Il digiuno prima della battaglia – Intorno alla polemica sulla carne durante i benefit

 

 

 

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Questo contributo è in riferimento al comunicato:https://thehole.noblogs.org/post/2016/02/06/benefit-per-lei-prigionier-solidali-con-alcun-oppressori-con-altr/

 

“Si potrebbe poi sperare tutti in un mondo migliore

dove ognuno sia gia` pronto a tagliarti una mano

un bel mondo sol con l’odio ma senza l’amore

e vedere di nascosto l’effetto che fa”

Jannacci

 

Cattiverie gratuite a parte, chi scrive queste note ha scelto una vita di lotta, scontro, violenza, galera perché sente dentro si sé un senso di empatia verso tutti gli oppressi e di odio verso tutti i padroni, a partire dai miei.

A spingermi a polemizzare però è l’ennesima esternazione di apparente estremismo vegan che pretenderebbe di decidere cosa devono mangiare le compagne ed i compagni che partecipano ad una iniziativa benefit. Il prossimo passo quale sarà? Decidere pure cosa debbono mangiare i prigionieri? Altrimenti niente soldi, così che con quel denaro non si commettano assassinii?

Siamo alla teologia!

Mi ritornano in mente le parole di un compagno più grande dell’appennino tosco-emiliano che si divertiva a traumatizzare le giovani leve vegane dicendo loro: se non hai mai sgozzato un agnello come potrai mai sgozzare un uomo?

Sì perché, al netto della brutalità, è di questo che parliamo.

Da qui ne discendono tante amenità sul “colpire le cose e non le persone”.

Naturalmente ci sono tantissime e tantissimi vegan che sono dei combattenti indomiti, ma il mio timore è che, in termini generali, tutto questo amore verso la vita si traduca questo sì in una civilizzazione dei nostri rapporti con il nemico.

Perché un industriale, un magistrato, un poliziotto, è anche lui un animale (probabilmente un porco – facile battutaccia). Quindi non è antispecista fargli del male. Di questo livello anche gli scontri di piazza diventeranno nella retorica pseudo-radicale una espressione di specismo. Povere bestie in divisa! (c’è già chi lo ha detto dopo il Primo Maggio NO EXPO).

Insomma abbiamo di fronte due realtà. Da una parte l’antagonismo, col suo modo di vestire, col suo modo di mangiare, col suo modo di parlare; dall’altra chi è rivoluzionario e lotta con le armi per abbattere lo Stato e sterminare i padroni. Da un lato la forma, dall’altro la sostanza.

Tutto questo ben lungi dal radicalizzare davvero lo scontro provoca invece una civilizzazione dei rapporti col nemico. Non sarà un caso se la gran parte dei vegan vivono nelle metropoli, mentre i luoghi che più resistono alla civilizzazione sono anche pieni di pastori, cacciatori, pescatori.

So che alcuni fra i più montanari dei lettori capiranno quel che dico quando chiedo: quante volte ci siamo avvicinati ad un obbiettivo, l’abbiamo attaccato e siamo fuggiti, mano nella mano, dopo l’azione, passando per i boschi, seguendo i sentieri dei cacciatori che abbiamo imparato col nonno? quanti di noi, sempre fra i più montanari, hanno sparato letteralmente i loro primi colpi con quel vecchio schioppo che teneva in cantina? quanti hanno fantasticato sulla guerriglia partigiana mentre camminavano, strisciavano, si appostavano lungo i sentieri dell’appennino con i proprio vecchi a caccia?

Queste sono cose che possono capire solo quei ribelli che sono cresciuti fra le montagne. Chi è cresciuto nel cemento può solo fantasticare su una natura che non esiste. Coloro che ancora oggi vivono lontano dalla civiltà sono coloro che meno aderiscono alla dommatica prescritta dal veganesimo metropolitano nel loro vivere quotidiano.

Se qualcuno crede sinceramente alla lotta alla civilizzazione dovrà pur sentire la necessità di domandarsi: come mai ci sono più vegan a Milano che nei Monti Sibillini?

C’è un passaggio in particolare molto importante del comunicato contro la carne alle iniziative benefit.

 

“I nostri spazi, liberati dal mondo e dalla società capitalistica, fino a che punto sono veramente liberi?

La lotta non è, e non deve essere, rivolta solo contro l’esterno. Deve essere rivolta anche al nostro interno, contro le pratiche di abuso e di potere che spesso, più o meno inconsciamente, reiteriamo a nostra volta nei confronti di noi stess*, delle/dei compagn* e negli spazi liberati. Quella contro noi stess*, contro le strutture di dominio che ci sono state inculcate dalla cultura e dalla società, è forse la lotta più difficile da combattere.”

 

 

Queste sono frasi profonde che in molti sentono loro. Ebbene sono totalmente errate. Perché che la lotta più difficile da combattere sia quella interiore lo si vada a dire a quei rivoluzionari che sono morti, che marciscono in galera, che sono stati torturati (ad esempio durante il sequestro Dozier, quando dei BR vennero torturati, una compagnia stuprata con una bottiglia e un compagno costretto a guardare). E basta con queste menate frikkettone sulla lotta interiore!

Spesso anzi la coerenza diventa un alibi per non fare di più. Perché se io devo aspettare di essere coerente nel linguaggio, nel mangiare, nel pensare e solo POI agire…ebbene allora, poiché la coerenza assoluta non esiste, non farò mai un cazzo.

Io invece agisco PRIMA non DOPO aver conquistato la coerenza. La coerenza la costruisco nella battaglia. Io sono un individuo pieno di contraddizioni che non aspetta di risolverle, astrattamente, col digiuno, per diventare migliore. Io le contraddizioni me le porto dentro ed agisco QUI ED ORA. Sono portatore di contraddizioni, esplodono con la dinamite.

La loro soluzione è un fatto concreto, reale; avviene nel mondo della lotta reale, il mondo dove un oppresso si arma contro il proprio sfruttatore. Non è preliminare allo scontro.

D’altronde non è questione di lana caprina. La questione del “prima cambio dentro e poi fuori” o del “qui ed ora mi armo con altri oppressi a me affini per farla pagare ai padroni” è da sempre la questione che ha diviso il mondo dell’autonomia, dell’antagonismo, del femminismo, dell’antagonismo, dell’animalismo, ecc., … dal mondo della lotta armata.

E siccome stiamo parlando di compagni che la lotta con le armi, e non con la dieta, l’hanno fatta o sono accusati di averla fatta, pregherei di avere un po’ meno arroganza nel pretendere di imporre agli altri cosa devono mangiare o non mangiare.

 

Hannibal Lecter

Benefit per le/i prigionier*: solidali con alcun*, oppressori con altr*

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“…le ossa, il grasso, i muscoli e i tessuti di esseri che un tempo sono stati vivi e che sono stati massacrati per assicurarsi parti dei loro corpi. Questa scena vi travolge e, di colpo, scoppiate a piangere. Il dolore, la tristezza, lo shock vi sopraffanno, magari anche soltanto per pochi istanti. E, per un attimo, siete in lutto, siete in lutto per tutti gli animali senza nome che stanno di fronte a voi.”

 

James Stanescu, Questione di specie

 

 

La catena alimentare, la legge della natura, l’oppressione del più forte verso il più debole, la disuguaglianza, il dominio: il nostro è un mondo basato sulla prevaricazione che noi non accettiamo.

 

C’è chi dona la propria vita per un mondo liberato: tant* sono le/i compagn* che ci hanno lasciato e che ci lasceranno, uccis* o schiacciat* da una realtà che ci opprime ogni giorno. Tant* altr*, sacrificando la propria vita, finiscono in carcere: in gabbia. Dedichiamo la nostra esistenza a combattere le ingiustizie messe in atto dai più forti e spesso ci sentiamo impotenti di fronte a tanta violenza. Mentre siamo impegnati nelle nostre lotte, dobbiamo fare i conti anche con la repressione, facendo sentire meno soli le/i prigionier* con lettere, presidi sotto le carceri, iniziative e benefit per pagare le spese legali. Spesso, però, in questi benefit si serve carne, probabilmente perché ci si dimentica, o forse, più superficialmente, non si pensa che il contenuto di questo o quel piatto prima era un animale, un essere vivo e senziente come noi e come noi pieno di aspettative di vita, pensieri, felicità, tristezze e desideri. Istinto di libertà.

 

Come si può lottare per la libertà sfruttando la schiavitù di altri esseri che, come noi, desiderano solo essere liberi?

 

Finiamo in carcere perché non vogliamo un mondo di oppressione, senza renderci conto che, spesso, siamo noi gli oppressori. Accettare questo dato di fatto è il primo passo verso una consapevolezza generale che può permettere di realizzare un cambiamento, il cambiamento: quello verso la liberazione totale. La società in cui viviamo rende impossibile una vera coerenza, ma ciò non può e non deve sminuire i piccoli e i grandi passi che facciamo, possiamo e dobbiamo fare, se davvero vogliamo che la liberazione totale non sia un semplice slogan, ma diventi una realtà.

 

I nostri spazi, liberati dal mondo e dalla società capitalistica, fino a che punto sono veramente liberi?

 

La lotta non è, e non deve essere, rivolta solo contro l’esterno. Deve essere rivolta anche al nostro interno, contro le pratiche di abuso e di potere che spesso, più o meno inconsciamente, reiteriamo a nostra volta nei confronti di noi stess*, delle/dei compagn* e negli spazi liberati. Quella contro noi stess*, contro le strutture di dominio che ci sono state inculcate dalla cultura e dalla società, è forse la lotta più difficile da combattere. Ci impegniamo con tutte le forze per cambiare modo di vivere, per adottare un linguaggio, per intrecciare relazioni dove non ci sia posto per idee razziste e fasciste, machiste e maschiliste, omofobe e capitaliste. Siamo empatici con i deboli e con chi viene sopraffatto, perché apparteniamo tutti a una grande categoria: quella delle/degli oppress*, delle/degli sfruttat*.

 

Il rifiuto di collocarsi e collocare altr* in una scala gerarchica non può essere la scelta individuale di un singolo. Se così fosse, ne conseguirebbe che potremmo accettare e perfino rispettare ogni tipo di comportamento fascista. È una scelta che coinvolge necessariamente le/gli altr*, una scelta politica. Decidere di non cucinare e mangiare cibo ottenuto dallo sfruttamento e dalla morte degli animali è prima di tutto, infatti, una scelta politica, un’azione diretta e concreta contro ogni dominio. In quei piatti ci sono violenza e sfruttamento, la stessa violenza e lo stesso sfruttamento che ci consumano ogni giorno, sottraendoci tempo, vita e salute, trasformandoci in prodotti selezionabili nei banchi di quel supermercato chiamato capitalismo.

 

Rifiutarsi di consumare qualsiasi prodotto derivato dalla schiavitù e dalla prigionia di altri individui, umani e non umani, è l’unico modo per sottrarsi alla struttura oppressiva di ogni gerarchia, per eliminare definitivamente ogni forma di sfruttamento e di dominio dalle nostre pratiche politiche. Distruggiamo tutte le prigioni, non solo quelle degli animali umani.

 

Perché fino a quando esisteranno gabbie e sbarre, nessun* potrà mai essere liber*.

 

Alcune individualità antispeciste – azione-antispecista@krutt.org

CIVITAVECCHIA – COMUNICATO FAI/FRI SU ATTACCO AL TRIBUNALE

Ritengo importante premettere questo testo di rivendicazione sull’Attacco al tribunale di Civitavecchia del Comitato pirotecnico per un anno straordinario, F.A.I/F.R.I.

Molto spesso chi diffonde notizie di attacchi, azioni e di tutto quello che concerne la realtà antagonista nel mondo lo fa in maniera quasi asettica, prendendo notizie, o ricevendole e facendole circolare nel web.

Oggi mi sento di dare pieno appoggio e affinità di pensiero e azione a questo gruppo che ha coniugato l’ideologia con la pratica, colpendo uno dei simboli più forti della repressione statale :Il TRIBUNALE luogo, dove ogni giorno vengono giudicate, sulla base di codici creati da uomini per gli uomini per la pacificazione e l’annullamento dell’individuo, migliaia di persone, dove capeggia sulle teste togate “ La Lagge è Uguale Per Tutti”,ma chi riconosce la vostra legge?

Come anarchica affermo che non riconosco la vostra legge e non riconosco i vostri tribunali di uguaglianza democratica, ma riconosco a me affini i fratelli che in quella notte hanno piantato il seme anarchico della disubbidienza .

S.Z.

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“ Il mio core aborre e sfida

I potenti della terra,

il mio braccio muove guerra al codardo all’oppressor”

(Amore ribelle – Pietro Gori)

 

Viviamo in un stato di guerra permanente globale, la guerra perenne tra oppressori, lo sappiamo noi e lo sanno protagonisti principali e secondari del dominio. Soprattutto lo sanno gli oppressi, che subiscono l’arbitrio del potere sulle loro vite.

Proprio in questo momento assistiamo nelle strade del ricco ed opulento Occidente al passaggio di carri armati e di militari, all’aumento di controlli e presidi di difesa dell’ordine del commercio e del consumo, alla militarizzazione del territorio.

Cambiamenti che saltano agli occhi anche del più assopito degli animi, ma che la strategia di controllo globale cercherà di renderci digeribili.

 

“Tra gli sfruttati, signori,

si possono distinguere due categorie:

gli uni non si rendono conto né di quel che sono né di quel che potrebbero essere,

prendono la vita come viene, convinti che sono nati per essere schiavi,

felici del boccone che a loro si butta in cambio del loro lavoro,

ma altri ve ne sono che pensano, che studiano

e gittando attorno lo sguardo vi colgono flagranti le iniquità sociali”

(Auguste Vaillant)

 

Non siamo così miopi da ritenere che questa guerra globale abbia schieramenti così netti e marcati. Così come riconosciamo bene nemici della libertà, non possiamo sopportare la rassegnazione e la tolleranza di chi è ogni giorno disposto a cedere un pezzo della propria vita. E’ per questo che non ci illudiamo di lavorare per alcuna rivoluzione, abbiamo chiaro in mente che l’unica anarchia realizzabile è quella che viviamo quando finalmente ci liberiamo di ogni giogo e decidiamo di attaccare il dominio. Esperienza che sentiamo di condividere con compagni/e di tutto il mondo aderenti al progetto di diffusione del seme anarchico F.A.I/F.RI.

 

Stanotte questo seme l’abbiamo piantato sotto forma di ordigno esplosivo piazzato in un dei luoghi chiave sparsi nel territorio della repressione statale: il tribunale di Civitavecchia. Noi la nostra libertà abbiamo deciso di prendercela. Abbiamo affilato strumenti, analizzato tattiche, perché abbiamo sete d’anarchia, e siamo impazienti.

 

Tribunali e carceri sono semplici avamposti del dominio; luoghi non solo simbolici, ma fisici, dove lo Stato e l’autorità sigillano con il marchio della condanna, della colpa, della reclusione ed esclusione quanti non si adeguano ai dettami del controllo globale.

 

Mentre si spalancano porte sante per diffondere sentimenti miseri come pietà e misericordia, noi abbattiamo muri ideologici e reali per permettere all’odio che ci anima di riconciliarsi con l’amore per una vita libera. Oggi abbiamo agito convinti che le esperienze dei/lle compagni/e che abbiamo perso, come quelle di chi è rinchiuso od in fuga, non vogliamo portarle con noi in qualche antro del cuore, ma liberarle lasciando che armino le nostre mani, scaldino la nostra carne.

Per questo il nostro saluto va ai/lle compagni/e prigionieri/e che con la loro non sottomissione contribuiscono al diffondersi di una sovversione gioiosa e consapevole.

 

LIBERTA’PER I/LE PRIGIONERI/E ANARCHICHI/CHE IN TUTTO IL MONDO! FUOCO ALLE CARCERI!! POLVERE NERA AI TRIBUNALI!!!

LUNGA VITA ALLA F.A.I/F.R.I.

 

Comitato pirotecnico per un anno straordinario, F.A.I/F.R.I.

Korydallos Prison, Grecia : Aggiornamento sulle nuove repressioni contro CCF & Nikos Romanos

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Via:https://insurrectionnewsworldwide.wordpress.com/2016/01/21/korydallos-prison-greece-update-on-new-repressions-against-ccf-nikos-romanos/

Prigione Koridallos, Grecia

Ieri,20 gennaio, ancora una volta  una perquisizione a sorpresa è stata  condotta  all’interno delle celle che ospitano i  membri dell’organizzazione anarchica Cospirazione delle Cellule di Fuoco (CCF), così come il prigioniero anarchico Nikos Romanos,  nella sezione A del carcere di  Korydallos.

La perquisizione è stata coordinata dal funzionario della prigione Vittoria Marsioni che già in precedenza aveva minacciato i membri della CCF di trasferimenti disciplinari in altre strutture, dopo che avevano esposto uno striscione in solidarietà con lo sciopero della fame dell’anarchica Evi Statiri.

È più che certo che la Marsioni non agisca indipendentemente, ma riceva ordini dall’alto, e questa recente perquisizione non è altro che un sistematico esercizio per fare pressione sui membri della CCF orchestrato dai funzionari“di sinistra” del Ministero di Giustizia e della polizia antiterrorismo.

Sulla lotta contro il Cie di Restinco-Brindisi

http://www.radiocane.info/cie_restinco/

 

L’autunno scorso riapriva il Cie di Restinco, Brindisi, restato a lungo chiuso grazie alla sete di libertà dei reclusi che, di ribellione in rivolta, lo avevano reso inagibile. Sin dalla sua riapertura, “alcuni nemici di ogni frontiera” hanno cominciato a muoversi per rompere l’isolamento cui vorrebbero costringere gli internati. Le misure repressive scattate successivamente ai danni di alcuni compagni (fogli di via, arresti domiciliari, obblighi di dimora) non fanno altro che ribadire la volontà di tenere nascosta e in silenzio la realtà dei lager della democrazia. Della funzione del Cie di Brindisi nell’odierno sistema di gestione degli immigrati, e delle azioni di lotta portate avanti negli ultimi mesi, ci siamo fatti raccontare da due compagni leccesi, anche in vista della tre giorni contro le frontiere prevista a Lecce e Brindisi tra il 18 e il 20 febbraio 2015.

 

http://www.radiocane.info/cie_restinco/

Atto di rivolta, bene privato?

Scelgo di pubblicare l’articolo di Finimondo, sottoscrivendo ogni parola, e preferendo questo “atto di rivolta scritto” a qualsiasi rivendicazione pubblicata in questi ultimi giorni e ai vari distinguo “in buona fede”. S.Z.

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Certo, fino allo scorso millennio le cose erano più semplici. Di fronte ad un atto di rivolta c’era chi condannava e prendeva pubblicamente le distanze, c’era chi metteva la testa sotto la sabbia e faceva finta di niente, e c’era chi lo sosteneva apertamente. E non si sta qui parlando delle rivendicazioni diffuse dagli autori di quegli atti. Stiamo parlando di tutti coloro che pubblicamente esprimevano la propria approvazione, il proprio sostegno, la propria solidarietà a quelle azioni. Prendere le difese della rivolta, darle tutte le ragioni, esprimerne tutte le passioni, non dovrebbe stare a cuore ad ogni sovversivo? E prendersi questa libertà di pensiero e di parola non dovrebbe essere il minimo da fare?
Essendo difficile individuare gli autori materiali di quegli atti, ma conoscendo bene l’identità di coloro che li sostenevano pubblicamente, non di rado gli inquirenti hanno iniziato a incriminare i secondi imputando loro la paternità del fatto. Basandosi su una ipotesi, naturalmente, dato che la coincidenza fra primi e secondi non può certo essere data per scontata. Forse sì, forse no, forse solo per alcuni, forse solo in qualche caso. Ma ad uno sbirro, cosa volete che importi? Uno sbirro non fa tante distinzioni ed in fondo frenare l’idea è già qualcosa, è già un primo passo per ostacolare ed arginare anche l’azione. A titolo di esempio, a quanti anarchici è capitato di essere inquisiti perché rei di redigere pubblicazioni in cui si gioiva davanti ad atti di rivolta o di disordine? È facile capire la domanda che passa per la mente di un inquisitore: perché costoro sostengono apertamente simili atti? È chiaro che nessuna persona dabbene lo farebbe. Un simile comportamento è losco, sospetto… insomma, devono essere stati loro, e se non sono stati loro poco ci manca!
Probabilmente l’incriminazione di quella idea, con tutte le noie che ciò comporta, non è estranea al dilagare nel corso degli anni di una abitudine un tempo poco presente. Oggi, di fronte ad un atto di rivolta, c’è ancora chi condanna e si dissocia (pavidità che per altro è sconfinata dai ranghi delle organizzazioni militanti più mummificate) e chi ostenta indifferenza. Per il resto, in molti hanno iniziato a dare notizia di ciò che considerano più entusiasmante limitandosi a riprodurre scrupolosamente quanto scritto dai giornalisti, specificando la provenienza della fonte. Il risultato è che oggi i sovversivi che prendono pubblicamente le difese degli atti di rivolta sono quasi scomparsi, mentre proliferano quelli che al massimo copiano-e-incollano quanto battuto dalle agenzie stampa.
Tutto ciò ha avuto come effetto un ulteriore rafforzamento della vecchia supposizione sbirresca secondo cui una infrazione della legge possa essere apertamente apprezzata solo da chi l’ha compiuta. Basti pensare ai giornalisti, che da qualche tempo sono soliti definire «rivendicazione» ogni testo favorevole ad un atto di rivolta. Oppure basti pensare a quei leaderini militonti che un anno fa ci hanno pubblicamente indicato quali responsabili di alcuni sabotaggi all’Alta Velocità in quanto animatori di un sito che ha sempre sostenuto tale pratica. Sta diventando quasi un luogo comune, solo chi compie determinati atti di rivolta può sostenere apertamente determinati atti di rivolta. Nessun altro. Chiunque altro deve  — se non condannare o dissociarsi — stare zitto, fare finta di niente, non esprimersi, al massimo riportare la notizia nella maniera più asettica possibile prendendola dalla stampa di regime.
Ebbene, abbiamo appena scoperto che a quanto pare questa brillante logica non rimbalza solo nel desolante cervello di sbirri e loro servitori, ma frulla anche nella testolina di qualche anarchico. La cosa — considerati i tempi — non ci ha stupito più di tanto.
Ne prendiamo atto. Ma per noi sostenere un atto di rivolta, non solo non ha nulla a che vedere col ripetere pari pari le parole dei mass media, non ha nulla a che vedere nemmeno col compiacere gli autori materiali di quell’atto. Men che meno quando questi avanzano la stessa, identica pretesa di chi vorrebbe che fuori dalle condanne, dal silenzio e dalle veline ci debbano essere solo e soltanto rivendicazioni (nemmeno se questa pretesa fosse sostenuta in «buona fede», impensato effetto collaterale di una bizza).
Ecco, ci mancava solo questa. Dopo il cittadinismo che vorrebbe trasformare i bagliori notturni collettivi in bene comune, arriva un certo nichilismo che vorrebbe trasformare i bagliori notturni individuali in bene privato. Anche in questo caso, no, non siamo affatto d’accordo. A nostro avviso sostenere gli atti di rivolta dovrebbe essere opera di tutti i compagni, non solo di chi li compie. E poiché è auspicabile che i singoli compagni non abbiano un pensiero unico ed un linguaggio unico, è altrettanto auspicabile che ognuno sostenga la rivolta come meglio preferisce. Le sue ragioni, come le sue passioni, non ne usciranno affatto scalfite o strumentalizzate in quanto poco rispettose dei diritti d’autore, ma arricchite, ampliate, differenziate. Sostenere, difendere, allargare le ragioni della rivolta significa metterla a disposizione di tutti, significa cercare una breccia per portarla nel cuore di ciascuno, significa tentare di farla estendere e generalizzare. Ipotesi che evidentemente non interessa ai contemplatori della propria immagine, secondo i quali ciò che fanno può essere apprezzato solo da loro stessi e da chi ne ricalca la singola lettera. Come se un atto di rivolta fosse un fatto privato, esclusiva proprietà di chi è in grado di certificarne la paternità.
Ma se la rivolta è come la poesia e deve essere fatta da tutti, se il modo migliore per difendere la libertà di pensiero e di parola è quello di esercitarla, allora da parte nostra ci auguriamo che si abbandoni l’insulso copia-e-incolla e si inizi (o si torni) a sostenere apertamente gli atti di rivolta usando ciascuno il proprio linguaggio e le proprie ragioni. I difensori dell’ordine pubblico andranno a caccia di streghe, è possibile. I capipopolo della militanza politica andranno a caccia di provocatori, è probabile. I rivoluzionari armati doc andranno a caccia di infedeli alla linea, è verosimile.
E allora?
[8/1/16]

 

“Non mi pento di niente…”: dichiarazione politica di Christos Tsakalos per il terzo processo delle CCF ( Grecia )

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Giovedì del 5 novembre mi è stato chiesto di chiedere scusa alla prima corte per il processo condotto negli ultimi 2 anni e mezzo contro la Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

È il processo per i 250 attacchi dell’organizzazione.

In un’aula di tribunale all’interno del carcere, piena di giudici, telecamere, poliziotti, agenti segreti, pochi parenti e ancore meno amici e compagni, giudicavano le azioni della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

Ma come potevano stare in pochi metri quadrati le nostre azioni che avevano cercato di sfidare la storia saggia e obbediente del nostro tempo…

Un’azione che aveva  interrotto il sonno eterno delle tranquille “pacifiche” persone per molte notti, agitato attraverso le esplosioni dei silenzi schiavi delle metropoli e con i nostri proclami ha negato i ruoli di una vita dove la violenza dei padroni è sempre presente e noi siamo costantemente assenti…

Attraverso I nostri attacchi volevamo distruggere la tirannia di una realtà brutale. Volevamo capovolgere l’equilibrio del terrore di una meccanica vita di routine. Abbiamo cercato di distruggere il compromesso con la morte causata dalla schiavitù del salario, il controllo tecnologico, le relazioni vuote e noiose.

Volevamo fare la guerra contro la ”pace” delle banche, dei giudici, dei ricchi, degli sbirri, dei fascisti, dei giornalisti, dei politici, ma anche con i “pacifici” cittadini che invece di urlare, e di essere arrabbiati, sono nascosti nella rassegnazione e invecchiano con i loro mobili…Questi cittadini  “pacifici” e rispettosi della legge sono i più responsabili di tutti, perché attraverso la loro “tranquillità” permettono che la bruttura governi le nostre vite.

Di chi la giustizia giudicherà giustamente allora? Dopo essere passato  attraverso tutte le tappe cerimoniali della giustizia, procuratore- avvocato-custodia, nuove persecuzioni, nuovi rinvii a giudizio, custodia dei parenti, testimoni, ora mi chiedono di scusarmi…

Non gli darò questa soddisfazione. Non una singola parola al nemico. Mi rifiuto di impersonare il ruolo dell’accusato. Posso essere stato ammanettato,  i miei anni richiusi e il filo spinato fino al cielo, controllato dalle telecamere, ma il mio desiderio di portare avanti la lotta armata brucia dentro me come il ferro incandescente…

L’unico modo per biasimare me stesso sarebbe quello di rimanere inattivo, ubbidiente, disciplinato come uno schiavo domestico che gode di una libertà menomata. Rifiuto, dunque, di scusarmi con la teologia della vostra giustizia che non tollera la blasfemia di una vita libera. Né ho intenzione di partecipare a un dialogo velato tra sordi pretesti rispondendo a alcuna domanda dei giudici…

Ciò che scrivo qui non è per uso giudiziario.

È per I compagni, per gli anarchici, per gli amici, per gli irresponsabili, i piantagrane, per la memoria della lotta.

Sono accusato, insieme agli altri membri della Cospirazione delle Cellule di Fuco e altri anarchici, nel caso dei “250 attacchi incendiari ed esplosivi” contro il parlamento, uffici di partiti [politici], case di ministri e pubblici ministeri, banche, organizzazioni giornalistiche, strutture carcerarie, multinazionali, edifici militari, chiese, stazioni di polizia, tribunali, servizi di sicurezza, sistemi di telecamere e sicurezza, gli uffici della Golden Dawn [partito neonazista], concessionarie di auto di lusso, agenzie governative, veicoli diplomatici ecc..

Fin dal primo momento del mio arresto mi sono rivendicato e sono onorato di far parte della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

 

Rivendicarsi significa non deporre le armi.

 

Rivendicarsi significa” Io non mi pento di nulla”

 

Rivendicarsi significa che la paura non ha vinto

 

Rivendicarsi significa che la battaglia continua

 

La rivendicazione è una promessa che la guerriglia imprigionata tornerà sulla “scena del crimine”, che lui o lei marceranno ancora sui sentieri della libertà illegale.

Allo stesso tempo è un segnale di complicità ai nuovi compagni per portare avanti quello che la repressione ha fermato. Perché ci saranno sempre mani che rialzeranno la pistola caduta al prigioniero, ci saranno sempre menti libere e cuori generosi per continuare a scrivere la storia del mondo dall’interno verso l’esterno.

 

Questo rifiuto di arrendersi e le sue prospettive, spaventare i tiranni e i proprietari della paura.

Dopo così tanti arresti, interrogatori, anni di prigione, nuove accuse, condanne  pesanti, non sono riusciti a suscitare in me un solo briciolo di rimorso. È questo è il motivo per cui alimentano nuove bugie e ricatti subdoli.

In seguito alla divulgazione del piano di fuga della Cospirazione delle Cellule di Fuoco hanno tirato fuori una nuova versione della caccia alle streghe, arrestato madri, mogli e fratelli, hanno istituito nuovi luoghi di esilio designato ad una quarantena di un kilometro quadrato di “libertà”, hanno impedito ogni tipo di comunicazione a mio fratello e alla sua compagna e volevano alzare le mura dell’isolamento toltale.

Allo stesso tempo hanno reso più fitta la nebbia della repressione, mandando un chiaro messaggio ai nostri compagni affini:” chiunque comunichi con i prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, si potrebbe  ritrovare nella cella vicina “.

Sbirri e giudici erano ansiosi di guadagnare un trofeo con la sporca guerra che avevano scatenato, una strategia volta a piegare, un’esitazione, una minima traccia di cessate il fuoco…invano

Per quanto mi abbiano fatto sanguinare dentro, alla fine la mia volontà si è armata ancora di più.

Non voglio parlare delle irregolarità giuridiche, dei contratti politici di convenienza, dei metodi di polizia e della mancanza di prove.

Ve lo concedo giudici, la civiltà giuridica ed il prezzo di migliaia di voci che risuonano in prigione per le migliaia di anni di cui sono stati privati nelle tombe di cemento dove voi li avete condannati a vivere come morti-viventi…

Inoltre come stipate files nelle vostre cassettiere, cosi stipate vite umane nelle celle delle prigioni con la compostezza di un ragioniere che deposita i suoi conti. I vostri abiti e le vostre giacche grondano sangue e l’ipocrisia della vostra giustizia non lo può lavare via.

Mi incolpate per i 250 attacchi contro l’Impero che servite, ma per me le vostre accuse sono medaglie d’onore.

Naturalmente , non ho nessuna intenzione di dirvi dove ero e quale fosse la mia parte, come non intendo dare nessuna prova dell’azione della guerriglia della Cospirazione delle Cellule di Fuoco al nemico.

Se volete, tuttavia potete considerare che ero in tutti gli attacchi della Cospirazione, come farei in qualsiasi attacco che sfida la tirannia di questo mondo: gli scontri e le barricate in Chile, nelle manifestazioni e gli scontri di strada in Messico, tra gli incendi di Bruxelles, in mezzo agli antifascisti in Germania, accanto ai compagni della Federazione Anarchica Informale in Italia, fra i riots in Inghilterra, durante la liberazione dei territori in Rojava, ai moti in Cisgiordania, nelle notti buie che avvolgono i cospiratori anarchici dell’azione…in ogni luogo dove ci sono esseri umani che non si inginocchiano, che non sopportano  le disuguaglianze, dove i vivi osano…

Il fatto che la storia la scrivano i vincitori in ville lussuose, uffici di corporazioni, parlamenti, i mezzi d’informazione, le corti, commissariati di polizia, ciò non significa che la nostra storia non esista. La storia della lotta, delle ribellioni, delle rivoluzioni, delle rivolte, della sfida, della solidarietà, degli attacchi della guerriglia, questa è “ dei pochi pazzi felici” che disprezzavano il loro tempo e hanno marciato contro di essa per il suo rovesciamento.

L’azione della Cospirazione delle Cellule di Fuoco essendo sotto processo oggi, è un’istantanea di questa storia. Piccola come una goccia di storia, ma con le sue angolazioni intense e taglienti…Angoli che continueranno a lasciare profondi graffi in questo mondo di autorità, perché la Cospirazione sarà nuovamente riorganizzata, recuperando le sue esperienze, vittorie e sconfitte, in una lotta senza fine.

 

E se in questo momento,  sono in carcere, ciò non significa che la lotta non vale la pena o che sta portando da nessuna parte …

 

E se oggi il regno del disfattismo e della rassegnazione sta governando il cuore della gente. E se molti vengono puntando il loro dito con aria di rimprovero dicendo:” e dunque cosa si è ottenuto con le armi e con le bombe? “, non è necessario rispondere.

L’esistenza di un mondo che bombarda con la morte dal cielo, costruisce muri con filo spinato per ostacolare dei perseguitati, obbliga bambini a cercare cibo nella spazzatura, porta alla morte ogni giorno milioni di persone a causa dello strangolamento della crisi finanziaria, scambia la vita con delle immagini su schermi freddi, stupra e saccheggia la natura. È il miglior argomento per cui la guerriglia anarchica è l’unica espressione di vita che sceglierei mille volte ancora e ancora.

Concludendo, mi domando  cosa faccia più infuriare : le vostre miserabili leggi o la miseria delle persone che le accettano e obbediscono.

L’unica cosa sicura è che questo mondo e I suoi falsi idoli sono stati costruiti con la violenza e solo con la violenza possono essere abbattuti.

Per questo motive contro la tirannia della realtà che avete imposto alla gente i scelgo per sempre il magico realismo dell’anarchia e sella rivoluzione senza fine.

Ora, giudici mi potete condannare.

Non mi pento di nulla.

 

Christos Tsakalos

COSPIRAZIONE DELLE CELLULE DI FUOCO  – FAI-IRF

Basement Annex

Prigione  di Korydallos

 

04/11/2015…