corvo

Ogniqualvolta mi trovo ad affrontare riflessioni, a cercare di risolvere problemi, a confrontarmi con la realtà dei fatti, mi si para sempre di fronte quello che ritengo sia uno dei mali più subdoli che possa colpire l’essere umano, inteso come animale sociale e culturale. L’annullamento dell’Io. O meglio, la liquefazione dell’Io all’interno di un Noi anonimo e dai confini melliflui e indistinti. Lungi da me fare della psicanalisi, non solo non ne possiedo gli strumenti, ma non ritengo sia necessario farlo. Per descrivere questo fenomeno, basta l’osservazione attenta di una realtà che ci sta sotto gli occhi per la gran parte del tempo che impieghiamo confrontandoci con gli altri, dal rapporto di coppia fino a questioni più complesse e socialmente rilevanti. 
Il Noi è senza dubbio affascinante, ma è un concetto talmente pervasivo e pericoloso da fare paura. Viene usato per descrivere gruppi umani che decidono “spontaneamente” di unirsi e trarre forza vicendevolmente, per sostenere azioni e battaglie condivisibili o per sottolineare l’amore incondizionato tra due o più persone. Se ci si ferma all’epidermide della questione, il Noi risulta virtualmente inattaccabile, è un gesto d’amore generoso che fa si che l’Io si fonda placidamente in questo tutto, traendone in cambio forza e solidarietà reciproca. Il Noi è forte, l’Io da solo è piccolo e debole. Quantitativamente ineccepibile.
Ma.
C’è sempre un ma.
Il Noi è totalitario, il Noi richiede in maniera ontologica l’annullamento dell’Io. Tante singolarità che rinunciano alle loro peculiarità, alle loro libertà individuali e sociali per conformarsi in una massa amorfa, una coppia, una famiglia, un’associazione, un partito. Un luogo dove “si rema tutti dalla stessa parte”, dove il dissenso non è consentito,  o meglio, può essere praticato all’interno del Noi, ma poi verso l’esterno si agisce tutti insieme verso un fine comune, senza esitazioni, senza dubbi. I dubbi fanno parte dell’Io, le certezze del Noi. 
Come può funzionare un rapporto a due, se si rinuncia a sé stessi per creare questa specie di essere amorfo che è il Noi? Che poi nella quasi totalità dei casi, diventa un rapporto non più paritario, in quanto uno dei due sarà sempre più forte dell’altro, con idee più chiare, con capacità di controllo e di indirizzamento più subdole. In questo caso quindi, il Noi addirittura non esiste; siamo di fronte a un Io più forte che esercita potere sull’Io più debole. Questo è tanto più vero con il crescere dei soggetti coinvolti in un rapporto. Pensiamo ad un partito o addirittura alla stessa società statale. Ci verrà in mente una sorta di blob di persone senza contorno definito che si muove pecorescamente nella direzione indicata da qualche Io più forte che sta gerarchicamente sopra di loro. Alcune individualità più marcate di altre magari dissentiranno, rimarranno portatrici di un pensiero formalmente indipendente, ma si muoveranno comunque dalla stessa parte, perché l’urto di una tale massa di non individui genererà comunque una sorta di piccola gravità alla quale si rimarrà agganciati.
E’ una questione culturale, l’essere umano – lo dicevo prima – è animale sociale e culturale. Ed allora è giusto mettere in evidenza queste due peculiarità imprescindibili. L’ascetismo è per pochi; è una pratica estrema, a volte pure apprezzabile, ma che quasi nessuno riesce davvero a praticare. Abbiamo bisogno di socialità. Ma tutto questo senza annullarci. Con identiche motivazioni, abbiamo bisogno di confrontarci culturalmente; e quando dico culturalmente, non voglio certo dire che bisogna fare a gara per ostentare nozioni e saperi, tutt’altro. Abbiamo bisogno che ognuno di noi, ogni singolo Io metta a disposizione i propri pensieri e le proprie idee, abbia bisogno di stimoli e confronti con ciò che è diverso, ognuno ha bisogno di fare le proprie lotte ed il proprio percorso. E se su questo percorso si troveranno altri individui che ne vogliano condividere una parte, tanto meglio. Ma, per la salvaguardia della diversità e del pensiero critico, è necessario non fondersi in un Noi livellante verso il basso. Parrà una questione semantica, ma non è così. Noi non è uguale a Io+Io+Io+Io…. Noi è un calderone che annichilisce l’Io, lo semplifica fini ai minimi termini perché ha la necessità di trovare un minimo comune denominatore unificante, fa perdere i confini e il limite dell’individuo. E mi pare di poter dire che l’unico modo per definire una persona, anche fisicamente, sia tracciarne il proprio limite. Ognuno di noi ha un limite che lo definisce, un limite mobile, in continua evoluzione, mai statico. Ma esiste. L’illimitato non esiste, sarebbe l’ammissione dell’esistenza di Dio. Se questo limite viene meno, perché sento la necessità di fondermi in un insieme amorfo, perdo le peculiarità di individuo e divento massa. 
Per questo motivo io mi sento incrollabilmente individualista. Perché sono conscio dei miei limiti e questo mi rende definito e voglioso di socializzare culturalmente con altre persone consapevoli dei loro, senza sentire la necessità di rinunciare a ciò che mi caratterizza. Io le mie idee le porto avanti, le difendo, a volte arrivo perfino a cambiarle, ma non rinuncio ad averle in nome di una forza collettiva che in realtà è debolezza congenita ed asservita. Un’idea non è forte quando è condivisa acriticamente, ma quando esce rafforzata e vittoriosa da una battaglia con altre idee. Questo può succedere solo in presenza di tanti Io pensanti, non certo di un Noi degradante. Viva i tanti Io quindi, e morte al Noi.

Luca Filisetti