Piccolo manuale dell’anarchico-individualista di Emile Armand

emile-armand

Essere un anarchico significa rifiutare l’autorità e rigettarne il corollario economico: lo sfruttamento – e rigettarlo in ogni dominio dell’attività umana. L’anarchico desidera vivere senza dei o padroni; senza padroni o direttori; a-legale, senza leggi e senza pregiudici; amorale, senza obblighi e senza moralità collettiva. Egli vuole vivere liberamente, vivere la sua propria idea di vita. Nell’intimo del suo cuore, egli è sempre asociale, insubordinato, un estraneo, marginale, un’eccezione, un disadattato

 

 

PDF

Piccolo manuale dell’anarchico-individualista

di Emile Armand

COSPIRAZIONE DELLE CELLULE DI FUOCO – FAI/IRF: I liberi assediati (Grecia)

ccf-300x298

La prigione è una pietra miliare nel percorso dei rivoluzionari verso la libertà. È una fermata intermedia, ma non la fine.

 

L’autorità spesso sceglie la di usare della matematica la sottrazione. Come quando essi sottraggono vite bombardando nelle zone di guerra per i loro interessi energetici e geopolitici, come quando sottraggono i rifugiati dalle città seppellendoli in isolati campi di concentramento, come nascondono le più piccole briciole della schiavitù sottopagata, picchiando con le fruste più brutalmente quei corpi, abituati al rachitismo, come quando vogliono nascondere tutti coloro che li sfidano, rinchiudendoli dentro prigioni…

In questo modo, ogni rivoluzionario anarchico si trova ad affrontare la più grande contraddizione. Combattono per la libertà, ma flirtano con la prigionia del carcere, amano così tanto la vita eppure la morte dei guardiani dell’autorità vuole tendergli un’imboscata.

In questi anni di prigione, i nostri passi si sono abituati ad essere contati all’interno del filo spinato, i nostri occhi hanno imparato a memoria ogni metro cubo di questo spiazzo, ma le nostre mente non sono state mai catturate dalle sbarre di ferro.

 

Come puoi capitolare, quando da un lato ti trovi ad affrontare la ricchezza sfacciata di chi è al potere e dall’altro gli occhi pieni di lacrime di un bambino in campo di concentramento, da una parte la mafia dei dei politici, dei giudici e dei giornalisti che contano le persone come pidocchi sulla terra e dall’altra uomini e donne che si suicidano a causa degli effetti della crisi economica, rovistando nella spazzatura per trovare cibo, dormendo nelle strade, da una parte eserciti di schiavi felici abbagliati dalle vetrine e dagli schermi di una vita fasulla e dall’altra una cattiva schiera di solitudine e silenzio come unico compagno.

Non intendiamo capitolare sotto la tirannia dell’autorità, né abituarci a vivere come schiavi.

Sappiamo che la libertà non è qualcosa che può essere regalata, né che può essere concessa. I nostri fiori della libertà vengono dal sangue e dal sacrificio della nostra lotta. Anche se ancora una volta, il nostro desiderato incontro con la libertà è stato rinviato a causa della viltà di un pilota di elicottero, ex-sbirro, e l’elicottero non ha mai raggiunto la sua destinazione, ciò non significa che noi ci arrenderemo.

Siamo pienamente consapevoli del fatto che la nostra libertà sarà conquistata solo attraverso la violenza rivoluzionaria, che attaccherà il monopolio della violenza sadica del potere.

Una libertà che secondo noi è UN TUTT’UNO con la continuazione della guerriglia urbana, per far intensificare la lotta anarchica. Una libertà che camminerà al di sopra dei detriti di questo mondo e dei suoi monumenti, prigioni, tribunali, parlamenti, dipartimenti di polizia, campi di concentramento, laboratori del totalitarismo tecnologico.

 

Con la certezza e la determinazione di coloro che rischieranno tutto per la libertà, mettendo ancora una volta in tavola l’enigma “Libertà o Morte”?

Una decisione, noi combatteremo fino alla fine

 

Mai pentiti

Mai sconfitti

La lotta continua

 

Un saluto al membro anarchico di Lotta Rivoluzionaria Pola Roupa.

 

I membri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco– FAI/IRF

 

Giorgos Polydoros

 

Olga Economidou

 

Gerasimos Tsakalos

 

Christos Tsakalos

 

 

 

 

 I liberi assediati(*): È una raccolta di poesie incompiuta, composta da Dionysios Solomos ispirata al terzo assedio di Missolonghi (1825–1826), dove i ribelli greci resistettero per quasi un anno prima di tentare un’evasione di massa, che finì in un disastro, con la maggior parte dei greci uccisi.

“Facciamo finta che tutto va bene… che tutto va bene…” [Scritto dell’anarchico Gianluca Iacovacci]

FACCIAMO FINTA CHE TUTTO VA BENE….
CHE TUTTO VA BENE….

Uno scritto “al napalm” di Gianluca Iacovacci

Ripropongo un vecchio testo di Gianluca Iacovacci, compagno anarchico che dal giugno 2015 si trova agli arresti domiciliari, per proporre una interessante riflessione a cui è stato dato poco spazio ai tempi della sua reclusione.

 

teso in pdf ://www.informa-azione.info/files/FACCIAMO%20FINTA.pdf

Udine, 17.3.16, Contro il femminismo

 

https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/03/18/udine-17-3-16-contro-il-femminismo/

femminismoUdine, giovedì 17 marzo 2016

Cattiva, frusta, cattiva, sessista!
Questa fotografia è sessista? Che cosa c’è di sessista in questa immagine? E poi, noi siamo prima di tutto anti-sessisti o anti-autoritari? Perché nel primo caso urlare, starnazzare e zittire chiunque ti capiti a tiro sarebbe il più onorevole dei comportamenti, e noi cosa ci staremmo qui a crucciare e a spremere le meningi su come buttare nero su bianco lo schifo che proviamo per gli habita mentali movimentisti, assodati e indiscutibili? Nel secondo caso, invece, se l’anti-sessismo divenisse autoritario sarebbe semplicemente da accantonare e lasciare bello che intero e pronto per la prossima abbuffata di femminismo alle suore laiche dell’ultima religione che mi dice che cosa devo fare con il mio cazzo o con la mia figa. Ops, volevo dire con la mia clitoride, la figa è peccaminosa1.
A tutti questi dogmi sessuofobi, volti, nonostante tutti i proclami del caso, a normare il sesso, preferiamo stare dalla parte di chi impiega il suo corpo come meglio crede (ci viene in mente un articolo di una donna, anti-sessista, attaccata da un gruppo di femministe perché si dilettava di pratiche B.D.S.M., immaginiamo non come mistress o sarebbe andato tutto bene). E chi domina e chi è sottomesso lo decidiamo noi, non i cromosomi, il patriarcato, né le femministe. E dal momento che lo decidiamo, è un atto libero. Gli unici legislatori sono cattolici e femministe.
Dominique Karamazov, in Miseria del femminismo, scriveva: «Che si sia contro il fallocratismo, sì, ma perché si è contro il potere e per il fallo»2.

Dalla categoria-prigione del Dominio alla categoria-prigione del Movimento
Per gli amanti del genere, scusate il giuoco di parole, precisiamo, dopo questa breve introduzione, che chi scrive sono un uomo e una donna… ops, pardon, una donna e un uomo. Non che noi crediamo nei generi, sia chiaro, cioè nell’identificazione con essi. Vi è una differenza sostanziale fra l’ontologia e una descrizione. “Maschile” e “femminile” sono aggettivi di descrizione. Ma l’ontologia è un’altra cosa, è individuale e ce la creiamo noi. Non se ne voglia il sig. Movimento, ma è affar nostro e di nessun altro.
Il femminismo è anti-individualista. Nega, esplicitamente o implicitamente, quindi conseguentemente, l’individuo, l’io, l’unico, per impacchettarlo per bene in una delle categoria del collettivismo. Così come il Dominio, il patriarcato per es., ragiona in termini di categorie standardizzate e preconfezionate, l’uomo forte, il pater familias, e stronzate del genere, così il sig. Movimento, nel suo porsi come un dominio alternativo al dominio esistente, anziché come sua negazione e negazione di ogni possibile dominio, cioè di ogni possibile società, ricrea le sue categorie e i suoi ruoli. Ma non credendo noi in sistemi migliori, rigettiamo ogni categoria in cui l’unico possa essere preso in considerazione per un qualsiasi suo mero aspetto, che si volge in totalità ontologica, anziché per il suo semplice sé, perché l’unico demiurgo che ci può definire è l’io stesso.
Il femminismo e l’individualismo sono per noi quindi incompatibili, perché il primo crea un collettivismo di genere e il secondo distrugge ogni insieme imposto e annichilente l’io.
Si farà riferimento in questo breve scritto al già citato testo Miseria del femminismo di D. Karamazov3, di cui si condividono certi aspetti e altri no (per es., certe sue derive analitiche psicologiste – cfr. p. e. il riferimento4 al dott. Sigismund Schlomo Freud, detto Sigmund – dunque deterministiche, dunque incompatibili con qualsivoglia sogno di libertà, e il suo comunismo, che porta l’autore, pardon l’autor*, di quel trattato a scrivere menzogne come «Il comunismo non porterà regole e tabù che manterranno uomini e donne in un campo ristretto»5, perché è comunque una critica molto lucida, in particolare dal punto di vista del rapporto tra anti-capitalismo e femminismo. Inoltre noi qui ci addentriamo in altre critiche a cui D. Karamazov e la sua ideologia comunista non possono arrivare, cioè l’attacco al femminismo in quanto ismo collettivista.

Moralismo, neolingua, culi e asterischi
Il femminismo è proprio in tutto e per tutto una religione. “Vaffanculo”, “fottiti”, “bastardo” sono parole sessiste, ma entrate ormai da tempo nel linguaggio comune. Quindi è inutile stare troppo a cagare il cazzo (chiediamo venia) su certa terminologia, sulla struttura della lingua, con ipocrita e inutile puntigliosità. Con questo non stiamo dicendo sia inutile una riflessione sulle parole, ma stiamo criticando l’impiego di una neolingua di Movimento che pensa che un asterisco o una x piazzati qua e là ci liberino dal male (amen). La stessa attenzione poi non si applica a tutti gli ambiti del parlato, non si applica per es. l’anti-specismo alla lingua con lo stesso moralismo da caccia alle streghe con cui si fa per l’anti-sessismo. Quindi le femmine umane sono più importanti degli animali non umani, ricreando così una gerarchia.

Femminismo sessista e separatismo
Un capitolo a parte si apre sulla questione del separatismo che manteniene inalterato il sistema delle rette parallele, che non si incontrano mai, di due generi soltanto, maschile e femminile. Un transessuale non può essere ammesso in una congrega femminile? Non è forse sessista un tale atteggiamento? E poi, sarebbe sessista firmare un comunicato come “Uomini No T.A.V.” o “Papà No T.A.V.” o quanto meno risulterebbe strano, no? Perché al femminile invece è concesso (ripescando dalla magica borsa di Mary Poppins il tanto deprecato ruolo patriarcale di madri)? Forse che un data nocività guasta più alle donne che agli uomini?

Riduzionismo politico
La compagna Annalisa Medeot, parlando del femminismo, lo definisce «un’altra occasione mancata»6 e osserva «la sua parzialità, […] la sua incapacità di sognare»7.
Uno dei più grandi problemi degli ambienti anarchici al giorno d’oggi è il vivere la lotta a compartimenti stagni, con un atteggiamento analogo a quello del riduzionismo scientifico. Tutte lotte separate, femministe, animaliste, ambientaliste, operaiste… I risultati? Oggi siamo No T.A.V. e amici di politici e magistrati. Domani siamo contro i giudici perché, non capiamo come, ci hanno traditi e continuano a fare il loro lavoro. Quando rincorrevano Berlusconi però ci piacevano tanto. Dopodomani invece facciamo propaganda anti-elettorale, anzi no, aspetta, c’è un referendum, aspettiamo ancora un po’. Viva la democrazia diretta!
Il riduzionismo politico, non che della politica ci importi qualcosa, è deleterio. Il Dominio è uno e contro tutte le sue ramificazioni bisogna combattere. Il centro non esiste.

Vittorie del femminismo o del capitalismo?
Il femminsimo (certo ve ne sono di diversi, quello anarco, quello eco, etc. etc.) ha fino a oggi per lo più elemosinato e ottenuto diritti, libertà civili, carotine, sindacalismi, croccantini, giocando sempre nel pietoso ruolo della vittima. E così il cosiddetto Stato-capitale si è tinteggiato di nuovo, politicamente corretto. Evviva il rivendicazionismo! Evviva il riformismo! Evviva lo Stato!
I mutamenti della società sono mutamenti della galera, quindi non ci sarebbe proprio nulla da festeggiare. “Guarda, che bello!, adesso anche le donne hanno il diritto di stare in galera! Abbiamo vinto, le donne hanno diritto agli stessi tre metri per due come il maschiaccio cattivo, cattivo in cella! No al patriarcato, sì ai lavori forzati anche per le donne!”. Ve le immaginate delle stronzate del genere? Eppure se chiami la prigione “società” allora tutte queste assurde proposizioni divengono rivendicazioni nobili e giuste.
Ma passiamo oltre. Non solo quelle che vengono presentate come vittorie del femminismo sono fallimenti per la libertà dell’unico, ma non sono nemmeno vittorie del femminismo, bensì mutamenti dei ruoli degli schiavi del capitale, non solo indirettamente (la questione della società-galera), ma proprio direttamente. Il capitale muta e quindi non vuole più la figura del patriarca della società agricola e vuole la donna lavoratrice. Sono operazioni del capitale, in cui il femminismo si illude di aver avuto voce in capitolo.
Scrive D. Karamazov: «Le donne cessano di essere madri per andare ad occuparsi dei bambini negli asili, nelle scuole, negli ospedali; cessano di essere spose per “assistere” come dattilografe, segretarie i piccoli pascià d’ufficio»8.
La semplice lotta al patriarcato, cioè la lotta femminista, è vana perché il nemico ha la capacità di rigenerarsi continuamente. Che cosa si è ottenuto? Che anziché essere la famiglia il luogo centrale in cui inculcare l’idea dell’autorità al bambino, ora lo è la scuola, molto più efficace, centralizzata (una persona ha volta per volta 20-30 bambini a portata di mano anziché 1-2) e direttamente controllata dallo Stato o dalla Chiesa (anche tutta la questione della scuola pubblica da preferirsi alla privata, per i gusti del sig. Movimento, è una stronzata: non c’è alcuna differenza tra Stato e (Stato della) Chiesa). «Questa realtà continua il suo corso nella scuola»9.
«Ma, in secondo luogo, il femminismo come resistenza al movimento del capitale è anche la rivendicazione di ciò che denuncia»10.
«Il femminismo si nutre delle resistenze suscitate dal movimento di eguaglianza capitalistica della donna»11.
Ci si trova poi a dei bivii pensando alla stregua degli operaisti e delle femministe: è meglio un uomo operaio o una donna padrona o addirittura nobile? Ci viene in mente l’anarco-femminista Emma Goldman che condannò il regicidio di Sissi a opera del compagno Luigi Lucheni, non per il pacifismo con cui l’anarco-comunista organizzatore Errico Malatesta disdegnava gli atti di rivolta violenta individuale, ma perché l’imperatrice era una donna.

Il genere non mi rappresenta niente
Oh dio cromosama, ora pro nobis. Ma chi cazzo sono i cromosi X e Y? Che cosa vogliono dalla nostra vita? E che c’è?, una gerarchia dei cromosomi? Quello che decide se abbiamo l’uccello è più importante di quello che ci dà gli occhi azzurri? E allora la possiamo smettere di rinunciare a disegnare la propria ontologia liberamente? Oppure continuiamo a credere di essere “donne”, “uomini” e quantaltro fantasia, scienza, progresso, tecnologia e civilizzazione mi possano fornire. Perché se noi non siamo il nostro naso, i nostri capelli, etc., allora non siamo nemmeno il nostro cazzo. Siamo individui, non un genere.
Il femminismo «[…] rivela la sua essenza: gelosia e competizione con gli uomini – o piuttosto rivela un’immagine caricaturale degli uomini»1.
Certo, tutto influisce, ma nulla determina.

Omni-stupro
«Assimilando allo stupro il rimorchiare, la proposta sessuale o lo sguardo “che spoglia”, si denuncia una situazione in cui la donna è ridotta ad un oggetto di consumo. Ma in verità è il fatto stesso di desiderare che viene attaccato. Il problema della donna è ridotto a quello di non essere importunata; in tal modo i suoi desideri o le sue reazioni – eventualmente negative – al desiderio dell’altro sono negate»13.
«La forza della donna, il suo potere, è la possibilità di rifiutarsi, di non “lasciarsi fottere”. Da questo a sottrarsi come oggetto di desiderio, a degradarlo e a colpevolizzarlo in ciò che concerne i suoi istinti sessuali, e dunque nel suo bisogno della donna, non vi è che un passo e una rivincita. “In ogni uomo sonnecchia un porco”, è abbastanza noto. Questa reazione si trasferisce oggi nella politica»14.
Il femminismo giunse a invocare il carcere e la repressione per gli stupratori. «Ignobile quanto lo stupro è il fatto che individui, specialmente giovani, siano condannati ad anni di prigione, a pene che vanno dai 5 ai 10 anni. Lo stupro arriva ad essere punito più duramente del delitto passionale»15.

Civilizzazione e femminismo
La lotta per i diritti delle donne è una lotta tutta interna alla civilizzazione. Ted Kaczynski, in una lettera a un’anarchia turca, così si esprime: «Così, anche se il movimento degli anarchici verdi (GA) domanda di rigettare civilizzazione e modernità, rimane schiavo di alcuni tra i più importanti valori della società moderna. […]. Per prima cosa parte delle energie di questo movimento sono deviate rispetto al reale obbiettivo rivoluzionario – eliminare la tecnologia moderna e la civilizzazione in generale – in favore di traguardi pseudo-rivoluzionari come […] il sessismo […]»16.
Avete mai visto accoppiarsi due gatti? La natura è veramente sessista.

Commiato
Speriamo di continuare a pensarla così o potremmo ridurci in stati veramente ridicoli: «Negli USA, una pittrice [femminista] ha aperto dei corsi di masturbazione per donne e si è convertita alla vendita degli strumenti adatti»17.
Detto questo, e con i sessisterrimi gatti sempre a mente, ci accomiatiamo con un pensiero feroce alla sessista natura che ha voluto l’osteoporosi più frequente nelle donne. Che cattiva e maschilista la natura. Meno male che stiamo distruggendo il mondo naturale. Molto meglio una gabbia di acciaio, cemento e politically correct.

Due anarchici, un uomo e una donna
(per gli amanti di queste quisquilie – in particolare nel senso latino del termine)

1. C. LONZI, Sputiamo su Hegel.
2. D. KARAMAZOV, Miseria del femminismo, Edizioni Anarchismo, Trieste 2009 (1978), p. 61.
3. Ibid., p. 75.
4. Ibid., p. 60.
5. Ibid., pp. 75, 76.
6. A. MEDEOT, Nota introduttiva, in D. KARAMAZOV, op. cit., p. 7.
7. Ibid., p. 7.
8. D. KARAMAZOV, op. cit., pp. 71, 72.
9. Ibid., p. 69.
10. Ibid., p. 66.
11. Ibid., p. 63.
12. Ibid., p. 66.
13. Ibid., pp. 47, 48.
14. Ibid., p. 43.
15. Ibid., p. 32.
16. T. KACZYNSKI, Lettera ad un’anarchica turca, in «Croce Nera Anarchica», n. 2, p. 39.
17. D. KARAMAZOV, op. cit., p. 54.

Anti-Noi

corvo

Ogniqualvolta mi trovo ad affrontare riflessioni, a cercare di risolvere problemi, a confrontarmi con la realtà dei fatti, mi si para sempre di fronte quello che ritengo sia uno dei mali più subdoli che possa colpire l’essere umano, inteso come animale sociale e culturale. L’annullamento dell’Io. O meglio, la liquefazione dell’Io all’interno di un Noi anonimo e dai confini melliflui e indistinti. Lungi da me fare della psicanalisi, non solo non ne possiedo gli strumenti, ma non ritengo sia necessario farlo. Per descrivere questo fenomeno, basta l’osservazione attenta di una realtà che ci sta sotto gli occhi per la gran parte del tempo che impieghiamo confrontandoci con gli altri, dal rapporto di coppia fino a questioni più complesse e socialmente rilevanti. 
Il Noi è senza dubbio affascinante, ma è un concetto talmente pervasivo e pericoloso da fare paura. Viene usato per descrivere gruppi umani che decidono “spontaneamente” di unirsi e trarre forza vicendevolmente, per sostenere azioni e battaglie condivisibili o per sottolineare l’amore incondizionato tra due o più persone. Se ci si ferma all’epidermide della questione, il Noi risulta virtualmente inattaccabile, è un gesto d’amore generoso che fa si che l’Io si fonda placidamente in questo tutto, traendone in cambio forza e solidarietà reciproca. Il Noi è forte, l’Io da solo è piccolo e debole. Quantitativamente ineccepibile.
Ma.
C’è sempre un ma.
Il Noi è totalitario, il Noi richiede in maniera ontologica l’annullamento dell’Io. Tante singolarità che rinunciano alle loro peculiarità, alle loro libertà individuali e sociali per conformarsi in una massa amorfa, una coppia, una famiglia, un’associazione, un partito. Un luogo dove “si rema tutti dalla stessa parte”, dove il dissenso non è consentito,  o meglio, può essere praticato all’interno del Noi, ma poi verso l’esterno si agisce tutti insieme verso un fine comune, senza esitazioni, senza dubbi. I dubbi fanno parte dell’Io, le certezze del Noi. 
Come può funzionare un rapporto a due, se si rinuncia a sé stessi per creare questa specie di essere amorfo che è il Noi? Che poi nella quasi totalità dei casi, diventa un rapporto non più paritario, in quanto uno dei due sarà sempre più forte dell’altro, con idee più chiare, con capacità di controllo e di indirizzamento più subdole. In questo caso quindi, il Noi addirittura non esiste; siamo di fronte a un Io più forte che esercita potere sull’Io più debole. Questo è tanto più vero con il crescere dei soggetti coinvolti in un rapporto. Pensiamo ad un partito o addirittura alla stessa società statale. Ci verrà in mente una sorta di blob di persone senza contorno definito che si muove pecorescamente nella direzione indicata da qualche Io più forte che sta gerarchicamente sopra di loro. Alcune individualità più marcate di altre magari dissentiranno, rimarranno portatrici di un pensiero formalmente indipendente, ma si muoveranno comunque dalla stessa parte, perché l’urto di una tale massa di non individui genererà comunque una sorta di piccola gravità alla quale si rimarrà agganciati.
E’ una questione culturale, l’essere umano – lo dicevo prima – è animale sociale e culturale. Ed allora è giusto mettere in evidenza queste due peculiarità imprescindibili. L’ascetismo è per pochi; è una pratica estrema, a volte pure apprezzabile, ma che quasi nessuno riesce davvero a praticare. Abbiamo bisogno di socialità. Ma tutto questo senza annullarci. Con identiche motivazioni, abbiamo bisogno di confrontarci culturalmente; e quando dico culturalmente, non voglio certo dire che bisogna fare a gara per ostentare nozioni e saperi, tutt’altro. Abbiamo bisogno che ognuno di noi, ogni singolo Io metta a disposizione i propri pensieri e le proprie idee, abbia bisogno di stimoli e confronti con ciò che è diverso, ognuno ha bisogno di fare le proprie lotte ed il proprio percorso. E se su questo percorso si troveranno altri individui che ne vogliano condividere una parte, tanto meglio. Ma, per la salvaguardia della diversità e del pensiero critico, è necessario non fondersi in un Noi livellante verso il basso. Parrà una questione semantica, ma non è così. Noi non è uguale a Io+Io+Io+Io…. Noi è un calderone che annichilisce l’Io, lo semplifica fini ai minimi termini perché ha la necessità di trovare un minimo comune denominatore unificante, fa perdere i confini e il limite dell’individuo. E mi pare di poter dire che l’unico modo per definire una persona, anche fisicamente, sia tracciarne il proprio limite. Ognuno di noi ha un limite che lo definisce, un limite mobile, in continua evoluzione, mai statico. Ma esiste. L’illimitato non esiste, sarebbe l’ammissione dell’esistenza di Dio. Se questo limite viene meno, perché sento la necessità di fondermi in un insieme amorfo, perdo le peculiarità di individuo e divento massa. 
Per questo motivo io mi sento incrollabilmente individualista. Perché sono conscio dei miei limiti e questo mi rende definito e voglioso di socializzare culturalmente con altre persone consapevoli dei loro, senza sentire la necessità di rinunciare a ciò che mi caratterizza. Io le mie idee le porto avanti, le difendo, a volte arrivo perfino a cambiarle, ma non rinuncio ad averle in nome di una forza collettiva che in realtà è debolezza congenita ed asservita. Un’idea non è forte quando è condivisa acriticamente, ma quando esce rafforzata e vittoriosa da una battaglia con altre idee. Questo può succedere solo in presenza di tanti Io pensanti, non certo di un Noi degradante. Viva i tanti Io quindi, e morte al Noi.

Luca Filisetti

Udine, 13.3.16, Un consenso per mangiare, per favore

universo

https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/03/13/un-consenso-per-mangiare-per-favore/

Udine, domenica 13 marzo 2016

A differenza di quanto pensa il questore di Udine, non c’è niente di male nel chiedere l’elemosina fuori da un supermercato. Anche se è molto più divertente derubarlo o, meglio ancora, rapinarlo. Divertente… Scusate, la militanza è roba seria.
Ci dovrebbe però essere quella cosa, chiamata “dignità”, chi era costei?, che ponga un freno all’elemosinare. Ci sono infatti cose davvero deplorevoli da elemosinare, come i diritti e il consenso.
Circa i primi non ho molto da dire in questa sede: sono il riconoscimento più pietoso dello Stato. E questo è quanto.
Circa il secondo, ahimè, c’è molto da dire. Da dire, sì. Perché è della parola che è d’uopo trattare. La parola, questa svalutata. Si è così presi dal fare-fare-fare, sfogliando con trepidazione il calendario di Movimento – che è come quello di Padre Pio, solo che al posto dei santi ci sono per lo più i vari appuntamenti con la ricerca spasmodica del consenso –, che si agisce senza pensare (preferisco sperare, o sarebbe, anzi è, tutto ancora più tragico), giungendo addirittura a disprezzare chi critica e scrive. Come se ci potesse essere prassi anarchica senza almeno un minimo di teoria anarchica. Siamo così spaventati dal filosofare che ci riduciamo a non pensare nemmeno a quali siano gli obiettivi, i mezzi consoni per tentare il loro conseguimento, chi siano i nemici… E così un giorno ci si ritrova con magistrati e politici, fianco a fianco, a chiedere per favore allo Stato di non costruire una data grande opera (per non sprecare danaro pubblico che si potrebbe impiegare per costruire opere utili come i tribunali, sia chiaro, cosa pensavate?), il giorno dopo a un presidio fuori da un tribunale per un compagno in carcere e il giorno dopo ancora a fare propaganda anti-elettorale, senza sentirsi addosso nemmeno un pochino di quel puzzo di ipocrisia che sarebbe auspicabile.
Quindi è forse proprio della parola, del parlare, che bisogna dire, perché una volta chiariti veramente mezzi e fini la prassi anarchica dovrebbe conseguirne, essendo la concretizzazione distruttiva delle proprie negazioni teoriche. Ma questa è un’altra storia.
Del parlare, si diceva. Perché noto sempre più la costruzione e l’utilizzo di una neo-lingua di Movimento volta alla ricerca del consenso. Ogni dominio ha e produce le sue neo-lingue e tra le forze in campo oggi (tolti alcuni spiriti liberi che si dilettano ad amare e odiare, pensare e agire a modo loro), la tecnocrazia democratico-scientifica, i nazionalismi neo-fascisti, il fondamentalismo islamico e il sig. Movimento, anche quest’ultimo, seppure il più sfigatello e spompato rispetto alle altre autorità sue colleghe, vuole la sua neo-lingua.
Parlo di neo-lingua non perché debba essere necessariamente nuova o rinnovarsi continuamente (cosa che in effetti fa), ma principalmente per la sua funzione propagandistica autoritaria, ben descritta nelle pagine de L’ultimo uomo in Europa, come avrebbe voluto intitolarlo George Orwell, meglio noto come 1984. La neo-lingua veicola messaggi implicitamente, distorce il significato delle parole, inverte i sensi, il tutto per inculcare le proprie opinioni e ottenere consenso…
Ora, è su tre espressioni che vorrei soffermarmi in particolare: “terrorismo”, “azione diretta” e “forze dell’ordine”.
Circa la prima di queste già mi sono dilungato in Mentre gli anarchici piangevano gli sbirri, ma tornerò solo sui suoi aspetti essenziali. “Terroristico” è letteralmente uno o più atti e/o progettualità volte a “terrorizzare” qualcuno. Poi i codici di opinioni giuridiche italiane, spagnole, europee, ecc., possono agghindare il termine di tutto quello che vogliono, ma, a differenza di ciò che ha vittimisticamente scelto di fare il sig. Movimento, non è di questo che mi interessa parlare. Quindi qualunque atto di guerra di un sovversivo verso il dominio o del dominio verso un sovversivo è volto ad attaccarlo o, quanto meno, a fargli paura, quindi “terroristico”, sebbene voglia dire appunto tutto e niente. Attenzione, non è di leggi, di pene e di condanne, si reitera, che qui si sta parlando. Non riconoscendo lo Stato non mi preoccupo di leggi giuste, ingiuste, “esagerate e intollerabili” (perché ce ne sono anche di tollerabili?). Qui si sta parlando di parole e della paura, anzi, per restare in tema, del terrore, che chi dice di combattere lo Stato nutre invece per esse, per le definizioni che lo Stato, la legge, fornisce. E così non si contano più le omelie vittimistiche come “la lotta non è terrorismo” o “terrorista è lo Stato”, che vale a dire: “è lo Stato a essere un terrorista, non siamo noi, noi siamo buoni”. Sembra che la difesa legale sia diventata la retorica di Movimento.
Un’altra parola simpatica è “attentato”. Non credo di averla quasi mai letta su un sito di Movimento. Le si preferisce la più tranquilla “azione diretta”, che ormai vuol dire tutto e niente, dato che viene considerata, definita tale, “azione diretta” anche uno striscione. È tuttavia un’espressione bella, che si rifà alla storia degli anarchici e che rende bene l’idea dell’attacco senza intermediari, e non sto in alcun modo dicendo che non vada usata. Anzi, andrebbe semmai ripescata dalla palude di merda, in cui la si è gettata, e ripulita un po’. Il fuoco purifica. Ma non capisco perché anche il semplice “attentato” non vada bene. Forse perché, così come per “terrorismo”, gli si attribuisce implicitamente lo stesso valore che gli attribuisce lo Stato, ossia quello negativo? E non vogliamo essere i cattivi, giusto? Altrimenti che ci staremmo a fare noi con i nostri piagnistei ogni volta che uno sbirro o un magistrato fa il suo sporco lavoro (non che ce ne siano di puliti)?
E per finire questa veloce carrellata, un’altra perla è la frequente apparizione di “forze dell’ordine” spesso virgolettato nelle pagine dei comunicati del sempiterno Movimento. Questa è davvero meravigliosa. A quel che ne so io, ma forse mi sbaglio, le virgolette si usano in questo caso per ironizzare sul significato di una parola. Le forze dell’ordine quindi non sarebbero veramente forze dell’ordine. Ah, no? E allora che cosa sarebbero? Forze del disordine come altrettanto spesso si legge? E perché mai? Forse che quello dello Stato, della Chiesa e del capitale (in genere l’apparato tecno-scientifico non viene citato in questa sequenza perché ci piace tanto), che lo sbirro serve e difende, non è un ordine? È forse un disordine? Perché in tal caso il vero ordine è quello che vogliamo instaurare noi, vero?, dopo i gloriosi giorni in cui il Cristo redivivo scenderà di nuovo in Terra con una spada fiammeggiante in bocca e sconfiggerà le orde del male, anzi del disordine, portando finalmente a compimento la nostra tanto attesa (fra “lotte” sociali, cittadiniste, sindacaliste, operaiste, ambientaliste, animaliste, riduzioniste e mille altre cose da fare-fare-fare nella ricerca del consenso) Rivoluzione rosso-nera, o più rossa che nera? Oh, ma diciamolo allora! Diciamolo subito. O forse sono io che sono un po’ tocco che non l’avevo capito subito e tutti erano sempre stati così chiari e coerenti?
Grazie allora, vi lascio al vostro ordine, alla vostra neo-lingua e al vostro consenso. Perché nel mio cuore e nella mia mente, nel mio braccio e nella mia mano, ho troppo, troppo da amare e da odiare, da creare e da distruggere, per spendere un minuto di più a pensare all’ordine. A qualsiasi ordine.

PROCESSO NO TAV. CONSIDERAZIONI INATTUALI di Friederich Niciuno

PROBLEM

 

 

 

 

 

Sembra ormai giunto alla fine il processo sull’attacco al Compressore. A meno di improbabili sorprese in Cassazione, che per la verità si è già espressa più volte contro l’ipotesi di terrorismo, i vari tribunali hanno confermato una verità giudiziaria: attaccare un compressore non è terrorismo. Era quello che sostenevano i movimenti, che infatti cantano vittoria. Ma di quale vittoria parliamo?

In questi anni la lotta contro la TAV in Val Susa e altrove è andata via via scemando, a favore di un impegno sempre più sul piano della difesa giudiziaria e sempre meno capace di proposta offensiva. Non solo, la stessa vittoria giudiziaria, ammesso che di “vittoria” si possa parlare in un’aula di tribunale, è ben lungi dall’assolvere il movimento rivoluzionario dall’accusa di terrorismo: non si dice affatto che il terrorismo è la strage di “innocenti”. I giudici pongono piuttosto lo spartiacque sul colpire le persone o colpire le cose. E su questo, giudici e un pezzo di movimento, sono in preoccupante sintonia. Ed è sintonizzato sulle stesse onde anche Matteo Renzi, che dopo alcuni attaccati alla rete ferroviaria ha gettato acqua sul fuoco dichiarando che sono solo sabotaggi, non terrorismo.

Intanto, altri anarchici, come Alfredo e Nicola, che hanno sparato alle gambe ad un industriale ingegnere nucleare, sono stati, loro sì, condannati per terrorismo. Nonostante la loro azione sia stata tutt’altro che “pluridirezionale” come reciterebbe lo stesso codice penale. Quella era la gamba, nessun altro si sarebbe fatto male. La gamba destra per l’esattezza. Lo Stato è dotato di una invidiabile chiarezza che a volte a noi manca. Esiste una gerarchia fra le merci: produrre un compressore ha un certo costo per il Capitale, un costo in costante calo parallelamente allo sviluppo tecnologico; produrre un Adinolfi, un Biagi, un D’Antona ha un consto economico e sociale infinitamente maggiore. Di più, colpire un uomo che ha dedicato la vita a studiare il modo per sfruttarci meglio, che ha cercato di riportare il nucleare in Italia, o piuttosto che ha brillato fra le stelle della repressione, significa questo sì “terrorizzarne cento”. Quindi lo Stato ti punisce in maniera differente. Poi quando vuole lo Stato fa pure finta di essere scemo e ti punisce con lo stesso articolo del codice penale che usa per le stragi di fascisti e islamisti (art. 280, attentato terroristico) – ma questa è un’altra storia, perché in questo caso lo fa per infangare la guerriglia.

Qui non si tratta di fare una apologia pomposa e cazzodurista della violenza, quanto però di osservare i fatti pubblici con uno spirito minimamente critico. Incredibilmente invece una sorta di black out neurologico ha spento ogni spirito di osservazione, anche a compagni che in passato non sprecavano occasione per puntare il dito e giudicare il modo con cui gli altri si facevano la galera. Chi dissente è stato semplicemente oscurato.

E’ il caso dell’articolo di Alfredo Cospito Su “etica”, “sabotaggio” e “terrorismo” uscito nel numero 2 di Croce Nera Anarchica nell’estate del 2015 e semplicemente ignorato dal movimento NO TAV, dal movimento anarchico, da tutti. Un articolo che tra l’altro è stato scritto da una cella nella sezione speciale per anarchici nel carcere di Ferrara. Non per una sorta di feticismo del prigioniero, ma giusto per chiarire che non è lo sfogo di rete di un cyber-bullo. Non c’è stata una sola persona, fosse solo per attaccarlo, che si è degnato di rispondere ai problemi che Alfredo poneva in questo articolo. Come minimo mi sembra intellettualmente disonesto, visto i temi affrontati e la radicalità delle critiche.

Alfredo scriveva:

Possiamo dire senza enfasi, che il “movimento” ha assestato la sua ennesima vittoria. Non solo è riuscito a far digerire una versione annacquata, inoffensiva e piagnucolosa del sabotaggio ma contemporaneamente ha messo all’indice della sua “etica” superiore qualunque azione diretta violenta che vada oltre il colpire un compressore, con una molotov. Hanno vinto anche i tribunali riuscendo ad imporre limiti oltre i quali i bravi ragazzi non devono andare, se non vogliono incorrere in qualcosa di più di una sonora sculacciata.

A dirla tutta i tribunali più che vinto hanno stravinto riuscendo con la terroristica prospettiva di anni e anni di galera a fare in modo che fossero gli stessi compagni con le loro dichiarazioni a mettere i paletti oltre cui non andare. Possiamo quindi dire, sempre senza enfasi, che il “movimento” ha retto cogliendo a pieno i limiti che il potere voleva imporre, trasformando l’incendio del compressore in spettacolo, mediazione, politica, in un pieno e totale recupero del sabotaggio. Tutto quello che va oltre questa visione democraticamente accettata, non violenta del sabotaggio si fà, agli occhi di gente e giudici, terrorismo. Nicola ed io, che abbiamo sparato ad un uomo non limitandoci a distruggere delle cose, in quest’ottica siamo terroristi. Gli anarchici no tav con le loro dichiarazioni hanno avvallato di fatto questa visione, dandogli valore confermandola.

Chi, armi in pugno colpisce le persone per l’“etica” superiore di una parte grossa del “movimento” è terrorista.

 

A proposito di terrorismo Alfredo ricorda:

Chiunque conosca un po’ di storia dell’anarchia, sa bene che a volte gli anarchici hanno praticato il terrorismo, colpendo nel mucchio di una classe sociale, quella borghese, qualche volta anche in maniera indiscriminata.

 

Qui siamo molto prima di un eventuale dibattito sull’antigiuridismo. Il problema non è la difesa tecnica, il dire o far dire all’avvocato che l’imputato non ha colpito le persone ma solo le cose. Ma l’imposizione di “coordinate etiche”, il dire “oltre non si va”. Il dire “nessuno deve andare oltre”.

Io non uso gli stessi toni di Alfredo ma di fronte ad una dichiarazione del tipo “le armi da guerra appartengono agli stati e ai loro emulatori”, cosa abbiamo se non una evidente presa di distanze, in tribunale per giunta, rispetto a tutta la storia della lotta armata? Dai partigiani alle Brigate Rosse, da Alfredo e Nicola fino al Kurdistan, da Gaetano Bresci e Nestor Machkno, fino ad arrivare alla mitica e sempre osannata spagna del ’36 dove gli operai in armi autogestivano Barcellona e la Colonna Durruti marciava su Saragozza con (troppi pochi) fucili, bombe a mano, cannoni e pezzi di artiglieria, e anche qualche bombardamento aereo. La storia dell’anarchismo, di più la storia del movimento operaio in generale è storia di guerra sociale, di sfruttati in armi contro i loro oppressori.

Sei mesi dopo l’uscita dell’ultimo numero di Croce Nera, l’articolo di Alfredo trovava una sorprendente conferma, questa volta sì nelle aule di tribunale, ma in senso inverso. Infatti la condanna di Graziano è risultata essere la più alta in assoluto, sia fra suoi tre coimputati che anche con i primi quattro, se si considera il rito abbreviato.

Anche questa una notizia passata quasi silente, racchiusa in una news da agenzia di stampa, senza un minimo di riflessione, senza che ci fosse un solo compagno rompi scatole che provasse a fare delle domande. Graziano infatti è stato l’unico imputato che non ha fatto dichiarazioni in aula. Possibile che non ci sia nessuno a domandarsi: in quale altro processo della storia dell’antiterrorismo chi rivendica in aula prende meno di chi non lo fa? Nessuno che provasse a dire…forse Cospito aveva ragione…forse.

E non si può nemmeno dire di voler aspettare i 90 giorni come un consumato principe del foro. Perché è evidente che se chi ha taciuto, al contrario di ogni precedente storico, ha preso di più di chi ha rivendicato, che qualcosa non torna lo si può dire sin da subito. Almeno, proprio il minimo sindacale, si sarebbe potuto esprimere solidarietà a Graziano, dichiarare con un po’ di sana retorica che “non ci divideranno”, che si rigetta al mittente il tentativo di far passare Graziano come il “cattivo” e gli altri come “buoni”. Nemmeno questo si è scritto. Il silenzio tombale! Su Graziano, sull’articolo di Alfredo, in precedenza sulle posizioni di Alessio. Persone molto diverse tra di loro, come sono diversi dalle posizioni di chi scrive queste note, ma che in comune hanno il difetto di non essere “fedeli alla linea” del soviet di Venaus.

E passati questi famosi 90 giorni delle motivazioni sia chiaro sin da ora che non ci si potrà aggrappare magari a qualche nota di paraculismo giudiziario dell’estensore della sentenza che per non scrivere di aver fatto lo sconto a chi ha rivendicato magari citerà i precedenti penali, l’atteggiamento in aula e in carcere, ecc. Perché fino ad ora le stesse pene sono state date a tutti (quarantenni e ventenni, con precedenti diversi, che hanno partecipato e che non hanno partecipato a disordini in carcere), sarebbe solo una scusa del Giudice Estensore, non cerchiamo alibi.

Graziano ha preso di più non per ragioni giudiziarie (ad esempio la non ammissione di colpevolezza), ma politiche (un brigatista mica prende lo sconto quando rivendica!). Quali sono? Il fatto di non aver detto che lui le armi da guerra non le userebbe mai? Che lui non si sarebbe mai sognato di colpire delle persone? Non pretendiamo le risposte, ma almeno le domande qualcuno vuole farsele?

E’ evidente che qualcosa che non va c’è. Speriamo qualcuno o qualcuna abbia il coraggio di rifletterci su.

 

Friederich Niciuno