CON I FATTI

 

Rivolta permanente con la parola,

con gli scritti,col pugnale,col fucile,con la dinamite.

Per noi,è buono tutto ciò che non è legale.

P.Kropotkin,”Le Rèvolte”

(dicembre 1880)

Sgombriamo il campo, anzitutto, della flora parassitaria che vi si infittisce e rende sterili moltisforzi: equivoci, antiquate impostazioni generali, pessimismi aprioristici, pregiudizi fondati su moralismi bottegai -preteschi, ostilità dovute a miopia e ostilità dovute a un brutto calcolo d’interesse.

La formula” illegalismo e Propaganda con i fatti”, deve essere presa e trattata con spirito libero e con estrema spregiudicatezza. Essa non è il titolo di una nuova scienza social-rivoluzionaria. E’ il nome che nel nostro movimento si è convenuto assegnare per comodità del discorso, alla convergenza di tutte quelle pratiche rivoluzionarie che uscendo dal terreno della legalità attaccano direttamente con mezzi esplosivi – dinamite,plastico,tritolo – tutte le istituzioni attuali e con le armi in pugno attentano ai loro rappresentanti e vari servitori,come pure armi in pugno si procacciano i mezzi per finanziare tale attività(furti,rapine,sequestri,ecc.),e difendono sempre armi in pugno la propria libertà personale dalle aggressioni mosse loro dalla sbirraglia pubblica e privata.

L’attentato,l’incendio,il saccheggio,il sabotaggio,loscontro armato (organizzato o meno) sono parte integrante della “guerra sociale” portata avanti senza esclusione di colpi,senza più limiti prescostituiti dati dall’azione rivoluzionaria.

Le ragioni del perchè, io insurrezionalista anarchico,sia partigiano dell’illegalismo e della “propaganda con i fatti “,sono date dal fatto che ritengo di stretta necessità-ieri come oggi- di fare tutti gli sforzi possibili per propagandare e diffondere “con la parola, con gli scritti, con la dinamite” l’idea rivoluzionaria dell’Anarchia e lo spirito di rivolta fra le masse dei proletarizzati. Reputo il più semplice fatto o atto di rivolta, diretto contro lo Stato, il capitale, la Chiesa e i loro innumerevoli rappresentanti e servi, che parli meglio al cuore e alla mente di ogni oppresso e sfruttato che migliaia di stampati e fiumi di parole. Inoltre, questa è la sola pratica fin qui elaborata in campo rivoluzionario che,senza ingannare nessuno,senza creare deleghe di nessuna specie,miri direttamente allo scopo,che è quello dell’attacco diretto ed esplosivo per disintegrare l’intero stato di cose esistenti.

La mia è una scelta di campo e di vita,che sul terreno della globalità di ciascuno di noi implica il fatto di giocarsi la vita sulla materialità della rivolta intrapresa,senza più transazioni vissute come aspettative di un futuro sedicente paradiso terrestre.

Per non creare inutili aspettative e pericolose illusioni sono contro ogni specie di opportunismo e ogni specie di politica. Non avendo nessuna fiducia nell’efficacia dei mezzi legali e non volendo in nessun modo prendere parte alla cosiddetta vita “politica ufficiale” né a quella sedicente “rivoluzionaria”.

Quello che cerco – da solo o assieme ad altri – di mettere in pratica è esclusivamente diretto a rendere evidente a tutti che io confido unicamente nella forza materiale per abbattere la forza materiale che ci opprime,e che bisogna strappare con la forza ciò che dalla forza ci è conteso.

Rifiuto ogni confronto dialettico con la controparte, nè mi servo del suo costituzionale democratico armamentario di difesa giuridica quando mi incrimina, io – fuori come dentro le aule di qualsiasi tribunale- rivendico a viso aperto come metro di rapportazione la guerra sociale armata.Il rifiuto di stilare copiose autodifese ed altro ancora,è una logia conseguenza di questo mio modo di agire fiero,franco e intransigente di fronte al nemico.Permettetemi questa citazione “Di fronte ai poliziotti e ai giudici – diceva Victor Serge in un suo scritto del 1925 – non cedere alla tendenza inculcata dall’educazione idealista borghese di stabilire o ‘ristabilire’ la verità.Nei conflitti sociali non esiste verità comune alle classi sfruttatrici e alle classi sfruttate.Non esiste verità – né piccola né grande – impersonale,suprema,al di sopra della guerra di classe.(…) La loro veritànon è la nostra.Il militante non deve rendere conto di alcuno dei suoi atti ai giudici della classe borghese [io qui aggiungi a nessuna specie di giudice],non deve alcun rispetto di una pretesa verità.(…) La veritò noi la dobbiamo solo ai nostri fratelli e compagni…”.

Da quanto fin qui sostenuto,è solare che io – rispetto a quei compagni nostri ammalatisi di legalismo e giuridismo – ho fiducia esclusivamente nei nostri mezzi rivoluzionari anarchici,e su quelli in ogni circostanza confido.AL di là di tutte le chiacchiere e le polemiche intrattenute sull’argomento “solidarietà rivoluzionaria”,io penso che il primo passo da compiersi è quello che fra compagni deve vigere l’omerta più assoluta di fronte a sbirri,magistrati e media.Un altro punto è quello che unica e vera solidarietà tra rivoluzionari è quella di rendersi complici nell’azione di attacco demolitorio intrapreso contro tutte le strutture.grandi e piccole,del dominio esistente.

Rifiuto di atteggiarmi a scopritore di un nuovo modi di fare le cose,perchè i problemi che abbiamo si sono presentati sempre nella storia fin qui percorsa del nostro movimento,e le soluzioni fin qui adottata per risolverli sono più o meno le stessi di quelle adottate da chi ci ha precedeuto su questa strada.Si deve dar porva di intransigenza in quel solo punto nel quale il nostro sistema d’attacco può dirsi relativamente nuovo.Ci sono problemi,difficoltà limiti,inadeguatezze di ogni specie al nostro interno,per uscirne occorre dare misura della nostra potenza di azione nel concreto di ogni situazione,avendo chiara e insindacabile l’esigenza di annientare l’autorità e tutti i suoi innumerevoli istituti di governo,di amministrazione e coercizione presenti nel sociale.Non esistono a questo proposito ricette pronte all’uso,ma ci si può dare la possibilità di potervi pervenire nel migliore dei modi.Per questo ritengo indispensabile che all’interno del nostro movimento ci sia la totale libertà di critica,di azione e di associazione.

La totale libertà di critica significa che ogni singolo compagno – associato o meno – deve poter dire,quale che ai la circostanza,la sua liberamente,vale a dire senza abbia a subire preventive censure,malcelate pressioni o minacce da parte di chiunque,questo perche si deve mettere fine al fatto che ci creino capi,capetti e gregariato vario, e si affermi senza infingimenti ideologici formali e informali la concreta libera autonomia individuale del singolo,responsabile solo di fronte alla propria coscienza,quindi totale rispetto della sovranità dell’individuo.Alle critiche, fossero pure le peggiori e velenose di questo mondo,si risponde con l’argomentazione o non si risponde affatto,altro discorso è invece la calunnia e via discorrendo.Io qui tengo fermo il principio che tra compagni si deve sempre discutere,avendo chiaro che chi tira calci prende calci.

La totale libertà di azione verte sul fatto che nessuno può mettere veti e limiti all’azione di un altro compagno,come pure stabilire – salvo che per lui stesso – quel tipo di azione che si crede meglio rispetto ad altre.Per cui,il tipo di azione che uno adotta vale per tutti quelli che la condividono,tutti gli altri saranno sempre anarchicamente liberi di fare e adottare quelle che credono più rispondenti e opportune alle proprie esigenze.

Questa è da sempre la caratteristica prassi di rapportazione anarchica:basata sempre sul rispetto assoluto dell’autonomia individuale ed il rifiuto totale da parte del singolo di farsi assoggetare ad idee e pratiche che non sente come proprie.

Ciò che è insurrezionalismo anarchico da ciò che non lo è,per me non lo stabilisce certo l’elucubrazione teorico-intellettualistica di questo o quel compagno che ama ritenere se stesso il massimo dell’anarchismo insurrezionalista,nè quanto si scrive oggi in molti nostri giornali,ma solo ciò che emerge dalla pratica messa in atto nel concreto della guerra sociale intrapresa.

Si possono avere progetti insurrezionalisti anarchici basati sulle piccole azioni come pure su quelle più grandi e spettacolari,come pure si può essere per l’azione in “ordine sparso” e senza organizzazione,come pure all’inverso ci può essere chi pensa utile e indispensabile dotarsi di organizzazione specifica armata.

Dire ad un compagno:”Tu non hai un progetto”,o altre scemenze del genere per il solo fatto che questo non segue le tue indicazioni, rivela una sorta di mania monopolistica e dirigistica che afflige molto di coloro che fanno queste affermazioni.

Per me,non sono mai esistiti livelli,nè precostituiti limiti da darsi all’azione insurrezionalistica che portiamo avanti.Chi,sotto il pretesto dell’efficacia o di altro,vorrebbe uniformare gli altri al suo modi di vedere la lotta rivoluzionria,bisongna rispondergli: “ No,grazie!Per oggi faccio a meno della tua lezione di ‘scienza rivoluzionaria’.Preferisco sbagliare da solo,come pure pagare da solo i miei errori”:

Libertà totale di associarsi come meglio si crede.Ritengo l’associarsi necessario,utlie ed indispensabile.Ma,l’associazione fra noi,deve prodursi come manifestazione di esigenza spontanea,fraterna,che avviene tra indivualità che si scoprono in tante cose affini,per scopi ben definiti,sempre revocabile e sempre ricostruibile;associazione su basi e prassi essenzialmente e permanentemente antiautoritarie e inssurezzionaliste,con il più libero accordo,nella più sovrana autonomia dei singoli e senza nessun impedimento reciproco.Mai organizzazione codificata o informalmente monopolista e negatrice di altre forme di organizzazone anarchica.

L’etica come l’intendo io,non è morale,nè immorale,ma puramente AMORALE,è cioè al di sopra e al di fuori di quella cerchia che si vuole porre come limite circoscritto alle idee di “unici”.

Per concludere,non faccio parte di nessuna congrega “ufficiale” o informalizzata che dir si voglia.

Il resto lascio a voi giudicare.

PierLeone Mario Porcu

Individualità Anarchiche Lucane-Lucania Nichilista

 

Un blog nato da poco, ma che già promette bene.

Si presentano così:

https://lucanianichilista.noblogs.org/

lupo

 

“Ci indirizziamo […] agli insoddisfatti ed a coloro che dubitano. Ai malcontenti di sé stessi, a coloro che sentono pesare su di essi il fardello di centinaia e centinaia di secoli di convenzionalismi e pregiudizi. A coloro che hanno sete di vita vera, di libertà di movimento, di attività reale e che non trovano attorno ad essi che insincerità, truccatura, conformismo e servilità. A coloro che vorrebbero conoscersi maggiormente e più intimamente. Agli inquieti, ai tormentati, ai cercatori di sensazioni nuove, agli esperimentatori di formule inedite di felicità individuale. A coloro che nulla credono di ciò che è stato loro dimostrato. Agli irrequieti; sì, agli irrequieti, poiché io preferisco l’onda agitata all’acqua stagnante.”
É. Armand – Iniziazione individualista anarchica

Nell’età del capitalismo moderno, la democrazia subendo un processo di trasformazione riorganizza il proprio potere, assumendo forme sempre più liberticide ed autoritarie. Durante questa fase qualsiasi diritto concesso dall’alto, viene annichilito sotto i colpi di politiche tese ad aumentare la centralizzazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi individui, mentre le diverse strutture di potere promuovono il corporativismo e la pace sociale a colpi di una cieca repressione. Il processo sociale messo in atto, non fa altro che portare ad un’evidente escalation della violenza e ad una nevrosi collettiva ove l’individuo vede nell’altr* il proprio potenziale nemico, indirizzando il proprio odio e le proprie frustrazioni verso l’emarginato/a ,il/la disagiato/a o l’eversivo/a visti/e come fonte della presunta decadenza politico-sociale, alimentando una guerra fra poveri ove ne escono vittoriose le classi dominanti. Inoltre la nostalgia di un fantomatico ordine perduto e di un messianico riscatto sociale, porta alla (ri)scoperta di vecchie ideologie autoritarie o della religione, abdicando la vita e sacrificando sé stessi ad idee di morte. Le costruzioni sociali che siamo costretti ad emulare, i rapporti sociali basati sulla competizione, sull’utilitarismo e su un solipsismo nevrotico, la morale borghese, l’esistenza dettata dal Capitale e dai tempi lavorativi sono gli strumenti di controllo tesi a disgregare e alienare gli individui o la loro unione per soffocare qualsiasi spinta spontaneista e atto di rivolta che possa scaturire da essi. In questo contesto abbiamo deciso di unirci sotto il nome di Individualità Anarchiche Lucane, per rompere con l’esistente, uniti da un solo obiettivo: la distruzione di qualsiasi tipo di dominio, potere e autorità. Rifiutiamo qualsiasi pratica e affinità con coloro che promuovono l’uso degli stessi strumenti del Potere o si fanno portatori delle sue istanze; non vogliamo farci detentori di verità, di strategie assolute o di un’egemonia di pensiero, qualunque tentativo su questa via non porterebbe ad altro che alla fondazione di uno scellerato avanguardismo. Stanch* del “politically correct” e del messianismo rivoluzionario, il nostro agire è fondato sull’hic et nunc teso a creare un vivere radicale nel presente, attraverso la sperimentazione di pratiche sovversive e relazioni egualitarie nel nostro quotidiano e nella continua decostruzione delle gerarchie sociali (basate sui concetti di razza, sesso, specie, classe ed età). Crediamo che il terreno fertile per la creazione di complicità politiche si basi sull’ostilità alla sovrastruttura dominante. Assetati di libertà, prendiamo parte al banchetto del Caos cibandoci del Vecchio Mondo. Il nostro rifiuto totale per un’esistenza arida lasciata da una politica di morte protratta dallo sviluppo del Capitale, ci porta alla riscoperta della gioia di vivere e nella creazione ludica di nuovi mondi ove la Vita possa riconquistare il proprio spazio e l’individuo possa tendere al suo massimo sviluppo etico, intellettuale e psicofisico attraverso la costituzione di gruppi di affinità. Qualunque comunicato, azione e/o testo riprodotto su questa piattaforma avrà il fine di decostruire l’esistente, augurandoci di moltiplicare gli atti di rivolta individuali e collettivi, per destabilizzare la realtà opponendosi ai tentativi di soffocarci sotto ritmi alienanti e la meccanizzazione del presente per aprire nuove prospettive di vita, che possano sorgere dai nostri sogni e desideri nella riscoperta di un vivere radicale e libertario.

Per la liberazione totale degli esseri viventi, per l’Anarchia!

LA LIBERAZIONE TOTALE COME CONSIDERAZIONE EGOISTA E ICONOCLASTA

 

 

nichilismoAbbiamo ricevuto questo contributo via mail e

lo proponiamo come spunto di discussione 

per chiunque voglia intervenire.

Un ringraziamento per la traduzione a Erica di RadioAzione-Croazia.

 

Cosa significa per me essere un caotico? Significa una ricerca costante dell’ignoto. Delle situazioni non sistemiche. Quando mi riferisco al caos non è nel senso di un entità, ma nel senso dell’ignoto. Il caos possono essere le situazioni che non richiedono motivi politici per essere create. Può essere una pura e semplice esplosione di odio verso i nemici. Può essere in ogni e in qualsiasi momento. E’ l’esistenza stessa. Tutto quello che la specie umana pensa di aver pienamente compreso, valutato o domato non è altro che il caos dell’esistenza. Ed è verso questo che io gravito. Verso l’ignoto. E penso che tutti i definitori di qualsiasi “specie” chiudano un occhio su questo. Questo nichilismo esistenziale e questa negazione della definizione dell’esistente mi muovono verso la lotta per una liberazione totale della mente e del corpo. Il motivo è la soddisfazione dell’individuo o degli individui che partecipano alla creazione di queste situazioni, e in questo modo sovvertono la normalità. Tutto quello che viene sistematizzato diventa normalità.

La liberazione totale per me non è un progetto di lotta generale per “salvare” il tutto, e neanche un piano. Chiarisco questo prima di continuare. Non è nemmeno una propaganda né un reclutamento di nuove pedine nelle mani di un nuovo obiettivo, usando nuovi o esistenti soggetti rivoluzionari non-umani. Come essere egoista comprendi che una guerra totale si è dispiegata attorno a te, contro tutto. Come essere nichilista, non dichiarando la resa nella guerra contro ogni catena, ne sarai coinvolto, dato che ti trovi, ovviamente, a far parte dell’esistenza. Vedendo la dominazione presente (sempre esercitata da umani civilizzati, ma particolarmente estensiva oggi) sugli animali non-umani e sulla terra (che si riflette, quindi, sugli animali umani), ho scelto di non rimanere in disparte, perché come anarchico, e con la coscienza contraria a tutto l’esistente, vedo l’anarchia come come una parte integrante della mia agitazione contro il mondo attraverso il caos, e non attraverso i concetti sistematizzati o qualsiasi forma di ordine o giustizia. Vedo l’anarchia come una percezione esoterica contro tutti i sistemi e come un metodo di liberazione dell’ego, passo dopo passo, da ogni forma di catene morali, sociali, culturali, ideologiche, e non come un movimento o una lotta di massa, o un’opposizione davanti al parlamento. In poche parole, diamo alla politica ciò che le appartiene. Un enorme pietra tombale. Comunque, chiunque leggerà questo testo comprenderà che io non so esprimermi in politichese, e neanche mi interessa. Adesso, dopo aver chiarito che la coscienza e il pensiero politico non definiscono né la mia affinità né i miei compagni anarchici, continuo.

Che cos’è l’anarchia? Non è certamente la fede in una bestia esigente chiamata Obiettivo. L’anarchia è la condizione di realizzazione dell’individuo quando si trova in guerra con l’esistente e quando inizia rispondere ai colpi in qualsiasi modo sa o può, stabilendo come meta la distruzione di quante più catene possibili, che mantengono l’individuo separato dall’autocoscienza e dall’autodominio. Sempre su base individuale. Sempre iniziando individualmente. Senza tentativi di massificazione o fede nelle verità oggettive. Quindi, si tratta di un metodo di lotta da iniziare individualmente, e che anche quando diventa collettiva serva sempre gli interessi di ogni singolo individuo. Si tratta di una situazione continua di qui ed adesso, senza aspettare di raggiungere un obiettivo finale. Quando comprendi che sei un detenuto, non è meglio cercare di evadere che aspettare una morte lenta? In più, non esistono forme specifiche di anarchia. Se fosse così saremmo rinchiusi in una gabbia di specialismo e idolatria. Sabotaggio, vandalismo, guerriglia urbana, liberazione degli animali non-umani, produzione di discorsi e di materiale stampato del pensiero anarchico e analisi delle tattiche, o attacchi fisici a coloro che mantengono ogni catena e morte delle nostre vite… E, naturalmente, la cosa migliore sarebbe che ogni gruppo o individuo incorporasse tutti questi metodi invece di specializzarsi. Tutto questo sono forme di anarchia contro la società, lo Stato e la civiltà. E non esiste neanche un modello o un modo specifico di vita che ogni anarchico dovrebbe seguire. Si tratti di un refrattario al lavoro, o di quello che lavora all’interno del sistema per “sopravvivere” (sempre cosciente della distruzione del lavoro; non considero il mio compagno colui che vuole autorganizzare il lavoro, ma quello che concepisce il lavoro come una delle relazioni sociali da distruggere), o che vive in una capanna nelle montagne, o in una metropoli, per me non fa nessuna differenza. E neanche la “classe” da quale proviene non fa nessuna differenza. Però, ognuno che si trova nella condizione di lavoro e cerca dare una giustificazione o un significato a questa catena è degno della propria miseria.

Non ho scelto io di nascere in questo mondo, ma comunque sono nato. Dopo aver per anni osservato il mondo sono giunto alla conclusione che la vita acquista valore solo attraverso le relazioni non-sistematizzate, e questo diventa una maledizione in ogni sistema. Sarà spezzata questa maledizione durante la mia vita? Sta su di me e sulla scelta della mia negazione. Comprendo, ovviamente, che le situazioni differiscono, alcuni dei miei compagni (umani o no) si trovano dietro le sbarre e c’è ben poco che possono fare per riprendersi la propria libertà fisica. E qua sta il grande ostacolo. Il valore dell’umanità gode ancora, purtroppo, di “buona salute” sul trono degli dei non-esistenti, e questo meschino teatro che hanno nominato civiltà non ha ancora recitato il suo ultimo atto. Se adesso qualcuno mi chiede perché parlo della liberazione totale, cosa voglio esprimere con questo concetto, dato che dalle mie parole sembra che io non creda negli umani (come ruolo, valore, e del resto in nulla come valore intrinseco), risponderò che non devo nulla a nessuna specie o a nessuna “umanità” (termine totalmente astratto con caratteristiche massificate), e dato che ho riconosciuto la fonte di tutte le catene attaccherò di conseguenza. Decostruirò completamente questo concetto, in cui nome e in cui fede enormi catene sono state create. E dato che non sono stato raggirato, né dimentico la diversità o l’esotericismo di tutti gli esseri viventi, so che ci sono altri che la pensano in modo “simile” al mio, e credo, ovviamente, che lo scambio di pensieri e modi di agire sono di un’estrema importanza. Quindi, il concetto di liberazione totale, secondo suddetto, sottintende una considerazione che coinvolge tutto l’esistente, senza cercare di definirne la moralità, assegnarne dei valori intrinsechi e ruoli (considererei questo alquanto antropocentrico, come analizzerò di seguito), decostruendolo completamente e portandolo al punto del nulla. Da qua, con il nulla come base e avendo rigettato completamente il determinismo scientifico interconnesso con l’ideologia del profitto, cioè, tutti i costrutti del “progresso” degli animali umani, l’individualità è in cerca della sua relazione con il proprio ambiente attraverso i tentativi non-sistematizzati, negando tutte le relazioni/ruoli preesistenti – costrutti della società, della esistenza civilizzata. Ossia, nella lotta per la libertà individuale la mia coscienza sa che la libertà del mio ambiente è di vitale importanza. Attraverso l’attacco e la distruzione verso l’ignoto. Verso nuove relazioni.

Che cos’è la libertà? Si tratta di un’entità che trasformeremo in un obiettivo o in un progetto da raggiungere? Creeremo un’altra idea immaginaria o divinità? Per me la libertà è la condizione in cui l’individuo lotta per conquistare sempre più caratteristiche della vita caotica, che gli sono state tolte dal giorno della sua nascita, e per distruggere i responsabili (esseri o idee) che ostacolano il corso verso questa direzione. Non userò il concetto di libertà come un’entità o come qualcosa di palpabile, che è un concetto assoluto con una destinazione finale o una condizione finale.

Ho menzionato il nichilismo nel prologo di questa rivista. Il nichilismo è la negazione di tutto quello che non senti come tuo in quello che ti circonda. E’ vedere chiaro da un punto di vista non-ottimista, indifferente, gli aspetti dell’esistente che cercano di donare il soffio della vita o gestire una realtà che è diventata una gabbia. Si tratta di vedere col disgusto e l’odio gli aspetti dell’esistente che cercano di espandere la mostruosità che hanno creato, e che si regge su così tanti cadaveri che puzza di ptomaina, anche se si impegnano di celarlo. E’ l’attacco a ogni unità immaginaria delle masse sociali e masse materiali. E’ l’attacco a ogni catena del pensiero, come la moralità, e a ogni concetto spettro che perseguita la coscienza dell’individuo, chiedendogli la realizzazione degli obiettivi. E’ l’attacco a tutto quello che può essere insediato e mantenuto come sacro. Il nichilista è colui che riconosce che questo mondo addomesticato (società, Stato e civiltà) è una gabbia per l’ego. E’ colui che guarda alcune volte col sarcasmo e altre con l’odio questo mostro, che è la massa con i loro ideali. Il nichilismo può essere un’emozione e un modo di pensiero critico della negazione. E’ l’abisso dell’individuo stesso, ma getta anche nel nero abisso tutti gli spettri, costrutti della società. Questo è connesso all’egoismo. L’egoismo è la manifestazione dei desideri interni dell’individuo. L’egoismo è la realizzazione e l’attualizzazione dell’esotericismo e dell’unicità dell’individuo. Non instaurando una nuova entità come qualcosa di definitivo e completo, ma piuttosto distruggendo tutto questo che detiene il potere sull’ego altrui. Collocando l’individuo stesso sopra di tutto, come una ed unica individualità, che solo la sua coscienza può controllare. La coscienza egoista non sacrifica l’individuo per nessuna idea. Si tratta del fuoco che mantiene in vita una persona che si regge sui propri piedi dopo aver rigettato ogni unità sociale. L’individuo vive per sé stesso e per la soddisfazione propria, e per nessun altro come obbligo. Avendo rigettato ogni ruolo o richiesta degli spettri (o dell’Uomo o della Natura) dalla fogna sociale, sceglie da solo le proprie relazioni con gli altri individui (umani o non), e si lancia come un falco all’attacco contro la civiltà. Non deve niente a nessuno e deride tutti gli ideologi che credono nelle grandi idee sull’umanità, anarchia o qualsiasi altra cosa posta sul trono come un valore che può essere rivendicato moralmente.

Perché non credo nell’Umano? Perché non credo che la specie umana possieda delle caratteristiche che sono di per sé “buone” e che sono state soppresse dal sistema, come dallo Stato o dalla civiltà. Cioè, non penso che i “semplici” cittadini siano degli “innocenti”, estranei a questo mondo che annichilisce la vita e i desideri. E non lo sono neanch’io. Dall’altra parte, non penso neanche che ogni umano possieda delle caratteristiche di per sé “cattive”. In poche parole, per me questi residui morali del “buono e cattivo” semplicemente non esistono, perché non definiscono le caratteristiche degli umani e, ovviamente, nessuna specifica caratteristica umana può essere definita in modo generale. Se mi rivolto contro l’Umano è perché rappresenta la catena con cui la società ha legato l’individuo alle varie cause, e soprattutto all’essere. Non perché guardo all’umanità come ad un insieme. Dall’altra parte, critico la massificazione dell’umanità in senso dell’odierna dominazione su, letteralmente, ogni cosa sul pianeta, e quindi riconosco in questo modello il nemico. Naturalmente, odio e aborro il modello antropocentrico dell’umano e per questo mi rivolto contro di esso. Contro chi mi rivolterei verbalmente e contro chi fisicamente, questo è un’altra questione. Per me non è una questione di moralità, ma di scelte personali. Quindi, secondo me, l’anarchico dovrebbe prima di tutto chiarire questa questione nella propria mente. Da dove provengono le catene della mente e del corpo? Forse dagli animali non-umani o dalla terra? Chi ha creato le istituzioni, la moralità, gli Stati, la civiltà? O ci sono persone nate per esercitare il Potere, o per essere qualsiasi tipo di leader in questo mondo, e quindi dovremmo rivoltarci solo contro di esse? Perciò penso che chiunque si sia posto queste domande si sarà anche liberato dalle pesanti catene. Per questo considero ridicolo che molti anarchici ancora parlano dell “umano” (come qualità), o cos’è “umano”, e in generale per determinare le qualità comportamentali come di per sé “buone” e “cattive”. Penso che sia senza senso e inconsistente. Per me rappresenta un errore anche vedere nell’Umanità una unità di specie. “L’umano” è sempre stato, e continuerà ad esserlo, in conflitto con l’individuo egoista. I suoi valori morali si scontreranno sempre con l’indipendenza di questi residui individualisti. Purtroppo, questa piaga sopravvive ancora in numerosi anarchici e li fa credere in un obiettivo superiore basato sugli spettri, come lo è il valore dell’Uomo.

Sono anche molto distante dalla mentalità che concepisce noi stessi con la “questione umana”. Per me l’antropocentrismo è una catena gigante con cui la persona si lega ad un mondo non-esistente, e in un certo modo la isola da molte altre possibilità. Questo è la trappola del mondo antropocentrico. E’ un tumore della mente provocato dalla civiltà, ma la maggior parte degli anarchici non lo riconosce così facilmente. Considero antropocentrici anche molti eco-anarchici, per non illuderci. Per definire cosa intendo per antropocentrismo dirò che prescinde il solito modo di concepirlo, cioè ponendo l’essere umano come centro della terra al quale tutto il non-umano dovrebbe sottomettersi. Per me l’antropocentrico è anche colui che cerca di definire tutto all’infuori dell’umanità con degli termini eticamente oggettivi, creati dalla società umana addomesticata. Non sto cadendo adesso nella trappola del moralismo, e in nessun caso sto dicendo che l’individuo che appartiene alla specie umana non è degno di avere una propria opinione e delle teorie sul mondo esterno, e quindi di attendere delle entità deterministe che lo guidino. Se le teorie e le percezioni si dischiudono dall’interno, da un’individualità che nega i ruoli, come lo è “l’Umano”, perché un costrutto sociale, questa individualità non creerà dei nuovi ruoli o non porrà nulla all’infuori di sé come valore morale. Cioè, ad esempio, a me il biocentrismo e l’ecocentrismo sembrano delle parti integrali dell’antropocentrismo. Si tratta di un antropocentrismo mascherato che può veramente convincere che non lo è. Ci sono due sistemi di etica deontologica che operano come codici di comportamento e di definizione verso gli animali non-umani, la terra e anche verso gli umani, creati dalle assi centrali della percezione umana addomesticata, senza la critica dell’identità Umana o dello spettro della Natura Umana. L’antropocentrico è per me anche colui che non combatte innanzitutto per sé stesso, ma con l’obiettivo di salvare gli animali non-umani o la terra, portando una tonnellata di altre catene nella sua mente. Qualcuno potrebbe obiettare che questo è l’esatto contrario dell’antropocentrismo, ma si sbaglierebbe, perché qua sono state preservate le caratteristiche dell’essere umano come privilegiato, liberatore o come strumento di un essere superiore, della Natura che chiede “giustizia”, propenso all’eroismo, a causa del pensiero civilizzato. Per me l’antropocentrico è anche l’ottimista convinto che ogni cosa su quale posa le mani, per cambiare qualcosa (per “il bene superiore”), sarà necessariamente positiva per lui o per gli altri esseri, accettando, inconsciamente, di porsi in questo modo al centro. Azione e interazione esisteranno finché esiste la vita. Il punto è che ognuno dovrebbe essere cosciente che ogni cosa ha delle conseguenze. Quindi, cosa si rivelerà positivo o negativo per qualcuno dipenderà dal livello di incatenamento esterno o interno di ognuno. Il fatto è che non si dovrebbero creare ruoli di comportamento, bensì distruggere ogni sistema e autorità iniziando da sé stessi. Perché finché questi esisteranno il bisogno della moralità aumenterà. E questo bisogno è una sepsi esoterica. Penso che dietro l’etica sistematizzata l’individuo dovrebbe scoprire le sue verità personali soggettive (senza investirle di ideologia) attraverso il collegamento della teoria con l’azione. Non esiste la verità oggettiva. L’antropocentrismo, l’ecocentrismo, il biocentrismo, sono tutte delle verità oggettive. Anche l’egocentrismo, in senso di possedere degli elementi specifici immutabili, presenta una forma di oggettività e quindi una catena.

Quindi, dato che lo sfruttamento degli animali non-umani e della terra, o l’indifferenza verso gli umani, contrastano con la mia estetica e la mia critica, e non mi permettono di godere del mio ambiente, ho preso la via del potere. Del potere della vita. Della situazione di vivere. Nel modo più spontaneo che possa essere e nel modo più aggressivo verso ogni forma di autorità. Oltre le norme e le regole. Sono con ogni animale, umano o non-umano, che vuole combattere contro ogni catena, sia fisica che morale, politica, sociale, culturale, con un unico scopo. La propria vita. Nel modo più primordiale e più lontano possibile dalla società dello spettacolo. Senza vivere nell’illusione di cambiamenti drastici contro la megamacchina o la stupidità umana, perseguo momenti di auto-realizzazione. Non credo che si arriverà presto al collasso della civiltà, e anche se dovrebbe succedere in questo istante a causa dell’esaurimento di risorse naturali, mi chiedo quanti umani cercherebbero un modo civilizzato per arrampicarsi nuovamente sul trono (quando uso la parola civilizzato non mi riferisco al modo in cui le masse civilizzate utilizzerebbero il mondo, la civiltà è violenza sistematizzata, fisica e pneumatica). Forse i disastri fisici potrebbero distruggere le parti materiali della civiltà, ma non voglio addentrarmi nei dettagli per evitare che il testo si trasformi in un monologo monolitico, e non ho neanche nulla a che fare con il determinismo. In più, non parlo da nessun punto di vista che crede in qualsiasi significato della vita. Lascio le analisi universali agli scienziati, la cui “intelligenza” ha contribuito alla creazione di questo mondo di gabbia razionalista del progressismo, e anche a tutte le specie di religiosi o spiritualisti, chiunque essi siano per me non fa differenza.

La civiltà oggi è una struttura sociale altamente sistematizzata, che tende ad un’urbanizzazione sempre maggiore, ad una velocità immensa, interconnessa con il rapido avanzare tecnologico, che ha dimostrato il suo dominio sull’intero ambiente della terra. La civiltà addomestica. Quando nasci sotto il regime dell’addomesticamento diventa difficile riconoscere le sue strutture, decostruirle e negarle nella tua vita. Però, non impossibile. Penso che dovremmo, nonostante tutto, continuare, tutti noi che vogliamo distruggere sempre di più la civiltà nelle nostre menti e nei nostri corpi. Siamo tutti animali. Possiamo scegliere se essere degli animali selvaggi (nel senso dell’unicità e della negazione specista, che si oppone ai valori e alle priorità morali). Nonostante questa vita sistematizzata, fatta di regole, che sopprime ogni traccia di unicità e di desiderio di vivere per godersi la vita, e senza così tanto dipendere dal materialismo e dalla tecnologia, che rappresentano tutto nell’odierno mondo capitalista, mosso dal profitto. E vivere per sé stessi e non per essere parte di qualsiasi sistema, e non per dipenderne fisicamente o pneumaticamente. Non per staccarsi dall’ambiente naturale e vederlo come un’immagine. Per me, l’immagine è quella che noi viviamo all’interno delle città. La civiltà crea solo dei riflessi di vita. Questo ha trasformato tutta la vita in merce. Gli enormi edifici mi tolgono l’aria, annunciandomi la presenza dell’autorità che annega la vita. Qualcuno una volta mi disse che gli edifici non sono simboli dell’autorità. Beh, per me lo sono. Sono le fortificazioni dei civilizzati nelle loro gabbie. Coloro che hanno sottomesso lo spettro che chiamano “natura” e adesso si sentono così sicuri della propria superiorità e del dominio, cercando sempre di assicurare una normale mantenimento della civiltà con i sempre nuovi strumenti tecnologici, mentre smetteranno di offrire i beni naturali. La tecnologia è un nemico perché è inestricabilmente connessa con la favola del “progresso” e con i falsi bisogni creati dalla società, e l’unica cosa che può offrire è una imitazione della vita e un riflesso di quello che viene definito, dalle masse civilizzate, “la vita normale”. Inoltre, la tecnologia ci offrirà sempre più strumenti di controllo o di repressione, e sarà molto più di un’arma nelle mani di ogni Stato, una parte legale dell’esistente. Con ogni sviluppo della tecnologia la libertà di ogni individuo sarà sempre più ristretta. La tecnologia rappresenta anche un’enorme aspetto dell’economia, che a sua volta rappresenta un’enorme parte di ogni meccanismo statale. Ma quando vieni su questo mondo, dentro questo addomesticamento, è estremamente difficile comprenderlo. Soprattutto per quelli che nascono nelle grandi città, è troppo difficile per loro comprendere il mondo oltre a questo. Il cemento diventa più sicuro dell’ambiente “naturale”. La cosa più importante, ovviamente, per ognuno è non permettere di diventare “naturale”, ma di conservare l’autorità e il sistema sugli individui. In qualunque ambiente uno possa trovarsi è meglio che comprenda prima di tutto questo. Gli Stati, le società, le civiltà, tutto questo deve essere demolito. E sepolto in profondità per l’ascesa dell’individuo libero. L’unico animale non civilizzato. In che modo ognuno si muoverà verso questa direzione della de-civilizzazione, attaccando simultaneamente tutte le strutture della civiltà che sistematizza e controlla la vita, dipende solo da lui. Non sto scrivendo questo testo perché ho qualche soluzione da offrire, ma sto solo condividendo degli interrogativi che potrebbero sviluppare delle idee e aprire un dialogo attraverso la teoria e l’azione. Dall’altra parte, non mi permetterei di giudicare, come un moralista, colui che abbandona il mondo antropomorfo per andare a vivere in montagna o in foresta. Non lo chiamerei codardo (perché questo è l’unica cosa che non è) e non direi che ha abbandonato l’anarchia. Senza le illusioni di una vita “naturale” o di un’unione con la “natura” può essere semplicemente una scelta. Per non ripetere ancora, l’anarchia include metodi sperimentali che si concretizzano nel presente, non in una “lotta” tassativa per raggiungere una situazione finale. Ovviamente, se non combatti attaccando adesso, domani la civiltà ti consumerà ancora di più. E qua apro un’altra questione. E’ più libero colui che quando viene preso dal nemico rifiuta di utilizzare ogni strumento civilizzato della legge e si trasforma in un ostaggio eterno nella galere dello Stato, o colui che utilizzerà ogni strumento offertogli dai giochi civilizzati dal nemico, ingannando il nemico con lo scopo di soddisfare almeno il proprio aspetto fisico di libertà? Forse non è neanche una questione da mettere in confronto, ma penso che questo chiaramente ha a che fare con la coscienza e il desiderio di ogni individuo, e come lui porrà il suo percorso nella guerra contro l’esistente. In ogni caso, non dovremmo idoleggiare i compagni che hanno scelto la prima strada, come se si trattasse di una fine “naturale” per ognuno che si scontra con l’esistente, perché in questo modo creiamo ideologia e idolatria. Ovvio, penso che ci debba essere rispetto sia verso di loro, che verso le scelte che hanno fatto. Però, penso anche che dietro questo esista un’idea “maggiore” di anarchia, e forse uno scopo “maggiore”. Penso che chiunque abbia trascorso abbastanza tempo della propria vita accanto ad un ambiente non fatto dall’uomo e abbia sentito le emozioni che può offrire, non può scegliere la prima via, considerando che forse mai più nella propria vita potrà salire su una montagna, camminare nelle vaste valli, perdersi nella foresta, sedersi sulle sponde del fiume. L’idea della gabbia forzata con le sbarre gli porterebbe via tutta l’energia vitale. Forse questo sarebbe la fine. Forse no.

Per quanto riguarda invece la parte intangibile della civiltà, voglio attaccare il modo civilizzato di pensare e gli ideologismi, come questo del “progresso” e della conservazione dell’istinto di sopravvivenza degli umani attraverso la civiltà materiale e la tecnologia, o addirittura la medicina. Inoltre, è anche troppo ovvio che non si tratta neanche di sopravvivenza, ma di auto-decostruzione e di creazione dei falsi bisogni. La tecnologia, la scienza e l’industria sono i perpetuatori del profitto, carburante del capitalismo, il quale non esisterebbe senza una massa umana di seguaci, legati ad esso dall’idea di Stato. Lontano dal modo di pensare che i primitivisti tendono di esprimere, io qua parlo del bisogno di mettere tutto sul tavolo e analizzare da nichilista. E non perché troveremo la soluzione per ritornare alle storiche società primitive, inoltre impossibile nel mondo odierno. Voglio sottolineare che, secondo me, se qualcuno vuole attaccare la civiltà dovrà prima attaccare e negare tutto quello che parassitizza nella sua mente, e proviene dalla società. Se la persona non ha negato tutte le istituzioni sociali, morali e i valori predeterminati, probabilmente finirà con l’anticivilizzazione moralista.

Che cos’è la società? Sono le relazioni di dominio (i ruoli sociali e i costrutti che governano le relazioni individuali), come anche tutte le istituzioni di governo e di dominazione caricate su una persona, nel nostro caso si tratta di un’organizzazione molto efficiente, di un modello capitalista sistematizzato all’interno di una moderna civiltà tecno-industriale, ossia di una definitivo carcere della vita. Dal momento della nascita, direttamente nella gabbia. Per me l’identificazione del problema non si ferma alla critica di questo modello sociale. Ogni modello di società sarebbe oppressivo per me, sia esso primitivo o moderno. Non mi interessa un’organizzazione sociale che va da qualcuno verso qualcuno. Non accetterò mai, in nessun caso, di mia spontanea volontà qualunque tipo di organizzazione sociale che decide per me o definisce il mio modo di vita. E neanche con chi. Perciò, non accetterei né una società anarchica né comunista o primitiva. Non delego me stesso a nessuno, a nessun sistema, né alla democrazia diretta né alle decisioni di tutti per tutti. Perché in questo modo l’individualità si troverebbe di nuovo incarcerata. Nessuno deve niente a nessuno, e se il raggruppamento che fanno non è basato sull’adesso, esigeranno un presupposto per tenerli legati in futuro, il che rappresenta una pesante catena e una delle più grandi forze della società. Se le relazioni che le persone scelgono non sono indirizzate a soddisfare prima e soprattutto i propri bisogni, allora queste persone sacrificheranno i suoi bisogni per soddisfare quelli degli altri. Anche se queste interazioni dipendono dal livello di affinità che le persone hanno raggiunto e quanto coscientemente una persona condivide i suoi bisogni con lo scopo di soddisfare i propri, e non per sacrificarli. Per nessuna idea, nessun ideale, nessuna persona. Se chiunque all’infuori della persona è qualcuno che essa ama o sente coscientemente affine, allora essa sentirà il bisogno di sostenerlo, ma sempre presupponendo che si tratti di un interesse personale. Il suddetto va applicato in ogni relazione tra individui liberi. Se le su menzionate relazioni o raggruppamenti non vengono creati secondo un completo cosciente desiderio dei partecipanti, allora saranno solo dei mezzi di appartenenza. Se non ci sono presupposti per questo tipo di relazioni allora la solitudine rimane il nostro l’unico compagno, e dovrebbe essere abbracciata con fierezza. E queste relazioni affogheranno comunque nella palude dell’alienazione se possiedono un qualunque prefisso sociale o si basano su un qualunque modello sociale. Tutti i ruoli sociali e i titoli che ci legano alla società vengono mutilati nella mente del nichilista. L’identità politica, la capacità civile, i ruoli di genere, la condizione sociale, la classe, l’umanità, tutto offerto al fuoco. Altrimenti non ha senso dire che siamo contro la società. Faccio alcuni esempi. L’immigrato o il lavoratore sono automaticamente dei ruoli sociali. Come anti-sociale voglio distruggere tutti i concetti di ruoli sociali e non riprodurli per le “lotte” e altre cazzate. Io vedo entità biologiche. Chiunque di loro presenti qualcosa in comune con me può condividere qualcosa con me. Dipende, naturalmente, dal livello di vicinanza. Tutti i concetti morali (o moralistici), come antirazzismo, antisessismo o antispecismo non sono cose mi riguardano, o che io userei come prefisso di una “lotta”. Perché collocano dei soggetti, ruoli e comportamenti socialmente domati, che ognuno dovrebbe seguire, e creano della vittime. Lo sbirro nella testa, questo terrificante sistema-sistemi, come la moralità, è qualcosa che crea le catene, non le distrugge. Se sei un anarchico anti-sociale, non necessiti di questi termini o di questo modo di pensare per rifiutare il razzismo, il sessismo o lo specismo. Ma io parlo solo per me stesso, non per altri. Se sei contrario alla società/civiltà non farai nessuna separazione essenziale basata sulla razza, sesso, specie, anche se dall’altra parte non chiuderai gli occhi davanti alle differenze parlando di “uguaglianza”. Penso che questo sia ovvio. Coloro che si uniscono, o si vedono, nella lotte degli immigrati (questo solo come esempio, perché ce ne sono degli altri quasi identici) creano una generalità intorno agli soggetti oppressi. Certi anarchici vedono sé stessi come dei “protettori” o dei “salvatori”, flirtando con le loro future marce idee sul comunismo o qualunque altro spettro che unisce i rivoluzionari. Se qualcuno ancora vuole parlare degli “esclusi” colpiti dalla “cattiva” società e fare delle analisi tra i ricchi e i poveri, creando umanitarismo, invece di negare la società dalle sue radici, allora si è intrappolato da solo nei giochi dell’autorità e della vittimizzazione. Quindi, dovrei io, per essere “politicamente corretto”, vedermi nelle lotte degli immigrati o dei lavoratori, o di qualunque altro oppresso ruolo sociale, che può riprodurre a migliaia di comportamenti autoritari, secondo me, o adoratori di spettri? Di quello stesso immigrato che dopo essere stato ospitato in un posto occupato, il giorno dopo sventolerà la bandiera del proprio Stato, che lo ha portato ad abbandonarlo nella ricerca di una “vita migliore”? Cosa ho io da condividere con una persona simile? Le generalità e la vittimizzazione sono per i deboli, per i ciechi o per i già morti. Le relazioni o le lotte tra gli esseri viventi non si costruiscono attraverso le unioni sociali, ma solo attraverso quelle personali. Non parlo di cose immaginarie. La pratica è quella che svelerà gli anarchici ancora una volta, e non delle stupide parole sull’unità, come reagirà lui/lei nella sua vita personale, nelle differenti e separate situazioni, a quello che gli/le accade di fronte, e non definendo gli individui attraverso le classi sociali o posizioni. Il cosiddetto “immigrato” è solo un essere umano. Non è qualcuno che a causa del ruolo assegnatoli dalla società diventa automaticamente per gli anarchici un soggetto rivoluzionario. Posso condividere qualcosa con lui, e posso anche non condividere nulla. Per questo motivo sarò sempre indifferente verso le unità delle lotte umane basate sulle tesi di qualsiasi soggetto represso o rivoluzionario. Le loro origini sono chiaramente sociali e non hanno nulla a che fare con l’anarchia. E’ chiaro che chiunque parli ancora dei movimenti non ha nulla da spartire con il mio modo di pensare. Loro vogliono appartenere a qualcosa di più grande. Loro lottano per una causa più grande. E anche se tutti loro parlano dell’abolizione dell’autorità, sembra infine che il significato di uno si differenzi molto dal significato di un altro. Perciò, la definizione dell’autorità inizia innanzitutto da come ognuno percepisce sé stesso. Quando una persona sente il bisogno di appartenere a qualcosa si troverà infine coinvolta con molti termini spettri, e si sottometterà al processo delle lotte unite, all’interno di una alleanza generale contro “l’autorità”. E qui tutto si aliena. I termini come “obiettivi” o “autorità” diventano degli spettri, non solo perché non uniscono ma, anzi, separano ancora di più.

La società è anche una sostanza materiale. E una parte di essa è la massa, unita in una non-esistente unità “entità”. Una volta qualcuno mia aveva chiesto “chi è la massa”. La massa è chiunque non pone in questione la propria alienazione, schiavitù, normalità. Chiunque segue le ideologie invece di sé stesso. Chiunque predica moralità invece di realizzare i propri desideri. Chiunque permette che la propria esistenza sia dominata dagli spettri. Onestamente, non me ne può fregare di meno della massa.

Chiunque possieda una coscienza contro la società e la civiltà avrà rigettato dalla sua testa ogni spettro sull’uguaglianza, i diritti umani/animali o il riciclaggio, o qualunque altro mito civil-sociale. Chiunque abbia compreso che la vita va al di là della civiltà monolitica, e non è stato ancora consumato dal tumore urbanistico delle città, o non è rimasto a nuotare nelle acque paludose dell’antropocentrismo, prenderà una boccata di aria fresca essendosi liberato da queste tossine della propria mente. Attaccherò lo spettro dell’uguaglianza perché si tratta di un termine astratto moralista che richiede l’esistenza di un sistema morale o di diritti. Nessun individuo è uguale all’altro. Questo non significa che faccio una distinzione di “superiore – inferiore”, ma significa che ogni individuo è unico e tutto un mondo di per sé. Per questo ogni sistema vuole togliere ad ogni individuo, inventando miti sull’uguaglianza (la robotizzazione, così non puoi esplorare i tuoi poteri) o i diritti creati da ogni autorità per convincerti di non essere un prigioniero o di avere delle scelte. Gli anarchici non dovrebbero mai cadere in questo tipo di tranelli dei termini. L’unica uguaglianza che mi posso immaginare è forse quella biologica, che tutti gli individui sono nella condizione di vivere. Ma, se uno pensa al modo come ogni individuo vive la propria vita allora non esiste nessuna uguaglianza, perché nuovamente dipende da quanto uno si assume la responsabilità cercando di vivere secondo i propri termini. Preferirei dire che l’essere umano rappresenta l’animale più debole, perché l’abilità del pensiero sistematizzato e il razionalismo hanno raggiunto un livello con la massificazione e il “progresso” letteralmente parassitando la terra e tutto quello che la abita. E adesso cerca di combatterlo parlando di estinzione, secondo i ritmi odierni, o con i metodi riformisti, o con modelli radicali e la consacrazione del “non-civilizzato”. Ma io nego ogni futuro programmato che distrae dalla realtà presente. E’ necessaria un’azione catastrofica senza presupposti di una nuova creazione. Basta con la creatività. La distruzione è la creazione di nuove possibilità. Io ritengo che la persistente teoria sul salvataggio della terra, con l’importanza che può sembrare, porta ad una stagnazione, perché questo mondo sistematizzato dentro la società, lo Stato, la civiltà, non permette una vero movimento verso una simile direzione. Perciò, se l’individuo ha compreso questo rimane la sua un’unica scelta. Attaccare e distruggere. Per quanto riguarda la maschera “verde” che lo Stato ha indossato e il riciclaggio, posso avere solo un atteggiamento ostile, perché si tratta di parti del sistema creati dal sistema per lo stesso sistema. Questi giochi economici con la faccia ambientalista possono contribuire solo alla perpetuazione della megamacchina. Non parlo da nessun punto di vista ambientalista, penso che sia ormai chiaro.

Ovviamente, potrei dire che nella mia lotta contro l’esistente considero tutti gli animali non-umani molto vicini a me. Non come la generalità di tutti gli animali non-umani, naturalmente, perché anche tra gli umani odio o disprezzo certi gruppi o individui, lo stesso chiaramente succederebbe con i non-umani sotto differenti condizioni di coabitazione e di vita. Ma, date le circostanze odierne e la realtà presente applico quello primo. Sono fiero di considerare come dei compagni gli animali non-umani, la forma di vita non civilizzata (che purtroppo l’animale umano ha civilizzato su larga scala, senza però riuscire ad assoggettarla, perché la spontanea coscienza di vita troverà sempre dei modi per ribellarsi), perché si tratta di individualità senza nessuna coscienza politica, individualità che vivono per vivere, e anche se si possono notare alcuni comportamenti autoritari tra i vari gruppi degli animali non-umani è solo a causa degli individui e non perché esiste qualche tipo di autorità strutturata civilizzata. La mia esperienza personale ha formato la mia coscienza verso questa direzione. Non pretendo di “comprendere” gli animali non-umani o che loro “comprendono” me. E’ l’interazione senza i ruoli che fa la vera differenza. Quando agisci come un’individualità, senza i valori predeterminati o identità, puoi sentire sensazioni differenti. Riesci a vedere cose differenti. Non deve sempre essere che devi distruggere quello che non riesci completamente a capire. L’amore e rispetto sono cose che veramente significano qualcosa all’egoista quando li sente. Delle sane relazioni tra gli animali umani e non-umani possono chiaramente svilupparsi, senza alcuna designazione di prefissi sociali e residui specisti. Il livello di realizzazione per ognuno di noi dipende da cosa lo determinerà. L’ambiente in cui questo si realizza non gioca nessun ruolo, sia fuori o all’interno della civiltà, quando i ruoli sociali e l’antropocentrismo vengono decostruiti appaiono delle altre prospettive. Il problema, ovviamente, rimane ancora la prigione materiale. Cioè, le relazioni tra gli animali umani e non-umani all’interno di un ambiente urbano presenteranno le stesse problematiche come tra gli umani. L’ambiente urbano-prigione spreme la vitalità e restringe automaticamente le possibilità. Sono sicuro che i centri di controllo della vita avranno “offerto” molte volte sensazioni di depressione a coloro che hanno sviluppato una critica simile alla mia. Avranno sentito che l’appartamento è una gabbia all’interno della prigione, che è la città. Dentro la civiltà siamo tutti nelle gabbie. Gabbie che alcune volte sono visibile e altre invisibili. Dentro la città l’individuo si estranea completamente dall’ambiente della terra e dalle interazioni con altre forme di vita. Vive nell’oblio del mondo antropomorfo fatto di modernismo e tecnologia. Scorda cosa c’è al di là dei confini della metropoli. Gli umani, e chiaramente gli anarchici delle città, non incontrano nessun’altra forma di vita, soprattutto libera, eccetto i cani che tutti noi sempre vediamo al guinzaglio. Una cosa particolarmente inquietante, però spesso inevitabile dentro le città-prigioni. L’alienazione dalle altre forme di vita fa dimenticare all’individuo l’esistenza degli animali che sono a loro volta degli individui, e se li immaginano solo come una forma di divertimento dello spettacolo-prigione, come quelli negli zoo. Cioè, carceri degli animali non-umani.

Dunque, cos’è la liberazione totale? E’ uno sforzo costante dell’individualità di liberarsi da ogni tipo di catene. Del corpo e della mente. E di contribuire alla liberazione degli altri individui che considera compagni. Il punto d’incontro della coscienza nichilista con la coscienza anticivilizzatrice. Io, come anarchico, considero la tendenza nichilista e la tendenza anticivilizzatrice come parti integranti della lotta anti-sociale e individualista contro l’esistente. Utilizzo il termine di lotta in modo chiaramente egoista, e non come qualcosa che ha un inizio e una fine. Più alto è il numero di combinazioni e di interazioni tra le due tendenze (con la parola combinazione mi riferisco all’evoluzione del pensiero e alla corrispondenza delle azioni, così che non si possono creare delle rigidezze), migliore sarà la considerazione e l’individuazione degli obiettivi, per capire meglio di cosa stiamo parlando. Ad esempio, per me non esiste pensiero anarchico che non ha mai fatto una considerazione sul pianeta e sugli effetti che la civiltà ha creato, come non esiste pensiero anarchico che considera e analizza il pianeta come un’entità attraverso la moralità. Tutto quello che precedentemente ho detto nasce da una percezione nichilista. Il pianeta sarà là (se non verrà distrutto prima che lo facciano i parassiti della moderna civiltà umana), è l’ambiente che mantiene ogni forma di vita sul pianeta, che ci fa respirare. Qual è il senso dello scopo di creare dei “clienti” più vicini, o di essere incatenati alla mente che vuole definire sistematicamente i termini di “buono” e “cattivo”, o determinare sistematicamente i valori o addirittura gli idoli? Come nichilista voglio dire che il pianeta non può essere completamente determinato dagli umani, e che la sua caotica sostanza sarà sempre svelata in un modo differente. Talvolta ci può accogliere e offrirci la vita, e altre volte ci può strappare le carni e offrirci la morte. E’ quello che è, e dopo può essere qualcos’altro. Lontano dalle logiche di ogni sistema. E’ qualcosa che a volte ameremo, e le altre potremmo odiare. Le relazioni dei nichilisti non sono determinate da alcun valore o moralità stabilita pre-esistente. Avendo compreso che la bufala sulla Civiltà e sul “progresso” ci ha resi dei prigionieri del nostro stesso agire faremo tutto il possibile per distruggere “l’illuminazione” che questa mania antropocentrica ci ha “offerto”. Potremmo dire che forse gli “incivili” di quest’era siamo noi. Quei anti-sociali che lottano con sincerità, inventiva, odio e coscienza con ogni mezzo possibile a disposizione (il quale è sempre obsoleto o sproporzionato in confronto a quelli che, purtroppo, possiede il nemico), o forse no. Per essere onesto, penso che la sozzura della civiltà ha contaminato tutti, e che nessuno ne sfugge. Non voglio con questo dire che dobbiamo cercare di pensare come i “primitivi” e demonizzare tutto, perché questo ci porterebbe ad un punto moralistico. Ossia, se mi piace la musica creata dai mezzi tecnologici, cado forse in una contraddizione e non rigetto veramente la civiltà? Naturalmente no. Ma neanche cado in una compiacenza, non mettendo, dunque, costantemente in questione il nostro dipendere dalla civiltà, ma cerco quindi nuove prospettive liberandomi dalle consuetudini. Lontano da impegni e illusioni ideologiche, dei quali si nutrono molti esponenti dell’anticivilizzazione, la liberazione totale qui è la cosciente ricerca individualista delle relazioni con gli altri animali e la terra, lontano da ogni precetto. Questo è la risposta per color che cercano la “salvezza” del mondo (chiunque essi possano essere), la quale è, chiaramente, una percezione antropocentrica nata da altre preesistenti percezioni antropocentriche.

E a questo si collegano i sentimenti misantropici, i quali quanto limitativi possano sembrare su una scala socio-culturale, che non mi riguarda affatto, tanto sono liberatori su una scala di ricerca esistenziale. La consapevolezza della trivialità di vita è percepita come un valore in sé, e perciò la sostanza umana all’interno te la fa aborrire attraverso un modo antropocentrico di pensare e di essere, che porta all’esaltazione dell’umano come valore morale o come centro dell’evoluzione. E in questi momenti vedi l’umano pensare che può raggiungere attraverso uno scopo un obiettivo a lungo termine, di qualunque scopo si tratti, perché come essere razionale e pensatore pensa che può creare, cambiare, aggiustare il mondo, per adattarlo, aggiustare le vite degli animali non-umani per adattare il mondo e per adattarlo. Momenti di pura arroganza e ignoranza. Momenti di ideologia. “L’umanità”, per me, come concetto parassita la mente e come entità parassita con la massa il modo di vivere. Da questo nasce la mia misantropia. Da questo bisogno umano ingannevole di accettare il concetto di Umanità nel modo suddetto, e di banalizzare l’intera vita, l’esistenza umana in sé, e degli altri esseri, con la sua inclinazione a contribuire alla perpetuazione di questa situazione sistematica. Da non voler accettare che la vita è caotica, e che perciò non ha nulla a che fare con nessun tipo di ordine, e che gli umani sono parte di questo, a prescindere da quello che pensano. Sento un disprezzo per la maggior parte degli umani, lo dico chiaramente e non sento nessun bisogno di sopprimere quello che sento, perché è importante come lo è il pensare.

Ho letto delle critiche sulla misantropia (soprattutto contro l’anti-umanismo) che contrappongono la predeterminata posizione della natura umana, e non lo spettro della natura umana in sé, opponendosi solo all’essere, vista come “cattiva”. Prima della nascita di queste critiche c’era una base dietro di esse fatta dall’idea che il capitalismo è la super-struttura che mantiene la dominazione e utilizza tutto il “bene” degli esseri viventi e della terra come materiale grezzo. Sì, certo, il capitalismo è la mostruosità economica e un sistema che mercifica tutto, altrimenti non sopravvivrebbe, e son verrà distrutto la commercializzazione della vita non si fermerà, letteralmente, mai, ma si tratta di un’entità? Perché le critiche sbagliano a decostruire il capitalismo come un’entità, come qualcosa che esiste là in mezzo al nulla, sopprimendo l’essere umano morale. Quindi, da dove nasce il capitalismo? Da chi è mantenuto e chi contribuisce alla sua fondazione? Non è forse stato creato sotto l’ideologia di libertà e del benessere umano? Perciò, non posso odiare e cercare di distruggere il “dio” capitalismo come entità, finché sono intrappolato nella dualità, con gli occhi chiusi, senza poter vedere la sostanza di questa falsa identità. Quindi, se voglio distruggere le illusioni e liberarmi dai valori impiantati, attaccherò l’idolo dell’umanità. Attaccherò la sostanza umana, non l’umanità in totale, composta da individui differenti, se non voglio illudermi con i narcotici della mente, come lo è l’ideologia.

Allora, alcune analisi sono state fatte, e adesso arrivano le domande. Qualcuno mi chiederà, quindi tu credi in un’idea realizzabile della liberazione umana, degli animali non-umani e della terra dalle catene che gli animali umani li hanno messo? La risposta è che alquanto io possa credere in un’imminente collasso della civiltà, tanto credo che una tale idea, che sarebbe la prima di tutte le utopie, per me non esiste. Le idee olistiche sono problematiche, come ho già detto in questo in testo. Forse solo attraverso una distruzione fisica le cose subirebbero un immediato cambiamento radicale. Ma qua parliamo solo della sostanza materiale delle cose. E le catene esoteriche? Le catene della mente. Le catene della coscienza. Le catene del desiderio. Si tratta di una questione enorme. L’essere umano, legato internamente da queste catene, non può essere capace di liberare un’animale non-umano del suo ambiente se prima non ha liberato sé stesso. L’attivista che libera gli animali non-umani dona loro la libertà fisica, ma lui stesso non è capace di decostruire la moralità dello schiavo, e di conseguenza il suo fondamentale legame con la moralità da padrone, come una catena interiorizzata che mantiene la dominazione e quindi riesce solo a fare il cerchio raggiungendo il punto di sbattere ogni volta la testa contro il muro. E con qualunque moralità esso cercherà di entrare nella questione cadrà solamente nell’antropocentrismo, perché chi tenta di analizzare gli animali non-umani e la terra basandosi sull’umanità come un’insieme, e sviluppa per loro concetti stabilendo termini di comportamento e di valutazione, assegnando quindi ruoli, raggiunge sempre lo stesso risultato. Cioè, il prigioniero dello spettro di Umanità cadrà nella trappola della reclusione anche da un punto di vista misantropico. Perché con queste catene interiorizzate la persona non combatte per sé stessa, ma per qualunque altra cosa. E’ molto importante essere coscienti da dove iniziamo la guerra. Non penso che esiste un senso di vita in generale, ma solo quello che ogni coscienza riesce a creare personalmente, per questo penso che ogni individuo dovrebbe cercare costantemente di distruggere ogni catena, esterna o interna, per il piacere della via infinita di liberazione totale dell’individuo stesso. Questo è il mio significato, cercare di dare un significato alla mia vita qua ed adesso vivendola fino a dove il mio potere riesce ad estendersi, senza rincorrere o cercare gli spettri. Quindi, estirpare le catene della società e della civiltà da sé stessi e agire. Quando parlo della liberazione totale esprimo il desiderio di caos, come anche la negazione di tutte le catene fisiche e degli spettri di coscienza, che non permettono al potente ego di soddisfare i propri desideri e di godere del proprio ambiente. La liberazione totale è l’individuo stesso…

Gettare via tutti i residui del “buono” e “cattivo”, del “giusto” o “sbagliato”. Stare sull’orlo dell’orizzonte e fissare il nulla. Danzare l’eterna danza del caos con gioia.

-Archegonos-

“Total liberation as an egoist and iconoclastic consideration”, PAROXYSM OF CHAOS, #1, 2016

L’ATTIMO E IL TEMPO. A proposito di insurrezione e rivoluzione di Michele Fabiani

 

 

luce

 

 

 

 

 

 

Proponiamo una riflessione/dibattito nata dall’articolo di Alcuni Anarchici Udinesi

di cui allego il link :https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/05/02/udine-2-5-16-insurrezione-o-rivoluzione/ intorno alla dicotomia insurrezione o rivoluzione.

Questo è il contributo del compagno Michele Fabiani 

Non ci si può mai bagnare due volte nello stesso fiume

Eraclito

L’identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stessa una contraddizione.

Hegel

L’attività della distruzione è un’attività eminentemente creativa

Bakunin

 

Leggo sempre con molta attenzione gli scritti degli anarchici di Udine, mai banali e di cui condivido praticamente tutto. Questa volta invece il contributo pubblicato di recente da questo blog dal titolo “Insurrezione o rivoluzione”, a firma “Alcuni anarchici udinesi” mi trova in gran parte in disaccordo e mi piaceva discuterne pubblicamente. Lo scritto ripropone infatti la dicotomia fra rivolta e rivoluzione che a mio avviso non ha alcun senso. Non è una novità, il primo a parlarne fu Max Stirner. La novità è che da un po’ di tempo questa contrapposizione è tornata in auge nell’anarchismo d’azione, proporzionalmente all’attendismo infinito di un certo millenarismo rivoluzionario. Sull’argomento, immodestamente, mi sento preparato, essendomi esercitato in un anno e mezzo di discussioni al passeggio. Il passeggio non era proprio il peripatos della scuola di Aristotele, ma anche noi eravamo dei filosofi peripatetici che passeggiando discettavamo dei più alti (e dei più bassi) argomenti: non da ultimo il discorso su insurrezione e rivoluzione.

Per dirla in termini estremamente banali, io ritengo, come disse Ginetta Moriconi, che la rivoluzione è la guerra e le insurrezioni sono le battaglie. Per dirla in termini più profondi, è il grande mistero dell’Attimo e del Tempo. Un mistero insolubile secondo la vecchia filosofia greca (con poche eccezioni). La logica classica infatti non ci dà alcuna spiegazione di come il “qui” possa sparire, andarsene, e venire fuori qualcosa di altro. Si pensi ai paradossi di Zenone. In questo senso i “materialisti” erano i più reazionari fra tutti i filosofi. Un Aristotele per esempio sosteneva che gli schiavi erano degli “strumenti animati”. Non uno scivolone occasionale, ma una affermazione del tutto coerente per un pensatore che credeva che ormai tutto era stato scoperto e che l’uomo doveva solo sistematizzare le conoscenze. Insomma sé così vanno le cose, allora così devono andare. E’ naturale, è giusto, è immutabile. Invece il mondo muta, per fortuna. Tutto scorre. E muta soprattutto grazie alle insurrezioni di quelli che il mondo così com’è non gli sta bene; vero motore della storia. Le rivolte dei messeni schiavi degli spartani, l’insurrezione di Spartaco, la propaganda caritatevole ma anche armata dei cristiani, le invasioni barbariche. Quando il re barbaro Alarigo fece il primo sacco di Roma, liberò, o meglio si liberarono da sé con l’occasione, centinaia di migliaia di schiavi. Hai voglia a dire loro: ma tanto la società futura sarà anch’essa autoritaria, noi siamo antisociali.  E sti cazzi! Io se posso me ne vado da Roma porco Giove – avrebbero risposto loro. E come dargli torto.

Secoli di insurrezioni e fino ad una grande rivoluzione “mondiale” che seppellisce e letteralmente saccheggia il mondo antico. Poi i nuovi oppressori, fanno finta di non sapere le loro origini, o dopo un po’ se ne dimenticano d’avvero, e ricominciano con la storia dell’immutabilità: imperatori, re, duchi e conti; Papa, cardinali, vescovi e preti tutti stanno lì da sempre per volere di Dio, dicono loro; addirittura riscoprono Aristotele nel tredicesimo secolo per avere una ideologia che giustifichi la loro oppressione. In realtà prima il povero Tommaso d’Aquino lo perseguitano perché Aristotele era considerato un filosofo mussulmano (dato che erano stati gli arabi a riscoprirlo), poi capiscono che la sua filosofia era la più adeguata per i loro interessi di oppressione materiale e morale, la riscoprono e chi osò contestarla mal glie ne incolse.

Di nuovo rivolte e rivoluzioni, e di nuovo gli oppressori moderni che ricominciano con sta favoletta dell’immutabilità. Tutti i primi teorici del capitalismo – i cosiddetti economisti neoclassici – dicevano che il mercato ci sta da sempre, che questo è il solo mondo possibile. E anche di recente i filosofi leccapiedi dei potenti sono tornati alla carica con la favoletta della fine della storia. Ora mi auguro vivamente che anche gli anarchici non si mettano a dare man forte a questa ideologia da quattro soldi. Se questo discorso lo fa A-rivista (e lo sta facendo da un po’ di tempo: se avete le stesse posizioni, preoccupatevi) me ne infischio in quanto da tempo non li considero più in grado di dare alcun contributo rivoluzionario, ma se lo fanno dei compagni e delle compagne d’azione mi comincio a preoccupare per la piega teorica che l’anarchismo d’azione rischia di prendere. E siccome teoria e azione per gli anarchici stanno appiccicate – ed è per questo, prima di ogni altra cosa, che io sono anarchico – mi preoccupo ancora di più.

D’altronde la dicotomia fra Attimo e Tempo è superata anche in filosofia. Questa frattura così misteriosa per i filosofi greci è stata rotta già da due secoli dalla filosofia tedesca, la quale ci spiega come il superamento di questo momento e dei successivi, in eterno, nel tempo, avviene attraverso la forza della Negazione. E’ il nichilismo di Hegel. E’ il nichilismo del giovane Bakunin che dice che la distruzione è un’attività creatrice. Significa che questo momento di rivolta, così suggestivo per buona parte dell’anarchismo d’azione, non se ne sta lì da solo, ma cospira, nel senso proprio che con-spira, che “soffia-con” altri fatti insurrezionali, con altri attimi di ribellione, verso un vortice più grande: la rivoluzione mondiale. In questo si colloca, anche, la critica all’anonimato, che vorrebbe lasciare l’azione lì da sola, senza farla cospirare con altre azioni nel mondo (e nel tempo) verso la sovversione totale.

La critica all’attendismo di certi “rivoluzionari” è giustissima. Gli attendisti, oltre al fatto di essere spesso dei cagasotto sul piano personale, fanno lo stesso errore: separano l’Attimo dal Tempo, pongono la rivoluzione in un momento lontanissimo che da qui non si vede nemmeno. Però non è che allora anche noi rinunciamo alla rivoluzione! Che dispetto sarebbe?

I compagni di Udine poi citano la Spagna come esempio di rivoluzione che finisce per formare una nuova autorità, e fanno l’esempio della pena di morte nella catena di montaggio in fabbrica. Ebbene la Spagna è esempio non dei danni della rivoluzione, ma dei danni della rinuncia alla rivoluzione. La dirigenza della CNT-FAI si è lasciata ingabbiare dentro la logica frontista, sintetizzata dallo slogan: prima vincere la guerra e poi la rivoluzione; prima sconfiggere il fascismo e poi fare la rivoluzione. Il risultato è stato che la borghesia, per paura della rivoluzione, ha sabotato anche la guerra. Pensate che sono state privatizzate e restituite ai proprietari le fabbriche che gli operai in armi avevano espropriato nell’insurrezione del 19 luglio. Quell’insurrezione non la si è lasciata cospirare verso una rivoluzione, ma la si è fermata con la scusa dell’antifascismo. E’ la stessa porcheria fatta durante la Resistenza in Italia dal CLN: tutti uniti contro il fascismo, borghesi e proletari. In Italia ha vinto la democrazia borghese, in Spagna il fascismo borghese. Ma il risultato è stato lo stesso: con la scusa dell’antifascismo si ferma la rivoluzione. L’esempio della pena di morte in fabbrica è azzeccatismo, peccato che citato al contrario. La pena di morte non serviva mica a garantire l’ordine rivoluzionario, la pena di morte serviva a garantire l’ordine capitalista contro gli “incontrollados” che se ne fregavano della guerra a Franco e volevano continuare a distruggere le macchine, a fucilare i borghesi per strada, che volevano continuare verso la rivoluzione. Se c’è una cosa che ci insegna la Spagna, semmai, è che l’insurrezione (19 luglio) non basta, ma bisogna continuare fino a quando c’è un oppressore sulla terra.

Un’altra cosa la voglio dire sul sedicente programma rivoluzionario. Su questo bisogna evitare banalizzazioni. Persino un Marx – che non è sospettabile di anarchismo – nella prefazione del Capitale scriveva di non avere ricette per l’osteria dell’avvenire, ma di limitarsi ad analizzare la realtà presente. Quindi chi scrive programmini, tipo risiko, è un demente. Tra l’altro nemmeno a risiko il programma riesce mai come lo si immagina. Fare articoli contro chi scrive i programmi è come il pugile che si sceglie l’avversario scarso per vincere facile. Anche perché è evidente che nessuno ha mai realizzato i propri programmi nella storia. Non penso che i barbari che saccheggiavano Roma sapevano che sarebbe arrivato Carlo Magno e il feudalesimo. La verità è che chi è in catene cerca di romperle e questa azione è il solo motore della storia: gli oppressori, state tranquilli, non cambierebbero niente. In questa azione di distruzione, nasce sempre qualcosa, come un incendio lascia la cenere e le braci per un nuovo incendio. I programmi non li abbiamo, l’unica cosa che portiamo semmai è la benzina.

Per questo io ritengo che la dicotomia fra insurrezione e rivoluzione sia un errore gravissimo. Gli anarchici già ce ne hanno abbastanza di dicotomie: organizzatori-antiorganizzatori, comunisti-individualisti, ecc. Non c’è bisogno di inventarne un’altra! Semmai dovremmo superarle verso formule nuove di cospirazione. La questione non è: insurrezione o rivoluzione? Ma insurrezione. Punto. Perché chi è oppresso: o è servo, o insorge. Questo insorgere genera rivoluzioni. E’ un fatto.

Gli anarchici sono i primi nella storia che hanno capito che ogni nuovo potere sarà anch’esso autoritario e anch’esso da combattere. E’ la nostra dote. Che non diventi un limite. O peggio: un pretesto.

 

Michele Fabiani