ODE all’IO

“Fare dell’anarchia una tensione scientista,programmatica e programmata, nonché organizzata, sta rendendo quest’ultima sempre più simile al cancro marxista.Scopritore di nuove catene, in nome della rivoluzione nuova civiltà, nuove istituzioni, nuova morale, nuova umanità.

L’IO soggiogato dai malanni comunitari, identità e violenza cognitiva: la spocchia di rinchiudere i desideri dell’io in una forma o in una moltitudine: il “proletariato”, gli/le sfruttatx.

Il comunismo anarchico, positivista, organizzatore o federato, è pregno di realismo febbricitante.

Poi, sulle rive di questa fumosa oscenità, vi è l’ego irridente, refrattario e solitario che sogghigna del traboccante umanitarismo in cui verte l’anarchia organizzata, che sempre più spesso si macchia di quel rosso autoritario.
Del resto, non vi può esistere militante nella tensione Anarchia individuale e nichilista, non c’è nessun fine, non esiste la destinazione, non vi è Fede.”  

                       Leo Souvarine  

204: La Paura cambi di campo

 

 

 

 

 

“Si istituiscono processi agliAnarchici
per quello che gli Anarchici sono, nemici dello stato”.
Anna Beniamino

Chi ha fatto dell’anarchia un atto deflagrante e ha gioito nel momento nel momento di rottura totale con l’ordine imposto non si fermerà neanche di fronte alla richiesta di 204 anni carcere da parte di un servo frustato.
204 sono, infatti, gli anni complessivi richiesti per i nostri compagni dello Scripta Manent.
A tutti loro va sempre più forte e salda la nostra complicità e affinità. Allo Stato e ai suoi servi la promessa del nostro odio eterno.

Per l’Anarchia!

SUL BATTELLO EBBRO DELLE NUOVE INSURREZIONI di Luca G.

Scritto in data 06/12/2018

SUL BATTELLO EBBRO DELLE NUOVE INSURREZIONI di Luca G.

 

C’è nell’aria nuova un vecchio odore di rivolta

Armi nelle mani di chi vive un’altra volta.

(Stigmathe)

 

Qualcosa di antico ma inaspettatamente nuovo scuote il vecchio mondo da qualche anno a questa parte.

Piazza Syntagma, Gezi Park, le rivolte in medio-oriente ieri, i “gilet jaunes” in Francia oggi: arriva di soppiatto, infetta distrugge e poi sparisce lasciando però segni indelebili sui muri delle città e sulle esistenze di chi la vive.

Brevemente e ancora incagliato fra l’ottusa stupidità delle narrazioni del tempo sulle contrapposizioni tra piazze di destra e piazze di sinistra vorrei provare a parlare del risveglio di una mai sopita voglia di libertà a dispetto di ogni dispositivo di potere e di ogni illusione di pacificazione, al di là delle “divise” e delle singole rivendicazioni.

Perché il punto non è la provincia o l’impero, la destra o la sinistra, l’organizzazione o lo spontaneismo, il punto è il fuoco.

 

AL FUOCO! o del perché la rivolta non bussa ma entra sicura

 

Marinus, Marinus, hörst Du mich?

Marinus, Du warst es nicht

es war König Feurio!

 

(Einsturzende Neubauten)

 

Partiamo dalla grigia cronaca del fatto: dopo l’aumento delle aliquote della benzina voluta da Macròn (ovvia operazione di greenwashing che va a discapito delle classi meno abbienti), in Francia grazie al tamtam di Facebook si sviluppa un grande movimento caratterizzato dal portare il giubbotto catarifrangente da indossare in autostrada.

Il 17 novembre questo strano movimento opera più di 2000 blocchi stradali, la settimana successiva una serie di cortei selvaggi si scontra con la polizia a Parigi, il movimento cresce in Francia assumendo di volta in volta connotati più fascistoidi (compresa l’infame e schifosa denuncia nei confronti di alcuni migranti nascosti in un camion) o più rivoluzionari. Successivamente, si sviluppa in maniera farsesca e reazionaria in Italia e più seriamente in Belgio, dove a Bruxelles si verificano grossi scontri con la polizia il 30 novembre.

Il giorno dopo a Parigi è sommossa generale: la polizia deve ripiegare più volte, macchine e negozi dati alle fiamme, licei occupati.

Il 4 dicembre Macròn decide di non aumentare più il prezzo della benzina.

In questa situazione di difficilissima da decifrare e problematica da rivendicare, si presenta l’ospite più inquietante: la rivolta.

Sei un lavoratore piccolo-borghese, forse di destra, forse liberale, che sta protestando perché oltre a subire da una vita lo sfruttamento, dovrà pagare ancora di più per andarci.

Sei una camionista che rischia la vita sulle autostrade ogni giorno, cui le aziende per cui lavori neanche rimborsano la benzina sprecata.

Sei una giovane studentessa che gli anni scorsi si è battuta contro gli sbirri per abolire la Loi Travail del socialista Hollande, e ancora ricordi i bei momenti di complicità coi tuoi compagni e le tue compagne a dispetto dello stato d’emergenza emanato nel 2015.

Sei un algerino di terza generazione e vivi in una banlieu un po’ come capita, nella tua memoria sono ben vivi i ricordi dei soprusi dei flics contro i tuoi amici, le tue amiche, i tuoi parenti.

Sei una compagna libertaria, una “zadista”, memore della strenua resistenza e del vivere altro di Notre Dame des Landes.

Parigi si blocca grazie ai camionisti e ai piccolo-borghesi – dei quali non si conosce il pensiero e che magari nutre in sè abissi spaventosi – ma quando arriva la polizia a disperderli ci sono tutte e tutti gli altri.

La rabbia per una vita passata a sopravvivere accomuna, per una volta, vite altrimenti distantissime.

Gli scontri con la polizia superano ben presto le loro rivendicazioni riformiste che i loro partigiani a distanza snocciolano a ogni piè spinto, in quell’assurda logica per cui le richieste siano più importanti della vita presente.

Non importa più il motivo in mezzo alla sommossa, giacché la rivolta parla una lingua a sé stante.

 

Nel 1778 il Parlamento Inglese emana il Catholic Relief Act, un provvedimento che attenua le discriminazioni nei confronti dei cattolici.

Il 2 giugno del 1780 il Lord conservatore George Gordon convoca una manifestazione per convincere la Camera a ritirare il provvedimento; al suo rifiuto, la folla si riversa nelle strade.

In 7 giorni di sommossa il carattere esplicitamente reazionario delle rivendicazioni originali viene superato e in larga parte abolito da una rivolta furiosa che assalta le caserme, distrugge le carceri e dà fuoco alle carceri: la plebe inizialmente fomentata da ingiuste richieste s’inebria della possibilità della distruzione.

Nei primi mesi del 1898 in Italia si verificano i “moti del pane”: dopo l’aumento del prezzo voluto dal governo Rudinì, fra gennaio e luglio ogni città verrà messa a ferro e fuoco dalla popolazione, tanto che a Milano il tristemente famoso Bava Beccaris ordinerà di cannoneggiare la folla in tumulto.

Nel gennaio 1921 la Russia viene scossa per 9 giorni dall’affaire Kronstadt, cittadella militare fortificata che tanto nel 1905 quanto nel 17 era stato, nelle parole di quel Trotskij che ne sarà boia, “valore e gloria della Russia rivoluzionaria”.

Affamati dal comunismo di guerra e stufi del controllo repressivo della Ceka i marinai di Kronstadt formano un comitato, in prevalenza menscevico e socialrivoluzionario, e stilano una serie di richieste di stampo socialdemocratico da proporre al governo bolscevico.

Come si sa, il potere alla mitezza risponde con il disprezzo più sdegnoso, ma ad esso Kronstadt risponde con un’insurrezione in cui la parola d’ordine supera in radicalità di gran lunga le iniziali richieste: “Tutto il potere ai soviet, non ai partiti!”

Come si può notare, non è raro che una grande rivolta sorga da un contesto banalmente riformista o chiaramente reazionario, e infatti non va scordato che alcuni moti del pane avevano carattere nazionalista e un certo numero di marinai russi avevano tensioni antisemite.

Eppure, la reazione e la riforma appartengono al potere e quando la rivolta scoppia è molto facile che ogni situazione si ribalti e assuma carattere rivoluzionario (molto facile ma non certo, ricordiamo i pogrom russi ad esempio).

Sembra stia accadendo ora in Francia, dove le sommosse stanno in parte superando le contraddizioni iniziali.

 

 SENTENZIARE E PUNIRE: miseria dell’ideologia

 

 Just because I dress like this doesn’t mean I’m a communist.

 

(Billy Bragg)

 

Ecco arrivare, ad ogni moderna sommossa, i recuperatori!

Tanto la fascista Marine Le Pen quanto il “populista di sinistra” Jean Luc Melenchon hanno cercato di tirare dalla loro parte un movimento che, inizialmente, sembrava poter venir indirizzato a scopi elettorali.

Così chi guardava da lontano l’ideologia ha creato due fazioni contrapposte: “i settari e le settarie”, come il sottoscritto, che inizialmente bollavano come completamente reazionarie piccoloborghesi e prefasciste queste mobilitazioni e “partigiani e partigiane” chi se le rivendicava acriticamente, tirando fuori dal cilindro qualche frase di Lenin.

Grida nel vuoto entrambe: la pretesa nei tempi odierni di egemonizzare in senso vetero-ideologico si frantuma sullo scoglio della vita quotidiana.

Il crollo delle ideologie ha portato sì i padroni a sedersi comodamente sui propri privilegi, ma allo stesso tempo ha visto le cosiddette masse impermeabili ai discorsi politicisti.

Certo, il monopolio del recupero ce l’ha ancora il capitale, ma almeno i recuperatori della sinistra controrivoluzionaria e i militantisti vengono per lo più ignorati.

E infatti tutti sono pronti a dissociarsi: Marine Le Pen, i vertici della CGT e Melenchon hanno in brevissimo tempo condannato le “violenza” ripetendo la vecchia solfa de “i casseurs infiltrati che spaccano tutto”.

Intanto, i ridicoli partiti dell’ “estrema sinistra” cortocircuitano sulle loro grottesche posizioni: per i rossi ieri le lotte LGBTQI erano borghesi perché interclassiste, oggi i gilet gialli sono interessanti perché interclassisti. I liberali intanto urlano al fascismo, la post-disobbedienza si rivendica tutto ma nessuno le crede.

Se si fosse letto e ancor più compreso Furio Jesi in Spartakus, si capirebbe cha la rivolta supera tanto i suoi ispiratori quanto chi la vuole imbrigliare.

Ma poco importa, gli ideologi crollano sotto il peso della realtà, ed è uno dei rari conforti di questi tempi: l’ideologo è il poliziotto che frena chi capovolge l’esistente.

 

 SAVE THE CITY BURN IT DOWN: del perché la rivolta è tale solo quando è distruttiva

 

Sembra più una festa

 che un massacro di innocenti.

 

(Plastic Surgery)

 

Durante il primo maggio 2015 a Milano un manifestante, prestatosi incautamente alla telecamera, dichiara: “È stata una bella esperienza.”

La prospettiva della distruzione è, in ultima istanza, una dialettica alla portata di chiunque e desiderabile per tutt*: per l’impiegato la banca diventa il simbolo del suo sfruttamento, per il camionista la concessionaria è genitrice dei suoi mali, per la studentessa un supermercato dove spende i pochi spicci che le danno i genitori, per l’algerino il negozio di lusso è lo specchio della sua povertà, per la zadista i simboli di un capitalismo che devasta e saccheggia.

La distruzione è un momento di riappropriazione totale, anche se temporaneo, di una vita pienamente vissuta.

Parafrasando Debord, il vandalismo contro le cose le riempie di linfa vitale, ridotte come sono ad altari del culto della merce.

Queste splendide città intoccabili con le loro belle vetrine, i loro bei monumenti, le periferie chimiche e i/le senzatetto morti assiderati sul marciapiede, queste città sono la linea di separazione fra l’umano e le sue possibilità di agire nello e sullo spazio che si vive.

Il vandalismo oltrepassa questa linea e il soggetto agente reimpara a modificare l’esistente.

Non è un caso che il vandalismo è urgenza adolescenziale, il momento più furioso della vita, l’età dell’urgenza, e si sopisce con l’obbedienza e l’abitudine al compromesso della maturità.

Citando ancora lo Jesi di Spartakus: “Si può amare una città, si possono riconoscere le sue case e le sue strade nelle proprie memorie più remote e segrete; ma solo nell’ora della rivolta la città è sentita veramente come l’“haut-lieu” e al tempo stesso come la propria città: propria poiché dell’io e al tempo stesso degli altri; propria, poiché campo di una battaglia che si è scelta e che la collettività ha scelto; propria, poiché spazio circoscritto in cui il tempo storico è sospeso e in cui ogni atto vale di per se stesso, nelle sue conseguenze immediate.”

 

        

MILLENIUM PEOPLE: del ceto medio impoverito e della composizione mista nelle nuove rivolte

 

Al netto dei toni trionfalistici di certi organismi della sinistra, i gilet jaunes sembravano realmente sovradeterminati dall’estrema destra.

Del resto, un “movimento” con rivendicazioni molto basse e con una composizione prevalentemente piccolo-borghese e bianca non può che far pendere l’ago della bilancia verso la reazione.

Gli ultimi anni hanno visto un continuo tentativo di larga parte del movimento alla disperata ricerca di una nuova classe di accodarsi al fenomeno populista per volgerlo in chiave rivoluzionaria: i forconi, il referendum, il malcontento l’UE, addirittura a volte alcune componenti hanno addirittura sostenuto la tesi dell'”esercito di riserva” pe strizzare l’occhio al nuovo fascismo.

Dicono che bisogna entrare nelle contraddizioni, ma anche se la prendessimo in esame nell’accezione puramente maoista del termine (che fine ha fatto il plusvalore?), non si riesce a scorgere nessun punto A o punto B, solo due borghesie- quella finanziaria e quella bottegaia- in lotta fra di loro quanto lo erano ai tempi di fascismo versus perfida Albione.

Dicono che andando incontro al malcontento popolare contro le istituzioni si può diventare massa, ma cos’è la massa? Un’idea e null’altro, un fantasma, l’equivalente del gregge cristiano. A ogni armata rossa si contrappone un’armata bianca, è il rapporto di forza a determinare la vittoria e questo non è regolato dal quantitativo, sennò ogni tentativo insurrezionale sarebbe fallito.

Se il proletariato non è altro se non la classe di chi “non ha altro da perdere se non le proprie catene” il ceto medio impoverito proletariato non è: ha ancora tutta una serie di privilegi da cui, per quanto si senta depredato dalle “elite”, non ha intenzione di staccarsi.

Oggi, se vogliamo trovare un nuovo proletariato, dobbiamo aprire gli occhi su una serie di sfruttamenti e discriminazioni diversificate e sulle soggettività che ne costituiscono la loro negazione: la persona migrante, proveniente dai ghetti del mondo, che in quanto tale porta sulle spalle il peso di secoli di sfruttamento e l’abolizione dell’istituzione autoritaria chiamata “Nazione”; la soggettività queer, vittima di discriminazione e recuperi continui, che con la sua stessa corporeità nega il dominio patriarcale e l’istituzione borghese della famiglia nucleare; la vittima del lavoro nero, fenomeno endemico nelle società valoriali e più alta contraddizione fra “Legge” e “mercato”; la persona disoccupata e/o precaria, simbolo di un mondo che obbliga al lavoro e al contempo costruisce le basi per far morire di fame.

Niente a che vedere con le moltitudini di negriana memoria però, perché tutte queste soggettività vanno a costruire una reale classe globale che s’inscrive perfettamente in quella del proletariato, e che può mutare facilmente un contesto a forte rischio reazionario in insurrezionale.

Infatti i gilet gialli sono cominciati a diventare attraversabili dalle soggettività in lotta – e quindi a costruire situazioni pre-insurrezionali – solo dove la composizione era più diversificata come a Parigi dove studenti e studentesse, militanti rivoluzionari/e e soprattutto abitanti delle banlieue hanno partecipato alle rivolte.

Questo non è successo in altre zone più “bianche” e più colonizzate dal Front National, e non è successo in Italia con il movimento dei forconi, proprio per la limitatezza della sua composizione.

Il fenomeno del proletariato misto è ben visibile anche in Italia, dove i momenti più radicali nelle lotte non “militanti” si verificano nella logistica, nel settore degli “smart works” (ad esempio i rider) dove la composizione “etnica” è molto diversificata, o dove la soggettività migrante è predominante come nei lager CPR e nelle carceri, in cui le rivolte, seppur di minor spessore dato il contesto e meno spettacolarizzate, non hanno nulla di invidiare a quelle francesi.

Un discorso di classe non può prescindere dalla presa d’atte che le classi sono mutate, pena il seguire le orme del populismo reazionario dimenticando un discorso di liberazione totale, la completa scomparsa, il trionfo della morte.

 

LANCIANDO IL SASSO PIÙ IN LÀ: come salire sul battello ebbro

Nothing ever burns down by itself, every fire needs a little bit of help.

 

(Chumbawamba)

 

I Gilet Jaunes hanno vinto, Macròn ha ritirato la tassa.

Se continueranno con le proteste non è dato saperlo, probabilmente i recuperatori reazionari congloberanno il movimento in una nuova – per la Francia – forma di populismo di destra per la gioia dei neo-sansepolcristi di tutto il mondo.

Vada come vada, sommossa chiama sommossa e i/le giovani che ieri si battevano contro la Loi Travail oggi lo facevano insieme ai gilet gialli: agire la libertà diventa un’abitudine, lo sa chiunque abbia partecipato a un riot e si trovi a passare davanti

Azione chiama azione e, malgrado questi tempi siano caratterizzati da una palese ondata di nuovi fascismi, questi momenti di parziale e temporanea destabilizzazione sono utili per trovare complicità e alzare il livello dell’attacco, costruire situazioni tra sfruttati e sfruttate che dissolvano i rapporti di micropotere e, quando verrà il momento in cui il fascismo si paleserà completamente, ed è molto vicino, rispondere con la dovuta preparazione.

Lanciare il sasso più in là, perché da queste rivolte non nasce la rivoluzione, ma da chi oggi porta il conflitto a un livello più alto nascerà l’insurrezione di domani.

 

 

COLPIAMOLI A CASA LORO!!!Treviso: Attaccata sede della Lega (12/08/2018)

Che stia finendo la pacchia anche alla Lega e al suo seguito di “ingordi” di odio?

È solo l’inizio, in un’epoca di silenzio e indifferenza  la deflagrazione ci ha svegliato più pronti che mai a lottare con tutti i mezzi in nostro possesso contro la democrazia da Terzo Reich.

Un saluto complice alla Cellula Cellula Haris Hatzimihelakis/Internazionale nera (1881-2018)

COLPIAMOLI A CASA LORO!!!!

Stanchi di tacere, stanchi di vedere ogni giorno violenze sistematica tramite il razzismo, il sessismo, il lavoro salariato che avvengono in questa società, i cui essenziali valori sono l’autorità e il profitto. Nauseati dallo sfruttamento vediamo come principali responsabili tutti i partiti politici i quali reprimono la libertà tramite l’apparato statale, riformatore e repressivo (TV, mass-media, associazioni, esercito, protezione civile, ecc). Lo stato ed il capitale sono i più grandi criminali, infrangono persino le loro leggi rubano sotto forma di tasse, uccidono tramite la guerra e il lavoro salariato, i respingimenti in mare e nei lager per immigrati in Europa ed Africa, contaminano irreversibilmente l’uomo, gli animali ed il pianeta terra, tutto per il loro profitto e potere.

Non dimentichiamo la complicità ipocrita di questa società composta da cittadini che fingono di non vedere gli orrori del razzismo, del nazionalismo di oggi e di ieri. Questa accettazione è il pilastro del totalitarismo e della democrazia: L’autorità che si fonda sull’indifferenza, la paura, l’apatia, nel tempo ha potuto creare i Gulag, i campi di concentramento nazisti, ed oggi quelli in Libia o sotto casa nostra. E’ una storia che si ripete.

12/08/2018
All’alba, la sede della Lega a Treviso, stata attaccata con 1 ordigno, rivendichiamo la collocazione contro politici, sbirri, e loro tirapiedi. A tutto questo non vogliamo essere complici, alla violenza indiscriminata degli Stati ci opporremo con la violenza discriminata contro i responsabili di tutto ciò. La quasi totale pacificazione in Italia, dove le masse sono occupate a farsi la guerra fra poveri, uno dei nostri obiettivi è opporci alla rassegnazione, all’impotenza ed all’immobilismo. Lo Stato ed il capitale utilizzano tutte le tecniche e le violenze per distogliere l’attenzione dai veri problemi degli sfruttati e primo tra tutti l’odio tra i più deboli e diseredati, tra una frontiera ed un’altra, tra un genere un altro, tra un colore della pelle ed un altro. Va da sé che nessuna fazione di insignificanti politici autoritari sarebbe mai in grado di soddisfare i nostri desideri. State parlando di governo “giallo –verde”, di sinistra e di destra, noi vogliamo che lo stato sia distrutto. State promettendo aumenti di stipendio, tasse ridotte, posti di lavoro, noi vogliamo l’eliminazione del denaro, della merce e del lavoro. State combattendo per migliori condizioni del governo, ma noi vogliamo solo divertirci sulle rovine fiammeggianti delle vostre città. Voi fate politica, noi la guerra sociale. Le cose sono difficili, c’è un abisso esistenziale tra noi e non c’è spazio per il dialogo. Quindi tutto questo ci rende chiaro dove colpire! Attaccare nello specifico il razzismo e lo sfruttamento. Colpire lo stato, il capitale i suoi responsabili. L’azione diretta ci rende chiaro perché e come.

Per una solidarietà internazionalista, ribelle, Anarchica!
Per un mondo senza frontiere, autorità!

Salutiamo con questa azione l’invito lanciato dai compagni “cellula Santiago Maldonado” che hanno proposto di rafforzare gli attacchi alla pace dei rappresentanti e complici del dominio.
Salutiamo ogni individualità e cellula Anarchica che continua a propagare la fiamma attraverso l’azione, qui e ora!

“Oggi siamo noi a prendere in mano la fiaccola dell’anarchia, domani sarà qualcun altro. Purché non si spenga!“[1]

Solidarietà a tutte/i le/i prigioniere/i, Tamara Sol, Juan Aliste, Juan Flores, Freddy, Marcelo, J.Gan, Marius Mason, Meyer-falk, Dinos Yatzoglou, Lisa Dorfer, i membri delle CCF e Lotta Rivoluzionaria.
Agli Anarchici di Firenze, Torino, Napoli, Cagliari, Cile, Russia, Germania, Polonia, dell’operazione scripta manent.
E a tutte/i le/i ribelli rinchiuse/i nelle patrie galere nel mondo!

Cellula Haris Hatzimihelakis/Internazionale nera (1881-2018)

 

Paska: non ti aspetteremo inermi

 

Il 27 marzo la procura di Firenze ha accolto in cassazione, il ricorso dell’accusa in merito alla custodia cautelare per tentato omicidio, in relazione al ferimento dello sbirro per l’azione contro la Libreria fascista a Firenze. Il giorno seguente il nostro compagno e fratello Paska, indagato per tale reato, è stato portato in carcere a Teramo.

E’ il marzo e la procura di Firenze decide di accogliere in cassazione l’accusa nei confronti di Paska, l’ordine di custodia cautelare per tentato omicidio per i fatti accaduti contro la libreria fascista e il ferimento dello sbirro (che faceva il suo lavoro di servo e anche male ndr.)

Dunque Paska torna in carcere a Teramo, e potrei dire quanto sia infame il lavoro del giudice e di tutto l’apparato statale. Potrei anche aggiungere che tutte le galere andrebbero rase al suolo, ma rimarrebbe solo una parola scritta, e la rabbia che ci anima in queste ore, in questi giorni si trasforma in frustrazione per l’ennesimo fratello anarchico arrestato. Non sono un giudice e non mi interessano i cavilli, le leggi, le presunzioni di colpa che potremmo analizzare.

La solidarietà è fatta di “parola scritta”, ma pure, e soprattutto, di azione che veramente può abbattere le mura di ogni prigione che può cambiare i destini delle lotte.

Viviamo in tempi in cui la repressione di stato si è fatta sempre più pressante e proprio ora è il momento di tirare fuori la rabbia sopita, perché se lo stato è potente non ci deve far paura, è una lotta che si protrae dalla notte dei tempi e qualche audace l’ha pure vinta.

 

È un momento in cui scambiamo gli aguzzini ( giudici, pm) per portatori sani di democrazia, ma noi siamo anarchici, la democrazia è forse la peggiore versione di tutte le dittature esistenti. Non lasciamoci ingannare, il nemico è sempre lo stesso:Lo stato.

 

La mia affinità e complicità a Paska

Che tu possa tornare libero attraverso l’azione!

 

Sara Zappavigna

 

L’indirizzo di Paska è :

PIERLORETO FALLANCA

C.C CASTROGNO

C.DA CEPPATA 1

64100 TERAMO

 

IL FASCISTA, L’ANTIFASCISTA E IL ROBOT. QUASI UNA BARZELLETTA (IlVetriolo)

L’antifascismo sarà il peggior prodotto del fascismo

Amedeo Bordiga

Giornate di dolore, 

momenti di passione,

 ti scrivo cara mamma, 

domani ce’è l’azione

Dai monti di Sarzana, canto partigiano anarchico

 

Se questa volta scendiamo anche noi nell’agone delle insulse interpretazioni dei risultati di quell’evento miserrimo che sono le elezioni è perché, ci sembra, questa volta dalla natura dello spettacolo del teatrino della politica si possano fare delle riflessioni sui gusti di quegli spettatori che ancora si ostinano a partecipare, e quindi, in parte, sulla realtà che sta dietro la fiction. 

In primo luogo, osserviamo che quelle che sono state le elezioni con meno partecipazione della storia repubblicana, sono state anche quelle con la minore, per non dire quasi del tutto assente, “campagna astensionista”. Dopo anni di rotture di ovaie e palle su cos’è sociale cos’è antisociale, non siamo nemmeno riuscite a fare la cosa più facile: attaccare, ognuna e ognuno coi mezzi che preferisce, la fiction e provare a stare in mezzo al disgusto sempre più generale che molte persone ormai provano verso i politici; magari anche provando ad indirizzarlo verso i loro padroni.

L’unica cosa su cui si è percepito in giro un certo fermento combattivo è stato il fronte dell’antifascismo. E qui veniamo al secondo punto, cioè alla figura barbina che hanno fatto i partiti del fascismo elettorale. Dietro a tanto allarme, alla onnipresenza mediatica, alle pagine facebook, alle magliette, agli striscioni, ai manifesti, i concertini e i saluti sulle bare dei boia repubblichini…c’era solo una bolla mediatica. I partiti fascisti Forza NonnaChina Pound (quelli che hanno la sede nell’Esquilino, il quartiere cinese a Roma) hanno preso pochissimi voti, facendosi addirittura superare dai Centro-socialisti di Potere al polipo e dai sinistrati di Sinistra all’inGrasso di D’Alema. Scena patetica è stata quella di Di Stefano che piangeva su La7 perché era deluso e frignava che non lo avevano mai ospitato in televisione. Nel dubbio mena? No, nel dubbio piangi. Ahahahah!

Bisogna capirci quando si parla di “pericolo fascista”. Se si intende che c’è un “pericolo fascisti” che escono nelle strade e ti accoltellano per le tue idee politiche, di genere, per il colore della tua pelle, siamo d’accordo. Non c’è però un “pericolo fascismo”, ovvero non è, ancora, in corso una mobilitazione reazionaria di massa. Il razzista medio democratico sceglie ancora la Lega porn, non vuole mica tornare al Ventennio! Nella democrazia, nei lager in Libia, nell’esercito nelle strade trova la sua soddisfazione; di tornare ai fez e all’autarchia non ci pensa nemmeno. Il sabato si va in discoteca, non a piazza Venezia.

In altre parole, i fascisti del terzo millennio hanno lo stesso problema che abbiamo noi anarchici: il salto di livello dal consenso alla complicità. Un conto è fare un commento razzista durante l’aperitivo, altro conto è andare in piazza con caschi e bastoni. Ogni volta che ci provano, trovano dall’altra parte un numero di compagni di almeno dieci volte superiore. Meglio un Campari al bar che uno Scotch in piazza a Palermo.

Questo non significa che sminuiamo lo squadrismo fascista, che negli ultimi 15 anni ha provocato almeno una decina di morti fra i compagni e i migranti. Questi sacchi di merda, sull’onda del consenso razzista, stanno provando a tirare fuori la testa dalle fogne. Il fatto è che, fuori dalle loro cloache putrescenti, ci sono tanti bravi cittadini che applaudono, ma ben pochi che passano all’azione insieme a loro. Almeno per ora. Così come non c’è l’appoggio delle classi dominanti, condizione necessaria perché il fascismo vada al potere; classi dominanti che oggi preferiscono, alle famose leggi del 1926, le Leggi Democraticissime di Minniti e complici.

Come anarchici siamo caduti con tutte le scarpe dentro a questa fiction. A furia di dire che l’analisi è roba del passato e che ad essa preferiamo il desiderio, non analizzando niente, al solito, non ci abbiamo capito niente.

Perché il nuovo totalitarismo che sta arrivando – perché sta arrivan do – non sarà il totalitarismo di China Pound – nel dubbio piangi. Sarà il totalitarismo tecnologico. La nuova rivoluzione industriale, rappresentata dalla robotica, dalle stampanti 3D, dal digitale, dalle scienze convergenti (convergenti verso la nostra carcerazione tecnologica permanente). E questo totalitarismo lo stanno portando avanti quelli del partito di Krusty il Clown, il ricco comico immorale e moralista, vero vincitore delle elezioni a Springfield.

In questi mesi, mentre perdevamo tempo a disquisire sul sesso dei robot, mentre dibattevamo sulla questione davvero a-stringente se la tecnologia è de-realizzante o se la realtà piuttosto non esiste, il capitale stava dando una pesante accelerazione verso la sua riconversione all’industria 4.0.

E qui veniamo al terzo punto. Che il partito di Krusty il Clown sia oggi il partito dei robot, lo dimostrano non tanto le dichiarazioni di idolatria nei confronti della quarta rivoluzione industriale, della democrazia digitale o di altre panzane futuristiche. Lo dimostra il punto più dirimente del programma dei 5 stelle: il reddito di cittadinanza. Secondo studi di Oxford, la rivoluzione tecnologica distruggerà nel mondo 1 miliardo e 100 milioni di posti di lavoro. In Italia circa 12 milioni. Il progetto grillino al servizio del capitale è quello di rendere questa transizione il meno dolorosa possibile. Di sterilizzare il conflitto. Il reddito di cittadinanza avrà proprio questo come scopo principale, cioè allargare il consenso nei confronti dell’invasione delle macchine.

Il rimbecillimento comincia da piccoli. Oggi molte scuole hanno il registro elettronico, un tablet dove i prof segnano voti e assenze. Qualche giorno fa, i genitori di un nostro compagno che fanno i professori ci confessavano, con depressione, che i loro studenti non scioperavano nonostante i termosifoni fossero spenti durante l’ondata di freddo…perché avevano paura del registro che avrebbe inviato sul telefonino di mamma la notifica della loro assenza! Questi fra qualche anno saranno i nuovi sfruttati, i nuovi sbirri, i nuovi politici. Questo è il grado del totalitarismo tecnologico prossimo (prossimo?) venturo.

Il partito di Krusty il Clown è il partito che vuole realizzare, in maniera indolore, questa svolta tecnologica. Un partito che non a caso piace tanto a certi “autonomi” (o automi?) visto la sequela di luoghi comuni sul reddito, la fine del lavoro…e daje a ride!

Come se fosse vero che scomparirà lo sfruttamento dal pianeta e non che piuttosto saremo tutti più schiavi, come sta già avvenendo coi braccialetti elettronici di Amazon e i chip sulle tute degli operai FIAT.

Allora forse è il momento che oltre che continuare a fare a mazzate coi fascisti cominciassimo davvero a prendere a mazzate i grillini, magari partendo da quelli che popolano le assemblee e i cortei a cui spesso ci troviamo anche noi a partecipare – da Bussoleno a Melendugno, da Norcia a Nuoro. Forse sarebbe il momento di mettere nel cassetto della storia del Novecento l’esistenzialismo e le chiacchiere filosofiche franzose. E ricominciare con un nuovo, sano, luddismo.

Il problema non sono i grillini in sé, ma i grillini in me.

compagne compagni di campagna

La pirotecnia è un’arte. Davanti alla rivoluzione – Contributi a un dibattito interno all’anarchismo italiano

 

Il 7 dicembre è esploso, di fronte davanti alla stazione dei carabinieri San Giovanni in via Britannia, a Roma, un ordigno rudimentale, un termos d’acciaio con 1,6 kg di esplosivo. Un attacco per contro il potere e i suoi aguzzini. Un attacco che mi vede completamente affine. La rivendicazione è firmata dal gruppo anarchico fai/fri Cellula Santiago Maldonado (segue link con la rivendicazione https://anarhija.info/library/roma-italia-cellula-santiago-maldonado-fai-fri-rivendica-l-attacco-esplosivo-contro-c-it)

A pochi giorni di distanza sulle pagine di Umanità Nova viene pubblicata la risposta e la critica a questo attacco, “Disfattismo pirotecnico”, di seguito propongo due contribuiti di compagni che vogliono contribuire al dibattito in maniera costruttiva proponendo nuovi spunti di lettura.

S.Z

                                                                                                                            

 Dal Blog Perifusi-risposta anarchica     

 

 

https://perifrourisisocialanarchism.noblogs.org/post/2017/12/23/in-chi-e-la-salute-contributi-ad-un-dibattito-interno-allanarchismo-italiana-1/

In chi è la salute? – Contributi ad un dibattito interno all’anarchismo italiano (1)

Dopo la rivendicazione dell’attacco alla caserma S. Giovanni è seguita la risposta di Umanità Nova.
Come anarchici slegati da aree o gruppi ci sentiamo di contribuire al dibattito con due scritti separati ma con la comune volontà di suggerire un approccio differente a un dibattito che si sta trascinando da troppi anni.
Questo è il primo dei due contributi inviati a Umanità Nova.

 

“La Salute è in voi!”, recitava un opuscolo uscito nel 1906 con il settimanale anarchico italoamericano “Cronaca Sovversiva”.
Si trattava, fondamentalmente, di un manuale pratico per sabotaggi, fabbricazione di esplosivi e guerriglia che, seppur oggi decisamente datato a fronte della pubblicistica anche solo degli anni ’70 (si pensi agli scritti della Rote Armee Fraktion o di Carlos Marighella), rappresenta un dato storico fondamentale per capire cosa fosse l’anarchismo di lingua italiana.
Facciamo un breve passo avanti: nel 1927 vengono giustiziati Sacco e Vanzetti, accusati di rapina e omicidio al calzaturificio «Slater and Morrill» di South Braintree.
Giustiziati perchè anarchici e immigrati, innocenti di quello specifico atto.
Si trattava infatti non di due “piccoli angeli”, come per molti anni li ha dipinti la vulgata anche anarchica, ma di due combattenti rivoluzionari avvezzi al far saltare le case dei questori e all’uso delle armi [1] tanto quanto alla propaganda di massa, all’agitazione sindacale e allo sciopero.

Un’altro salto in avanti: nell’articolo “Disfattismo pirotecnico” di T. A., pubblicato su Umanità Nova il 17 dicembre [2] si prende in esame l’attacco ad una caserma romana dei carabinieri, fra il 6 e il 7 dicembre, facendo una serie di affermazioni che mettono insieme di tutto e un po’ in una spergiura pressochè totale dell’evento, delle persone idealmente coinvolte e di tutti i significati che vi sono legati.

Per capirci, chi scrive non è un sostenitore dell’insurrezionalismo inteso come impalcatura ideologica, poichè l’ “insurrezione” è solo uno dei tanti passaggi in cui un percorso rivoluzionario si può snodare, e caricarlo di significati eccessivi è quantomeno miope, anche perchè la realtà attuale ci dimostra che la “Guerra sociale [3]” non è materia di insurrezioni, ma di lente e altamente complesse guerre di logoramento, che nei momenti più conflittuali diventano guerre di trincea [4].
Insomma la risibilità dell’opzione insurrezionale non significa che scompaia il dato del conflitto, né quello militare, ma che passano dall’essere una “gioia” ad essere qualcosa di estremamente serio e sporco [5].

E’ centrale quindi distinguere fra Insurrezionalismi e pratiche insurrezionali.
Questa parentesi vuole essere introduttiva ad un altro concetto: se dobbiamo criticare gli insurrezionalismi, bisogna farlo innanzitutto da un dato politico, quindi da un dato pratico (ovvero proponendo alternative credibili) ma soprattutto sempre mantenendo il rispetto per chi lotta, anche in modo estremamente diverso dal nostro.

L’articolo del compagno su Umanità Nova pone tre critiche fondamentali:
Innanzitutto si afferma che azioni di guerriglia urbana sono per loro stessa natura settarie, aristocratiche e opposte ad un lavoro sociale, rifiutando un qualsiasi confronto con chi non si pone sullo stesso piano.
Lo scritto centra molti punti: innanzitutto che la chiusura in sé stessi e la mancanza di un confronto con quelle soggettività non così radicali, è un freno per la penetrazione nel tessuto sociale, così come è invece fondamentale immergersi nelle masse, avviarvi un rapporto simbiotico e di progressiva infezione.
Ma si tratta di punti diversi. Innanzitutto l’azione di guerriglia non è per forza alienante rispetto ad un lavoro di massa: la consistente simpatia di cui godettero formazioni lottarmatiste in Italia e Germania Ovest, per non parlare di quella che perdura tutt’ora in Grecia, sono una dimostrazione del contrario. Allo stesso modo, le riflessioni della prima Prima Linea [6] sul ruolo del militante pubblico e del militante armato, così come quelle dell’Autonomia organizzata sul “doppio livello”, posso dare spunti importanti.

Semmai, si può criticare l’opportunità e le modalità di uno specifico atto, la sua convenienza e il suo svolgimento. Infatti, per esempio, se la lotta armata non è assolutamente un’opzione, qui, il discorso del doppio livello si può applicare anche a chi partecipa a pratiche insurrezionali di altro tipo, quali il Blocco Nero e gli scontri di piazza.
Ma anche qui, al netto di tutto, va mantenuto l’adeguato rispetto per chi si pone in rischio per proseguire una lotta: no, nessuno ha piazzato una bomba davanti ad una caserma dei carabinieri apposta per fare un dispetto ad altri anarchici, anche perchè non serve certo l’insurrezionalismo per mandare in crisi l’anarchismo comunista/sociale in Italia: lo dimostrano i numeri scarsi, l’irrilevanza politica, i circoli che chiudono, il ricambio che non c’è, i congressi sempre più deserti. Ci si può raccontare che va tutto bene, ma farlo non lo rende vero.
E no, non bisogna dare acqua al mulino degli scazzi, provando semmai semmai ricucire, nel possibile, i rapporti personali, amicali e politici con quei/lle militanti che dimostrano di agire in buona fede, ponendo domande, critiche e risposte alternative, e non controscomuniche.

Quindi su “Disfattismo pirotecnico” si afferma che il clima di “pace sociale” in Italia non è così reale, poichè ci sarebbe un fiorire di mobilitazioni sempre più forti e radicali.
Si torna anche qui all’uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani e che per farsi coraggio si ripete: “Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene”.
La verità è che la riscrittura genetica della società sta andando avanti spedita: i centri città sono completamente trasformati, e ora i processi di gentrificazione e normalizzazione si stanno allargando ai quartieri a latere. Gli sgomberi e i sequestri hanno avuto un ritmo terrificante negli ultimi due anni, arrivando ad annichilire intere aree, proprio mentre il recupero riformista riusciva ad inglobare numerosi settori di movimento. Le destre hanno ormai tutte un respiro nazionale, anche quelle più neonaziste quali Lealtà&Azione e il VFS, forti di una lento ma progressivo radicamento nelle classi popolari.

La debolezza del cosiddetto “movimento” è provabile numericamente guardando due appuntamenti “nazionali” a meno di quattro anni di distanza: se nel 15 ottobre 2011 si portarono in piazza 300.000 persone, nel NoExpo del 2015 ve ne erano 50.000.
Anche qui si può tirare in ballo la solita storia degli “scontri che oscurano il corteo” a livello mediatico; c’è da dire però che se il corteo avesse sfilato pacifico, ci sarebbe stato giusto giusto un articoletto distratto, per plaudere la pacificità dei manifestanti e la bravura della polizia.

Un problema centrale emerge quasi involontariamente da un passaggio secondario dell’articolo di T.A.: “La via di uscita è […] imparare dalle masse quali sono i temi che le toccano maggiormente e, coerentemente con il nostro ideale e la nostra prassi, possano dar vita a movimenti di ribellione, imparare dalle masse quali sono gli organismi che possono divenire strumenti di autorganizzazione e di azione diretta, imparare dalle masse quali sono i linguaggi che possano rendere più accessibile la propaganda anarchica.”.
Insomma, ci si pone sempre e comunque come soggetti che (a discapito del nome di “minoranza agente”) paiono quasi cadere dal pero nei rapporti con la popolazione, subendoli e non essendovi attivi.
Qualcosa di completamente diverso da ciò che andrebbe fatto, poiché l’anarchismo è stato grande quando è stato politico, quando in tutta la sua storia ha preso in mano le redini del discorso e ha inziato percorsi di largo respiro e forte intensità, razionalmente e strategicamente pensati, in all’interno e in simbiosi con la popolazione, e non come soggetti “a servizio” della stessa, partendo dalla logica perdente dell’autodissoluzione qual’ora le cose andassero bene.
Si tratta semmai di porsi come i germi delle istituzioni del “mondo nuovo” che portiamo nei nostri cuori, come Murray Bookchin (ideologo a monte dell’unica rivoluzione contemporanea), giustamente esponeva: le assemblee di movimento devono diventare le assemblee di gestione della comune, i servizi d’ordine le sue milizie e i gruppi politici i suoi organi esecutivi.
Questo stesso percorso è stato alla base del movimento anarchico di maggior successo oggi, quello greco, che ha scelto durante il 2008 di spargersi sul territorio e di diventare il punto di riferimento delle proprie comunità, partecipandole a livello di sicurezza, di sanità, di lotte lavorative, e molto altro.
Esemplare è l’attività del K*Box, caffetteria occupata ad Exarchia, che oltre ad essere un luogo di socialità ha aperto l’ambulatorio autogestito, sostiene occupazioni abitative, combatte attivamente contro le narcomafie in quartiere e il cui collettivo politico, Rouvikonas, si è reso noto per molteplici azioni contro problemi concreti della società greca, quali la corruzione delle autorità ospedaliere, le agenzie di “liste nere” per i morosi nei confronti delle banche, o le missioni di aiuto nelle zone alluvionate di Madra.

E’ così che si può porre una critica all’insurrezionalismo: da pari. Da pari portando rispetto verso chi lotta e viene represso (e potendo così rivendicare per sé lo stesso tipo di rispetto), da pari proponendo un anarchismo competitivo ed efficace, contemporaneo e accattivante, che sia realmente quello che vuole essere.
Si tratta di fare la cosa giusta, indipendentemente che venga fatta dall’altra parte, perchè se siamo anarchici e anarchiche lottiamo per ciò che è giusto.

“[visto che] Sembra il momento di far uscire una qualche tipo di conclusione, dirò che – suppongo – non credo che le strutture o le forme di associazione volontaria che adottiamo controllino deterministicamente i nostri risultati (pur avendo una forte influenza, come la hanno tutti gli strumenti, su chi le adotta), ma che tutte le strutture e le strategie sviluppate fino ad oggi dagli anarchici abbiano serie debolezze e che queste carenze saranno letali, a meno che non si sia più onesti, flessibili, ricettivi alle critiche ed energici di quanto si sia stati finora. [7]”

Nikos Fountas

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[1] Per una storia più completa, il fondamentale libro di Paul Avrich, Ribelli In Paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, 2015, Nuova Delfi Libri, Roma, traduzione a cura di Antonio Senta.

[2] http://www.umanitanova.org/2017/12/17/disfattismo-pirotecnico/

[3] Termine molto usato da uno dei più interessanti autori anarchici dei giorni nostri, lo statunitense Peter Gelderloos, che con esso indica una condizione di vero e proprio conflitto bellico fra oppressi e oppressori, con il dispiegamento di strategie (la controinsorgenza), risorse (militarizzazione dei territori e delle forze di polizia) e legittimazioni (diritto penale del nemico, leggi anti-terrorismo, cultura del “degrado” come pericolosità…) militari.

[4] Si pensi al ruolo che hanno assunto i luoghi nei conflitti sociali contemporanei, dalla difesa di territori rurali (Zad, Bure, Hambach, Val Susa) e metropolitani (Exarchia, Gezi park, piazza Maidan) alla lotta per eradicare, mantenere o guadagnare edifici fisici (sedi fasciste, centri sociali, occupazioni).
Da notare che in Italia si è sempre affrontato il problema da un punto di vista etico-filosofico e mai da un punto di vista strategio e pratico, come per esempio sulla necessita di mantenere strutture logistiche e basi sicure.

[5] Già Nestor Makhno lo notava quando scriveva: “In una rivoluzione sociale il momento più critico non è il momento del crollo del Potere, ma il momento immediatamente successivo, il momento in cui quanti sono stati spodestati attaccheranno i lavoratori e questi ultimi dovranno difendere le conquiste appena realizzate” poichè “la classe dominante conserverà a lungo una grande capacità di resistenza e per molti anni sarà in grado di sferrare attacchi contro la rivoluzione cercando di riconquistare il potere e i privilegi che le sono stati sottratti” (in Delo Truda, n16 p. 5-4, riportato in Alexander Shubin, Nestor Machno: bandiera nera sull’Ucraina. Guerriglia libertaria e rivoluzione contadina (1917-1921), p. 190-191, Elèuthera, 2012).
Stessa cosa di cui parlerà cinquant’anni dopo Adriano Sofri su Giovane Critica, n19, 1968-1969, seppur in termini operaisti. Insomma, l’operaismo e l’autonomia riprendono concetti anarchici decenni dopo e, al contrario nostro, riescono a tenerli a mente.

[6] Si spera che si riesca a discutere con il necessario distacco di temi come P.L., analizzandoli da un punto di vista storico e politico, senza inutili emotività.

[7] Peter Gelderloos,“Insurrection vs. Organization. Reflession on a pointless schism.“, 2007, recuperabile a http://theanarchistlibrary.org/library/peter-gelderloos-insurrection-vs-organization

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

https://perifrourisisocialanarchism.noblogs.org/post/2017/12/23/davanti-alla-rivoluzione-contributi-a-un-dibattito-interno-allanarchismo-italiano-2/
Davanti alla rivoluzione – Contributi a un dibattito interno all’anarchismo italiano (2)

 Dopo la rivendicazione dell’attacco alla caserma S. Giovanni è seguita la risposta di Umanità Nova.
Come anarchici slegati da aree o gruppi ci sentiamo di contribuire al dibattito con due scritti separati ma con la comune volontà di suggerire un approccio differente a un dibattito che si sta trascinando da troppi anni.
Questo è il secondo contributo.                                         

       

In an abandoned houseboat
I’ll wait there, I’ll be waiting forever
Waiting, waiting, waiting, waiting, waiting….
(Pavement-Summer Babe)

Davanti alla rivoluzione c’è un guardiano.
Davanti a lui viene un* anarchic* e chiede di entrare nella rivoluzione.
Ma il guardiano gli risponde che per il momento non glielo può consentire. L’anarchic* dopo aver riflettuto chiede se più tardi gli sarà possibile. “Può darsi” dice il guardiano, “ma adesso no”.

Il 7 dicembre 2017 un bomba a bassa potenza esplode davanti alla caserma dei CC San Giovanni di Roma, cui segue la rivendicazione della “Cellula Santiago Maldonado” a firma FAI/FRI, in cui si dichiarano le volontà di spezzare la pace sociale con attentati diretti alle strutture di potere e repressive.
Dieci giorni dopo esce su Umanità Nova in merito a questi fatti esce l’articolo “Disfattismo pirotecnico”, ovvero un modo davvero un modo poco equilibrato di contribuire al noioso dibattito “organizzazione informale distruttiva vs organizzazione sociale”.

Chiariamo subito che chi scrive si identifica come “anarco-comunismo”, seppur proveniente da una tradizione molto differente da quella della Federazione Anarchica Italiana & affini (oh no! Forse questo non si può dire), e che non si ritiene vicino alle posizioni solitamente espresse dalle soggettività che si firmano FAI/FRI.

Nell’articolo sopracitato, al di là di alcuni spunti condivisibili, c’è un errore strutturale che alimenta un manicheismo inutile che divide l’anarchic* “che pensa ed euca” e quelllo “che attacca”.
La reificazione, non solo degli esseri viventi ma addirittura delle loro idee, ha cristallizzato in figure estetizzate e-soprattutto- nettamente separate, l’atto insurrezionale violento e quello comunicativo, rendendo fondamentalmente innocuo e funzionale allo spettacolo narcisista un’ anarchismo sempre più lontano dalle possibilità di aprire percorsi realmente di rottura con l’esistente.
L’attacco e l’autogestione sono due condizioni egualmente necessarie per farlo, scegliere una sola di queste due possibilità ci presenta un anarchismo azzoppato e, fondamentalmente, inadatto ad affrontare le contraddizioni del presente: il/la nihilista antisociale e il /l’ anarchic* che fa gli spettacolini a teatro sulla vittoriosa (?) insurrezione del ’36 sono le due categorie spettacolari con cui si alimenta un processo autistico completamente slegato dalle masse cui si parla tanto.
A proposito, nel succitato articolo si dice che piuttosto che gettarsi in “aristocratici avventurismi” (parafrasi mia) è preferibile imparare dalle masse per poterle poi aiutare a costruire le condizioni oggettive per la rivolta; ma cosa sono queste masse? Noi anarchici e anarchiche non ne facciamo forse parte anche noi? Ancora una volta ci si crede diversi, magari meno alienati, dalla cosiddetta massa, quando invece ne facciamo parte, e quindi nulla abbiamo da imparare da noi stessi, ma piuttosto disimparare quell’immobilismo cui siamo preda dopo anni di dominio dello spettacolo.

Ha ragione l’autore T.A. nel dire che viviamo in tempi di guerra.
Purtroppo questa guerra noi non la stiamo combattendo, perché chi rimane pacificato sono praticamente tutti i movimenti radicali.
E’ questo forse che intendevano i compagni e/o le compagne della cellula Santiago Maldonado, rompere con la pacificazione che è stata imposta all’esterno dalla repressione e all’interno dall’immobilismo di gesti ritualistici e sclerotizzati, che poco riescono a incidere nelle pratiche di nuovi movimenti di massa come Non Una Di Meno che se anche avesse un potenziale libertario- e questo è ancora da dimostrare- nasce da se’ e non certo da qualche solone anarchico.
Attenzione: ovviamente chiunque compia azioni dirette non è esente da critiche, anzi, ma cerchiamo di porle nei confronti delle strategie, non da prese di posizione meramente ideologiche.

L’anarchico Belgrado Pedrini, a dispetto della repressione e della pacificazione imposta dal regime fascista, cominciò la sua attività sovversiva già alla metà degli anni ’30, e verrà incarcerato un anno prima della formazione del CNL, anche lui un aristocratico sprezzante verso le masse?
Quante altre volte dopo un azione diretta si vedrà la solita pioggia di accuse di “avanguardismo”?
Quanto altri arresti, sgomberi, quante altre violenze e ingiustizie sociali ci vorranno per scuoterci da questo torpore?

Grazie al ministro Marco Minniti innumerevoli migranti stanno venendo torturat* in qualche lager libico proprio mentre tu, fratello e/o sorella, stai leggendo, e sotto sotto solo il fatto che sai che non può capitare a te ti spinge a non rivoltarti con tutte le tue forze verso questa violenza assurda.
Non possiamo continuare a giustificarci dicendo che “Non è il momento”, che quando “le masse si rivolteranno noi saremo con loro”, perché ogni mese in un CPR scoppiano rivolte distruttive e sequestri degli operatori-secondini nel quasi più totale silenzio.
Non sono forse parte della massa pure i/le migranti reclus*?
E’ giunto il momento di scegliere: o il nulla autistico della doppia medaglia della falloforia violentista e del nostalgismo attendista e innocuo, oppure comiciare un percorso comune che abbracci, nel rispetto delle sensibilità individuali, tutte le modalità d’azione contemplate (e quelle ancora da contemplare) per poter ricominciare a non pensare all’insurrezione come a un’utopia lontana.
L’attesa finisce quando lo decidiamo noi, basta essere vittime del Tempo.

“Che cosa vuoi sapere ancora?” domanda il guardiano, “Sei proprio insaziabile.”
“Tutti si sforzano di arrivare alla rivoluzione” dice l’anarchic*, “E come mai allora nessuno in tanti anni, all’infuori di me, ha chiesto di entrare?” Il guardiano si accorge che l’uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: “Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. E adesso vado e la chiudo.”

L. G.