Progresso e illegalità

veg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

tratto da: https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/03/07/progresso-e-tecnologia/

Il progresso ha portato l’umanità a vette mai raggiunte di conoscenza e capacità, per contro gettando le persone in abissi di miseria prima ignoti. Infatti, se come umanità siamo andati sulla Luna e siamo in grado di creare la vita in provetta, come persone non solo non siamo in alcun modo padroni della nostra esistenza, ma non siamo neanche in grado di comprendere appieno i meccanismi che regolano il funzionamento della società nella quale viviamo, incapaci di influenzarne l’andamento e quindi costretti a subirne passivamente ritmi e regole. Chi, infatti, potrebbe affermare di conoscere e comprendere tutti i retroscena dell’economia e della politica nazionale e mondiale ed il modo in cui essi si riflettono sulle nostre vite? Ed anche ammettendo di conoscere e comprendere appieno questi meccanismi, quale influenza possiamo avere in quanto individui su di essi?
Attraverso il progresso la società tecnologica procede verso la propria naturale evoluzione, ovvero verso un mondo sempre più efficiente.
È facile cadere nell’errore di identificare la tecnologia con i congegni sempre più evoluti che fanno via via la loro comparsa, come ad esempio il telefonino di ultima generazione o un computer particolarmente potente, ma questi sono soltanto manifestazioni della tecnologia. La tecnologia è un insieme di interazioni tra le diverse branche della scienza e tra le diverse istituzioni: la tecnologia è un vero e proprio ordinamento sociale.
Per progredire rapidamente la tecnologia ha bisogno di efficienza, ad esempio nello scambio di informazioni o nella raccolta di dati, ma al contempo man mano che progredisce essa scopre metodi e strumenti sempre nuovi per ottimizzare le energie. Dunque il progresso tecnologico si nutre e genera efficienza.
Qual è il ruolo dell’essere umano in una società ispirata all’efficienza? Una macchina per funzionare al meglio non ha bisogno di teste pensanti ma di ingranaggi docili. Il cittadino ideale di una simile società è una persona prevedibile, abitudinaria, senza distrazioni, pienamente calata nella propria routine, capace di soffocare le proprie aspirazioni in nome del bene comune. Sappiamo però che l’essere umano non può facilmente essere costretto entro questi ristretti limiti. Esistono delle forze, proprie di un essere umano, che lo spingono ad agire in maniera non prevedibile e non razionale. Queste forze sono i sentimenti, le emozioni, i desideri e le convinzioni, siano esse etiche, religiose o politiche: la rabbia, la paura, l’odio, l’amore, la tristezza, la gioia, ognuno per un motivo diverso possono influenzare negativamente la nostra concentrazione e la nostra dedizione nei confronti del ruolo assegnatoci nella società.
Dunque per far sì che l’essere umano diventi finalmente il perfetto ingranaggio di una macchina ben oliata i sentimenti, le emozioni e le convinzioni dovranno pian piano sbiadire fino a scomparire. I mezzi per raggiungere questo obiettivo non mancano e molti trovano già largo impiego, come la pubblicità, l’educazione, la propaganda, gli psicofarmaci o le droghe. Tuttavia trasformare gli esseri umani da animali sociali in atomi disgregati non è semplice. Prima è stata indebolita la fiducia in sé stessi e negli altri, dipingendo il mondo come un luogo minaccioso nel quale sentirsi sempre in pericolo, poi sono stati introdotti dei surrogati, qualcosa che sostituisse il rapporto con le altre persone e con ciò che ci circonda. E per chi nonostante tutto sentisse montare dentro l’ansia, la rabbia, la paura, lo stress, la noia o la disperazione per una vita piatta e priva di attrattiva, ci sono farmaci e droghe in abbondanza.
Una caratteristica umana a cui in particolare è stata dichiarata una guerra feroce è l’egoismo. Per funzionare bene come ingranaggio infatti una persona deve desiderare il bene comune, da anteporre a qualsiasi interesse personale. È necessario sacrificare i propri desideri e le proprie aspirazioni al bene superiore della società, in modo che questa possa prosperare. Essere definiti egoisti è infatti ritenuto generalmente offensivo e difficilmente le persone ammettono anche davanti a sé stesse di desiderare qualcosa solo per sé stesse.
Uno dei punti principali dell’efficienza è che essa richiede ordine, che viene imposto attraverso regole e leggi. Ma che valore possono avere regole e leggi se non vengono rispettate? È quindi indispensabile per la società tecnologica assicurarsi che le leggi che essa emana vengano osservate. Dobbiamo perciò aspettarci che progredendo essa diminuisca gradualmente la tolleranza nei confronti di ogni forma di illegalità e di devianza, mettendo in campo strumenti di controllo e repressione sempre più efficaci. Tuttavia questi strumenti per poter essere impiegati hanno bisogno di essere accettati dalla gente, ed a questo riguardo si sta opportunamente diffondendo una vera e propria ideologia della legalità, che ha trasformato le persone in onesti cittadini, forcaioli e spietati ne condannare qualunque tipo di reato.
Del resto in un mondo percepito come ostile e pericoloso le leggi, le regole e le restrizioni cessano di essere viste come limitazioni alla propria libertà e diventano sicure recinzioni all’interno delle quali sentirsi protetti.
Se dunque la tecnologia è anche e soprattutto un ordinamento sociale basato sull’ideologia dell’efficienza, e quindi dell’ordine e della legalità, potrebbe essere utile sviluppare e incentivare la contro-ideologia dell’illegalità. Da un lato supportare i contesti in cui le persone infrangono la legge, dall’altro contrastare le tesi legalitarie e cittadiniste che sempre più vanno prendendo piede, giustificando il crimine davanti alla gente, dimostrando che legalità non è sinonimo di giustizia ma negazione di libertà, con l’obiettivo di dissipare l’alone di tabù e di rifiuto che nell’epoca del lagalitarismo circonda qualsiasi attività che vada contro la legge.
Gettare, nei limiti del possibile, i semi del caos e dell’egoismo laddove dovrebbero regnare ordine ed abnegazione nei confronti del bene collettivo.
Infatti l’illegalità, e nello specifico quel tipo di illegalità che esula dall’ambito militante o politico, quel tipo di illegalità che scaturisce da un desiderio egoista di soddisfare le proprie necessità ed i propri capricci materiali, prima ancora di rappresentare una sfida all’ordine costituito ed alle sue regole è una messa in discussione della supremazia del bene collettivo sugli interessi personali.
Chi delinque è incompatibile con una società tesa all’efficienza proprio perché il criminale mette il proprio interesse al di sopra di quello della società.
Inoltre infrangere la legge taglia molti dei fili che normalmente ci legano: istruiti fin da piccoli a determinati schemi di comportamento, spesso incapaci di infrangerli più per la forza d’inerzia dell’abitudine e per la profondità con cui essi sono radicati in noi che per la reale paura delle ritorsioni legali, vederli cadere potrebbe aprirci gli occhi sulle infinite possibilità di interazione con la realtà che ci circonda.
Questo ovviamente non vuol dire che tutto ciò che è illegale sia per questo condivisibile o anche solo accettabile, anche perché nell’illegalità possono comunque replicarsi schemi autoritari o di dominio non dissimili da quelli che caratterizzano questa società, tuttavia l’illegalità, rappresentando un margine al di fuori del controllo totalitario che la società tecnologica aspira ad esercitare su ogni individuo ed ogni sua azione come su ogni risorsa, specialmente economica, è per essa una spina nel fianco, anche perché rappresenta una riserva di valori che la società tecnologica vorrebbe annientare, come il coraggio, la refrattarietà alla disciplina, la capacità di provvedere alle proprie necessità e via dicendo.
Non si abbatterà la società tecnologica praticando il crimine o spingendo le persone a delinquere, ma è certo uno strumento che crea smagliature nelle reti dell’ordine e del totalitarismo tecnologico, utile per sottrarre terreno all’ideologia dell’efficienza che si sta facendo strada nelle persone e nella società in generale lasciando dentro di noi solo aridi deserti di diritti e doveri.

Anonimo, Progresso e illegalità, in «Croce Nera Anarchica», n. 0, aprile 2014.

LO STAGNO MORTO E L’ACQUA FRESCA di Michele Fabiani

benzina

 

Sono convinto da tempo che il cosiddetto “movimento “, definizione di cui ho sempre poco compreso il significato, sia ridotto ormai ad uno stagno morto. Penso che non sarà dal “mondo dei compagni” politicizzati che potrà mai scaturire quel terremoto auspicabile per impensierire seriamente il sonno dei padroni.

Molti pesci nello stagno sono già stecchiti, altri sono emigrati o si sono rintanati. I più attivi passano il tempo a “beccarsi” a vicenda, puntualizzando, rispondendo e criticando gli altri. Il dibattito ruota su tematiche che capiscono solo gli addetti ai lavori. Sociale/anti-sociale; anonimato/rivendicazione; rivoluzione/rivolta, quando non trascende alla critica di quello che ci mangiamo a cena (vegan contro tutti) o al nostro modo di scrivere (i/e, x e altri neologismi antisessisti); ecc.

Quella che manca è una spinta propulsiva e distruttiva (per il nemico). Non sono un nemico della teoria: tutt’altro! Per certi aspetti sono un vero secchione (non uso il termine nerd perché poco internettaro e grande amante del profumo dei libri), un pervertito del dibattito, dell’analisi, dello studio. Siccome sono anarchico, penso però che la teoria debba essere sembra appiccicata alla pratica. Non nel senso che sono due binari paralleli, e nemmeno in senso di “danza” marxiana prassi-teoria-prassi; ma nel senso che Teoria/Pratica devono essere già unite.

Il dibattito però, e quindi anche l’azione (che è appunto la stessa cosa, oppure è accademia), dovrebbe occuparsi di cose, per così dire, interessanti – mi si perdonerà se sono un po’ antipatico.

Nell’anarchismo d’azione non c’è stata alcuna seria analisi su quella che viene generalmente considerata una delle più grandi crisi della storia del capitalismo. E se questo può sembrare troppo economicista, non c’è stato nemmeno alcuno studio degno di questo nome su quello che da sempre è il campo privilegiato dagli anarchici: la natura dello Stato e i mutamenti fondamentali che questa sta maturando.

E siccome pensiero e azione dovrebbero essere la stessa cosa per gli anarchici, anche l’azione risente di queste deficienze. Perché mentre il capitale era claudicante, noi non gli abbiamo fatto lo sgambetto; e mentre lo Stato si sta riformando noi non sappiamo individuare i gangli principali della sua nuova macchina, e annientarli.

 

Lo stato c’è. O ci fa?

Mentre i soliti giovani autonomi, ormai ottuagenari, da 40 anni ci scassano i coglioni sull’estinzione dello Stato, sull’Impero e su altre amenità, lo Stato ben lungi a morire è vivo e vegeto, anzi fa proprio quello che fanno gli organismi in buona salute: si rinnova e con un metabolismo di tutto rispetto.

Non che non ci sia una crisi delle istituzioni costituite, ma questa crisi viene gestista dall’organismo statale come una malattia della crescita, da curare e da cui uscire più forte. O almeno ci prova.

Lo Stato è anzitutto potere. Potere politico ed economico. Chi ha provato a rovesciare il secondo, senza distruggere il primo, ha finito per rinnovarli entrambi. Il potere è ovunque, nella famiglia e nelle assemblee, nei rapporti affettivi, ecc. E ovunque si forma del potere si rinnova lo Stato.

Lo Stato è potere, è vero. Ma non è semplice potere: lo Stato è potere organizzato. Lo Stato, quindi, è un organismo.

Mi hanno sempre fatto incazzare i leaderini di “movimento” (il Movimento, questa entità fantasmagorica! A differenza dello Stato!) che si mettevano a fare le pulci a chi usava la slogan “colpire il cuore dello Stato”; sostenendo che lo Stato è “diffuso”, è “ovunque” e non ha un cuore. Lo Stato, in quanto organismo vivente, ha un cuore, una testa, degli artigli e dei denti ben affilati. Lo Stato è diffuso ovunque, certo, anche nelle nostre case, ma è diffuso ovunque in una certa maniera, ha una organizzazione, è una macchina vivente. In quanto vivente ha dei punti deboli che sono mortali, ed altri che possono fare molto male. Altrimenti dire che lo Stato è diffuso diventa un pretesto per fare un po’ come ci pare, sprecando le nostre potenzialità con anni di galera (quando si tratta di compagni dignitosi) oppure colpire dove si rischia meno.

 

Il nuovo super-Stato europeo

Come abbiamo detto lo Stato vive un momento di forte trasformazione. Questa trasformazione delle volte produce febbri e momenti di crisi, quasi tutte generate dal suo interno (i rivoluzionari al momento non sembrano in grado di impensierirlo).

Da questa parte del mondo, stanno sperimentando la costituzione di un nuovo super-Stato europeo. La costruzione di questo mostro non è lineare e segna momenti di discontinuità con le varie nazioni che si scazzano tra di loro sui propri interessi contraddittori. L’ipotesi generale del progetto sembra però delineata.

Lo Stato, come sempre, è il cane da guardia dei padroni. In termini estremamente semplicistici l’idea sembra essere quella di allargare la recinzione a difesa della ville dei ricconi e mettere più cani e sempre più incattiviti a loro difesa (che poi a volte si mordono tra di loro o pisciano sull’albero sbagliato, ma sono cose che capitano).

L’aspetto più affascinante del progetto sembra essere la sua schiettezza. Vengono a saltare quei meccanismi scenici che reggevano il teatrino politico e che si sono così accuratamente sviluppati negli ultimi due secoli: tenderanno a perdere di importanza i parlamenti, i partiti, i sindacati. Il rapporto di forza sembra abbastanza semplice: qui ci sono i nostri interessi, le banche, la moneta, le industrie, le multinazionali, insomma qui c’è il nostro “orto”; e questi sono i “cani”, questi sono i fucili con cui accoglieremo gli intrusi. I migranti li hanno già visti, sia i cani che i fucili.

Allora gli anarchici dovrebbero dibattere su questo, invece che su tante amenità: come si arriva al cuore della nuova macchina statale? e più vicino casa dove sono i nodi principali della rete? chi la sta tessendo? cosa gli facciamo?

 

Sociale o anti-sociale? Una questione storica

La gran parte dei pesci nello stagno invece che affrontare queste ed altre questioni di sostanza, per andare a mordere la carne viva dell’organismo statale, si impantano nelle solite diatribe. Sopra ne ho citate alcune, l’unica di cui vale la pena parlare è la dicotomia fra anarchismo sociale e anarchismo anti-sociale. Un dualismo che attraversa il nostro movimento fin dalle sue origini.

Spesso semplicemente ci si schiera con uno dei due “partiti”. Qualcuno cambia idea, passando da una sponda all’altra dello stagno, ma è raro che la contraddizione venga risolta positivamente. Il caso più importante nella storia dell’anarchismo forse è rappresentato dagli anarchici italo-americani che si raccoglievano intorno a Luigi Galleani, i quali erano anti-organizzatori nella struttura e comunisti o comunque classisti nella lettura della società. Dei compagni e delle compagne che hanno fatto molto male al capitalismo americano proprio negli anni in cui emergeva come potenza mondiale.

Io credo che la dicotomia fra sociale e anti-sociale non vada affrontata come una questione di identità. Che non valga ora e per sempre. Penso che l’unico modo per superare la contraddizione sia affrontandola storicamente: ci sono momenti in cui si deve essere sociali e altri in cui non si può che essere anti-sociali.

Quando ci sarà l’insurrezione, nel senso proprio del termine di milioni di persone armate per strada, sarà necessario essere pronti all’intervento sociale ed essere organizzati per combattere, per difenderci, per prevenire le derive autoritarie dei moti rivoluzionari. In quel caso dire “io la mia rivoluzione la faccio ogni giorno” diventerà solo una masturbazione, perché sarà evidente che quello che sta accadendo è qualcosa di qualitativamente diverso.

Viceversa, in un periodo contro-rivoluzionario (come quello odierno) non possiamo che essere anti-sociali. Perché l’intervento sociale diventa una foglia di fico che nasconde solo il nostro nudo attendismo. Diventa la scusa per non fare un cazzo di niente. Altro che avanguardismo, qui siamo alla retroguardia! La “gente” si modera sempre più e i rivoluzionari adeguano sempre più in basso i proprio sogni di rivolta. La degenerazione di tanti movimenti (no global, no tav, lotta per la casa, ecc.) sta lì ad indicarlo.

In sintesi, in qualunque momento, anche nel più buio, un singolo individuo o una piccolissima minoranza di affini può rappresentare una spina nel fianco dietro le linee nemiche. Può anche fare molto male e non essere solo uno sfogo esistenziale. Però può anche rappresentare, da un punto di vista esistenziale, un momento di formazione. Questa non va messa nel cassetto personale, ma può diventare un fatto storico se in un periodo più favorevole la si usa per far avanzare un movimento che è diventato di massa (senza però aspettarla la massa, come fosse il Messia).

 

Storia e Volontà

C’è dunque una questione ancora più teorica da affrontare. Perché fare dibattito è importante, purché si dibatta di temi intelligenti e interessanti. Capire quanto è forte lo Spirito della Storia e quanto la nostra Volontà.

Si collega perfettamente a quanto detto nel paragrafo precedente, anche se un gradino più in astratto.

Io ritengo che le grandi questioni storiche siano piuttosto indipendenti dalla nostra volontà di singoli individui. C’entra la ricchezza, la povertà, le guerre. Non in un senso meccanicistico: talvolta la crisi genera reazione e la guerra genera nazionalismo. Ma comunque l’emergere o meno di un periodo rivoluzionario è un qualcosa in larghissima parte indipendente da noi.  Al contrario, se un gruppo di sfruttati questa sera esce e fa un’azione violenta contro i loro sfruttatori, questo rappresenta (quasi) un puro atto di Volontà. A meno che non si voglia fare del becero psicologismo: tipo la figura del padre, l’insoddisfazione sessuale, o altre stronzate delle pseudo-scienze che la borghesia stressata si è inventata.

Questa questione, apparentemente filosofica, assume una sua importanza se la si usa per affrontare ad esempio la frattura fra anarchismo sociale e anarchismo anti-sociale. Cioè se la si vuole affrontare con serietà e non come polemicuccia fra pesci nello stagno morto.

Qual è l’arcano? Trovare la formula soggettiva con cui un gruppo di rivoluzionari, legati da una qualche affinità, possano agire senza attendismi nelle condizioni date. Questa formula non vale ora e per sempre, ma deve essere capace di rigenerarsi, magari anche auto-archiviarsi, col divenire della realtà

 

Fuori dallo stagno, verso la fonte di acqua fresca

Non credo che tutto il movimento potrà uscire dallo stagno morto. I pesci, dopo un po’ di tempo nell’acquario non sopravvivono se rimessi in libertà. Non è detto che nemmeno il sottoscritto ci riesca.

Quello che è certo è che la ricerca della fonte di acqua fresca sta un’altra parte. Sta nella sperimentazione di nuove prospettive di azione. Sta nello studio dello Stato e nel colpirlo nei nodi principali della sua rigenerazione. Sta nello studiare le crisi del Capitale per aggravarle.

Chi vuole rimanere nello stagno morto, va lasciato marcire. Fuori c’è tutto un mondo da sovvertire.

 

[GRECIA] TESTO DELLA COSPIRAZIONE DELLE CELLULE DI FUOCO – CELLULA DI GUERRIGLIA URBANA

 

fai fri

IL PIANO

 

Per lo “spazio” anarchico.

 

1) La chiamata.

Ogni chiamata all’azione, come il dicembre nero, è un intento di coordinare le nostre forze. E’ uno sforzo per interrompere il flusso normale della realtà. E’ un piano per invaderla con le nostre proprie caratteristiche e sovvertirla.

E’ una sonda del nostro desiderio per l’anarchia, qui e ora, e della nostra capacità di far fronte alle forze dell’ordine.

E’ un’occasione perchè gli individui, si conoscano o meno, si riuniscano nel terreno dell’azione e cerchino di attaccare i palazzi del potere, organizzata e all’improvviso.

E’ un segnale internazionale di complicità per tutt* i/le compagn*, dentro e fuori le mura, che rafforza la nostra solidarietà.

E’ un accordo anarchico che conferma che ci sono persone in tutti gli angoli della terra che senza parlare la stessa lingua, coordinano il battito del proprio cuore, allineano la vista verso il nemico, stringono i pugni, usano un cappuccio e realizzano attacchi contro il motore sociale dell’autorità, le sue strutture e i suoi affiliati. La chiamata al “dicembre nero” è stato questo momento.

E adesso? Tornare alla normalità?

Ogni chiamata all’azione può essere solo una fotografia della rivolta riflessa su sè stessa, aspettando il prossimo anniversario, la prossima opportunità, la prossima “chiamata” o può essere un incontro con la storia.

Per tutt* quell* per cui l’anarchia significa “incendio tra me e i ponti della responsabilità e la pace sociale”, l’azione anarchica non ha nessuna data d’inizio nè di fine.

Pertanto la sfida del “dicembre nero” apre in realtà una sfida più grande. Una sfida per quell* il cui calendario di attacco è rimasto inchiodato alla costante dell’oggi, qui e ora.

La sfida di creare un polo anarchico autonomo per l’organizzazione della guerriglia urbana anarchica.

 

2) La memoria non è spazzatura.

Il dicembre nero è stata una convocazione aperta a tutto il mondo, però si è registrato principalmente come un punto di riferimento per gli/le insort*, gli/le anarco-nichilist*, i/le giovani compagn*, gli/le indecis*, i “facinorosi”, contro lo stato (e in parte contro l’inattività del campo anarchico, contro la sua trasformazione pacifista)**

Non ci riferiamo tanto alla chiamata per il dicembre nero.

Ogni chiamata all’azione è un’istanza di una storia più grande che l’ha preceduta e talvolta l’accelerazione dello scenario che la segue.

Non ci sarebbe dicembre nero se non ci fosse un novembre, ottobre, settembre. Non ci sarebbe guerriglia urbana anarchica se non ci fossero tafferugli ai cortei, barricate e molotov, non ci sarebbe stata nessuna rivolta nel 2008 se non ci fossero stati incendiar* e squadre d’attacco nei 3 anni precedenti. Non ci sarà futuro se non c’è memoria.

Attraverso il tempo, l’anarchia dà alla luce – internamente – al proprio superamento anarchico.

Si dà la luce a tendenze con gli estremi più affiliati (individualismo anarchico, nichilismo anarchico, insurrezionalismo anarchico) che optano per muoversi ai limiti del movimento, dello “spazio” rivoluzionario.

A volte queste tendenze agiscono come detonatore dell’anarchia, sollevando la lancia dell’attacco anarchico e a volte vengono fagocitate riempitesi di presunzione e arroganza.

In Grecia, l’apparizione di tendenze “eretiche” all’interno dello “spazio” anarchico è tanto antica quanto lo spazio in sé.

Tendenze che, nel bene si ridussero e si convertirono in circoli di intellettual* artistic* (per esempio i/le situazionisti) o furono assimilate e integrate nello “spazio” ufficiale. Tutte loro tuttavia, hanno lasciato la loro traccia nella storia che non finirà mai.

 

Nel 2005 un circolo di persone apre al pubblico in modo molto visibile (manifesti, riviste, partecipazioni ad assemblee) la sfida di potenziare la violenza anarchica, con la parola d’ordine “pensa rivoluzionario – agisci offensivo”. Una tendenza insurrezionale che mira non solo allo stato e autorità se non anche alla complicità dell’apatia sociale apparsa ora più organizzata e con una presenza pubblica costante. Nel frattempo la questione della negazione del lavoro si mostra in pubblico, con attacchi armati alle banche, come suo filo affilato.

Di fatto, la tematica parziale del rifiuto del lavoro, strizzando gli occhi è in realtà il prologo delle discussioni sulla diffusione della guerriglia urbana anarchica.

Fuori da questa mobilità diffondibile (incendi dolosi, rapine, attacchi comandati, assemblee come il coordinamento d’azione) fu il gennaio del 2008 quando nacque la C.C.F.

La C.C.F. appare come l’espressione organizzata di una tendenza anarchica eretica con un chiaro orientamento verso la lotta armata e alle relazioni con l’individualismo anarchico, al nichilismo, la rivoluzione della vita quotidiana e la critica al complesso stato-società.

Ovviamente, non fu questa tendenza che diede origine all’insurrezione del dicembre 2008.

Una rivolta non può essere appropriata da nessuno né tiene diritti di autore.

Però fu soprattutto la tendenza che ha avuto i riflessi per accelerare alcuni degli eventi più conflittuali che si produssero nel dicembre 2008, poiché le piccole strutture basilari stavano già operando con attacchi coordinati regolari.

 

3) Aggiornandosi con il presente.

 

Le prime detenzioni per CCF nel settembre del 2009 (caso Halandri) crearono una tempesta dei media.

La maggior parte delle tendenze eretiche (anarco-nichiliste, anarco-individualiste, antisociali ecc…) si piegarono per il panico della repressione infiltratasi nella sicurezza del movimento anarchico ufficiale, e le belle parole sulla “rivoluzione o morte” finirono come un cadavere in putrefazione, con l’aspetto del tradimento.

Alcuni compagni furono indistruttibili e volevano continuare quel che si era iniziato.

Però riguardo tutto questo, molto s’è detto e molto s’è scritto.

Ad ora, una gran parte del movimento anarchico sta vivendo con l’impronta della sconfitta, con lo strumento della repressione, con l’opportunità persa di una sollevazione che non portò a nulla in questi tempi di crisi, isolamento ed egemonie informali.

Tuttavia la parola d’ordine che si è diffusa non può stabilirsi e certamente nulla si perde per sempre.

Negli ultimi due anni, una nuova tendenza anarchica sta facendo la sua apparizione dai resti del passato, seguendo il proprio corso.

Una tendenza che non si è creata tanto per caratteristiche politiche reciproche, fino al desiderio reciproco di qualcos’altro di differente di quello che già esiste nel movimento anarchico in Grecia. Una tendenza che sembra più omogenea di quel che realmente è dovuto a quelli che la criticano. In realtà si tratta di un’ondata di persone che comprende dai compagni coscienti fino alle persone che semplicemente odiano la polizia e vogliono eruttare.

 

  1. La collisione tra vecchio e nuovo

 

Ogni nascita è violenta. Ogni nuovo fronte che nasce sta mettendo in dubbio e scontrandosi con il ventre dal quale proviene, tentando di recidere il cordone ombelicale. Attraverso la natura temporanea, tutte le eresie che nascono all’interno del movimento anarchico hanno diretto la propria critica incandescente contro le vecchie strutture. Per quanto riguarda il senato del movimento anarchico, se non prende nel nuovo per progettare nell’infallibilità della loro irriducibilità, alla fine lo combatteranno con la paura senile del cambiamento. Specialmente oggi, sembra che la comunicazione fra vecchio e nuovo sia persa per sempre.  Le ragioni sono molteplici, ma la storia non aspetta la nostra introversione. Ciò che è urgente è una nuova idea, un piano per la continuazione della lotta. Ogni piccolo nuovo fronte anarchico si trova ad affermare ciò che esso odia nel movimento anarchico “ufficiale”. La critica contro l’immobilità del movimento soppianta spesso la critica alla tirannia dell’autorità. Ora pensiamo che la situazione interna del movimento anarchico si sia più che mai polarizzata. E’ per questo che è il momento per il passo successivo. La nuova tendenza anarchica può abolire l’introversione, autodeterminarsi e creare il suo proprio movimento anarchico autonomo.

 

La memoria è una componente fondamentale di questo sforzo. Ricordiamo le nostre esperienze passate, non per imitarle, ma per superarle. Il fatto che il nuovo fronte anarchico stia soffrendo la carenza di organizzazione nell’azione e nei momenti assembleari, perché pensano che essa sia una caratteristica della burocrazia del movimento anarchico ufficiale, è come se gliela stessero cedendo.

 

L’organizzazione, l’assemblea, l’agire politico non hanno diritto d’autore. Sono mezzi di lotta che vengono determinati attraverso le persone politiche che vi partecipano… La massima e l’atteggiamento considerati non conformisti del tipo “non mi interessa dei procedimenti, faccio quello che voglio…” è un timore e una conservazione perversa di fronte alla puntualità e alla responsabilità di cui un anarchico necessita per partecipare alla guerra della guerriglia urbana. Uno strumento non ha connotati positivi o negativi, ma al contrario tale connotazione si determina a seconda dell’uso che di tale strumento viene fatto. Un’assemblea politica è burocratica quando le persona che vi partecipano sono burocrati. Senza dubbio un’assemblea può essere un meccanismo di formazione, di coordinazione e di propulsione per l’analisi, un mezzo di sviluppo personale e collettivo. Creiamo ora i nostri propri meccanismi politici, senza burocrazia, le nostre proprie assemblee senza pettegolezzi, le nostre proprie organizzazioni senza ranghi… Conserviamo le nostre proprie infrastrutture per la rivolta armata contro il dominio dell’autorità.

 

  1. I 5 punti per una tendenza anarchica autonoma e offensiva.

 

L’anarco-nichilismo, l’anarco-individualismo e, in generale, le eresie anarchiche più offensive, non sono “incidenti” nella storia dell’anarchia, ma al contrario ne sono la parte più stimolante. Queste tendenze possono adesso formare un movimento politico autonomo.

 

Un movimento che non cerca la completa unità di vedute nella verità del vangelo teorico e negli statuti della chiarezza ideologica. Un movimento che non ricatti per ottenere la totale condivisione dei suoi punti di vista, ma che riconosce l’affinità politica dei gruppi che partecipano e si incontrano in cinque caratteristiche basilari.

 

Prima di tutto siamo anarchici, indipendentemente dalla nostra particolare denominazione (nichilisti, insurrezionalisti, individualisti, etc.). Come anarchici non rifiutiamo di riconoscere soltanto lo Stato e l’autorità, ma neanche alcun comitato centrale della “rivoluzione”, alcun esperto ideologo, né alcuna relazione gerarchica al nostro interno. Ci organizziamo su base informale e nel coordinamento di gruppi ed individui con affinità politica.

 

In secondo luogo, la polemica contro lo Stato e l’autorità non tralascia la complicità sociale del silenzio, dell’apatia e della sottomissione. Attacchiamo con azioni contro lo Stato, i suoi rappresentanti e le sue strutture, ma allo stesso tempo vogliamo infrangere le relazioni sociali che li rendono accettabili e che a volte riproducono l’autorità nella vita quotidiana.

 

In terzo luogo, appoggiamo la Federazione Anarchica Internazionale. Desideriamo che le nostre ostilità all’interno degli Stati nei quali viviamo si connettano a livello internazionale come momenti di una guerra anarchica globale. Stiamo scambiando idee, stiamo condividendo esperienze, stiamo creando relazioni di solidarietà e vogliamo costruire una federazione anarchica internazionale in cui i frammenti di una esplosione a Santiago del Cile arrivino fino ad Atene e si moltiplichino…

 

Quarto, noi non ci diamo per vinti con i nostri compagni arrestati. La nostra solidarietà offensiva é la vendetta per la loro prigionia. Questo non significa identificarci nella loro visione. I prigionieri non sono idoli sacri né simboli della lotta, ma sono coloro che non sono più al nostro fianco… La coerenza di tutti quei compagni prigionieri che restano irriducibili nelle carceri e che non vacillano é una prova che la lotta vale la pena…

 

Infine, promuoviamo la diversità nell’agire anarchico. Siamo capaci di creare i nostri propri squat, le nostre proprie istanze politiche, assemblee, gruppi, i nostri progetti editoriali, i nostri mezzi di informazione. Senza dubbio, poiché spesso l’invocazione di diversità si trasformo in una scusa per emarginare le pratiche anarchiche armate, dobbiamo mettere in chiaro che la diversità non si produce da sola. Gli squat, i manifesti, gli eventi, il materiale stampato, i mezzi di informazione asserragliati sulla linea della perseveranza dei propri progetti si stanno trasformando in isole di presunta libertà senza minacciare l’autorità. La diversità autentica della lotta deve essenzialmente appoggiare e promuovere il confronto armato con il sistema. É l’incontro del movimento con il campo insorgente. É il rituale del passaggio dalla teoria all’azione, dal rischioso all’organizzato, dal fortuito al pianificato.

 

É la propaganda col fatto.

 

Questi cinque punti chiave (alcuni sono stati esposti precedentemente in testi della Cospirazione delle Cellule di Fuoco e della FAI – vedere “Fuoco e Polvere”) sono gli elementi di una proposta aperta a tutti gli interessati a partecipare, ad arricchirla, a criticarla, a metterla in atto.

 

In nessun caso si tratta di un recinto ideologico, ma di un’occasione per la discussione pratica. La consapevolezza é nel nucleo della proposta per la formazione di uno spazio autonomo delle tendenze anarchiche eretiche.

 

Il primo progetto collettivo nel quale la consapevolezza viene realmente messa alla prova, é un gruppo anarchico. Nell’ottica di stimolare questa discussione, nei prossimi mesi pubblicheremo una serie di testi personali di alcuni compagni prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco (Olga Economidou, Georgios Polidoro, Christos e Gerasimos Tsakalos).

 

Le esperienze, inquietudini e la prospettiva del progetto di un gruppo anarchico attraverso la narrazione personale non sono istruzioni per la pratica armata, ma senza dubbio possono contribuire al dibattito sulla guerriglia urbana e il suo sviluppo.

Allo stesso modo, l’esperienza non può essere trasferita. É per questo che la scommessa é quella di passare dalla teoria all’azione.

 

Come inizio di questa discussione divulgheremo tra pochi giorni l’opuscolo del compagno della Cospirazione delle Cellule di Fuoco Gerasimos Tsakalos “Individualità e gruppi anarchici” che stamperemo presto…

Dalla lettura… alla complicità…

 

Cospirazione delle Cellule di Fuoco – Cellula di Guerriglia Urbana

Federazione Anarchica Informale – F.A.I.