CIVITAVECCHIA – COMUNICATO FAI/FRI SU ATTACCO AL TRIBUNALE

Ritengo importante premettere questo testo di rivendicazione sull’Attacco al tribunale di Civitavecchia del Comitato pirotecnico per un anno straordinario, F.A.I/F.R.I.

Molto spesso chi diffonde notizie di attacchi, azioni e di tutto quello che concerne la realtà antagonista nel mondo lo fa in maniera quasi asettica, prendendo notizie, o ricevendole e facendole circolare nel web.

Oggi mi sento di dare pieno appoggio e affinità di pensiero e azione a questo gruppo che ha coniugato l’ideologia con la pratica, colpendo uno dei simboli più forti della repressione statale :Il TRIBUNALE luogo, dove ogni giorno vengono giudicate, sulla base di codici creati da uomini per gli uomini per la pacificazione e l’annullamento dell’individuo, migliaia di persone, dove capeggia sulle teste togate “ La Lagge è Uguale Per Tutti”,ma chi riconosce la vostra legge?

Come anarchica affermo che non riconosco la vostra legge e non riconosco i vostri tribunali di uguaglianza democratica, ma riconosco a me affini i fratelli che in quella notte hanno piantato il seme anarchico della disubbidienza .

S.Z.

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“ Il mio core aborre e sfida

I potenti della terra,

il mio braccio muove guerra al codardo all’oppressor”

(Amore ribelle – Pietro Gori)

 

Viviamo in un stato di guerra permanente globale, la guerra perenne tra oppressori, lo sappiamo noi e lo sanno protagonisti principali e secondari del dominio. Soprattutto lo sanno gli oppressi, che subiscono l’arbitrio del potere sulle loro vite.

Proprio in questo momento assistiamo nelle strade del ricco ed opulento Occidente al passaggio di carri armati e di militari, all’aumento di controlli e presidi di difesa dell’ordine del commercio e del consumo, alla militarizzazione del territorio.

Cambiamenti che saltano agli occhi anche del più assopito degli animi, ma che la strategia di controllo globale cercherà di renderci digeribili.

 

“Tra gli sfruttati, signori,

si possono distinguere due categorie:

gli uni non si rendono conto né di quel che sono né di quel che potrebbero essere,

prendono la vita come viene, convinti che sono nati per essere schiavi,

felici del boccone che a loro si butta in cambio del loro lavoro,

ma altri ve ne sono che pensano, che studiano

e gittando attorno lo sguardo vi colgono flagranti le iniquità sociali”

(Auguste Vaillant)

 

Non siamo così miopi da ritenere che questa guerra globale abbia schieramenti così netti e marcati. Così come riconosciamo bene nemici della libertà, non possiamo sopportare la rassegnazione e la tolleranza di chi è ogni giorno disposto a cedere un pezzo della propria vita. E’ per questo che non ci illudiamo di lavorare per alcuna rivoluzione, abbiamo chiaro in mente che l’unica anarchia realizzabile è quella che viviamo quando finalmente ci liberiamo di ogni giogo e decidiamo di attaccare il dominio. Esperienza che sentiamo di condividere con compagni/e di tutto il mondo aderenti al progetto di diffusione del seme anarchico F.A.I/F.RI.

 

Stanotte questo seme l’abbiamo piantato sotto forma di ordigno esplosivo piazzato in un dei luoghi chiave sparsi nel territorio della repressione statale: il tribunale di Civitavecchia. Noi la nostra libertà abbiamo deciso di prendercela. Abbiamo affilato strumenti, analizzato tattiche, perché abbiamo sete d’anarchia, e siamo impazienti.

 

Tribunali e carceri sono semplici avamposti del dominio; luoghi non solo simbolici, ma fisici, dove lo Stato e l’autorità sigillano con il marchio della condanna, della colpa, della reclusione ed esclusione quanti non si adeguano ai dettami del controllo globale.

 

Mentre si spalancano porte sante per diffondere sentimenti miseri come pietà e misericordia, noi abbattiamo muri ideologici e reali per permettere all’odio che ci anima di riconciliarsi con l’amore per una vita libera. Oggi abbiamo agito convinti che le esperienze dei/lle compagni/e che abbiamo perso, come quelle di chi è rinchiuso od in fuga, non vogliamo portarle con noi in qualche antro del cuore, ma liberarle lasciando che armino le nostre mani, scaldino la nostra carne.

Per questo il nostro saluto va ai/lle compagni/e prigionieri/e che con la loro non sottomissione contribuiscono al diffondersi di una sovversione gioiosa e consapevole.

 

LIBERTA’PER I/LE PRIGIONERI/E ANARCHICHI/CHE IN TUTTO IL MONDO! FUOCO ALLE CARCERI!! POLVERE NERA AI TRIBUNALI!!!

LUNGA VITA ALLA F.A.I/F.R.I.

 

Comitato pirotecnico per un anno straordinario, F.A.I/F.R.I.

Korydallos Prison, Grecia : Aggiornamento sulle nuove repressioni contro CCF & Nikos Romanos

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Via:https://insurrectionnewsworldwide.wordpress.com/2016/01/21/korydallos-prison-greece-update-on-new-repressions-against-ccf-nikos-romanos/

Prigione Koridallos, Grecia

Ieri,20 gennaio, ancora una volta  una perquisizione a sorpresa è stata  condotta  all’interno delle celle che ospitano i  membri dell’organizzazione anarchica Cospirazione delle Cellule di Fuoco (CCF), così come il prigioniero anarchico Nikos Romanos,  nella sezione A del carcere di  Korydallos.

La perquisizione è stata coordinata dal funzionario della prigione Vittoria Marsioni che già in precedenza aveva minacciato i membri della CCF di trasferimenti disciplinari in altre strutture, dopo che avevano esposto uno striscione in solidarietà con lo sciopero della fame dell’anarchica Evi Statiri.

È più che certo che la Marsioni non agisca indipendentemente, ma riceva ordini dall’alto, e questa recente perquisizione non è altro che un sistematico esercizio per fare pressione sui membri della CCF orchestrato dai funzionari“di sinistra” del Ministero di Giustizia e della polizia antiterrorismo.

Sulla lotta contro il Cie di Restinco-Brindisi

http://www.radiocane.info/cie_restinco/

 

L’autunno scorso riapriva il Cie di Restinco, Brindisi, restato a lungo chiuso grazie alla sete di libertà dei reclusi che, di ribellione in rivolta, lo avevano reso inagibile. Sin dalla sua riapertura, “alcuni nemici di ogni frontiera” hanno cominciato a muoversi per rompere l’isolamento cui vorrebbero costringere gli internati. Le misure repressive scattate successivamente ai danni di alcuni compagni (fogli di via, arresti domiciliari, obblighi di dimora) non fanno altro che ribadire la volontà di tenere nascosta e in silenzio la realtà dei lager della democrazia. Della funzione del Cie di Brindisi nell’odierno sistema di gestione degli immigrati, e delle azioni di lotta portate avanti negli ultimi mesi, ci siamo fatti raccontare da due compagni leccesi, anche in vista della tre giorni contro le frontiere prevista a Lecce e Brindisi tra il 18 e il 20 febbraio 2015.

 

http://www.radiocane.info/cie_restinco/

Atto di rivolta, bene privato?

Scelgo di pubblicare l’articolo di Finimondo, sottoscrivendo ogni parola, e preferendo questo “atto di rivolta scritto” a qualsiasi rivendicazione pubblicata in questi ultimi giorni e ai vari distinguo “in buona fede”. S.Z.

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Certo, fino allo scorso millennio le cose erano più semplici. Di fronte ad un atto di rivolta c’era chi condannava e prendeva pubblicamente le distanze, c’era chi metteva la testa sotto la sabbia e faceva finta di niente, e c’era chi lo sosteneva apertamente. E non si sta qui parlando delle rivendicazioni diffuse dagli autori di quegli atti. Stiamo parlando di tutti coloro che pubblicamente esprimevano la propria approvazione, il proprio sostegno, la propria solidarietà a quelle azioni. Prendere le difese della rivolta, darle tutte le ragioni, esprimerne tutte le passioni, non dovrebbe stare a cuore ad ogni sovversivo? E prendersi questa libertà di pensiero e di parola non dovrebbe essere il minimo da fare?
Essendo difficile individuare gli autori materiali di quegli atti, ma conoscendo bene l’identità di coloro che li sostenevano pubblicamente, non di rado gli inquirenti hanno iniziato a incriminare i secondi imputando loro la paternità del fatto. Basandosi su una ipotesi, naturalmente, dato che la coincidenza fra primi e secondi non può certo essere data per scontata. Forse sì, forse no, forse solo per alcuni, forse solo in qualche caso. Ma ad uno sbirro, cosa volete che importi? Uno sbirro non fa tante distinzioni ed in fondo frenare l’idea è già qualcosa, è già un primo passo per ostacolare ed arginare anche l’azione. A titolo di esempio, a quanti anarchici è capitato di essere inquisiti perché rei di redigere pubblicazioni in cui si gioiva davanti ad atti di rivolta o di disordine? È facile capire la domanda che passa per la mente di un inquisitore: perché costoro sostengono apertamente simili atti? È chiaro che nessuna persona dabbene lo farebbe. Un simile comportamento è losco, sospetto… insomma, devono essere stati loro, e se non sono stati loro poco ci manca!
Probabilmente l’incriminazione di quella idea, con tutte le noie che ciò comporta, non è estranea al dilagare nel corso degli anni di una abitudine un tempo poco presente. Oggi, di fronte ad un atto di rivolta, c’è ancora chi condanna e si dissocia (pavidità che per altro è sconfinata dai ranghi delle organizzazioni militanti più mummificate) e chi ostenta indifferenza. Per il resto, in molti hanno iniziato a dare notizia di ciò che considerano più entusiasmante limitandosi a riprodurre scrupolosamente quanto scritto dai giornalisti, specificando la provenienza della fonte. Il risultato è che oggi i sovversivi che prendono pubblicamente le difese degli atti di rivolta sono quasi scomparsi, mentre proliferano quelli che al massimo copiano-e-incollano quanto battuto dalle agenzie stampa.
Tutto ciò ha avuto come effetto un ulteriore rafforzamento della vecchia supposizione sbirresca secondo cui una infrazione della legge possa essere apertamente apprezzata solo da chi l’ha compiuta. Basti pensare ai giornalisti, che da qualche tempo sono soliti definire «rivendicazione» ogni testo favorevole ad un atto di rivolta. Oppure basti pensare a quei leaderini militonti che un anno fa ci hanno pubblicamente indicato quali responsabili di alcuni sabotaggi all’Alta Velocità in quanto animatori di un sito che ha sempre sostenuto tale pratica. Sta diventando quasi un luogo comune, solo chi compie determinati atti di rivolta può sostenere apertamente determinati atti di rivolta. Nessun altro. Chiunque altro deve  — se non condannare o dissociarsi — stare zitto, fare finta di niente, non esprimersi, al massimo riportare la notizia nella maniera più asettica possibile prendendola dalla stampa di regime.
Ebbene, abbiamo appena scoperto che a quanto pare questa brillante logica non rimbalza solo nel desolante cervello di sbirri e loro servitori, ma frulla anche nella testolina di qualche anarchico. La cosa — considerati i tempi — non ci ha stupito più di tanto.
Ne prendiamo atto. Ma per noi sostenere un atto di rivolta, non solo non ha nulla a che vedere col ripetere pari pari le parole dei mass media, non ha nulla a che vedere nemmeno col compiacere gli autori materiali di quell’atto. Men che meno quando questi avanzano la stessa, identica pretesa di chi vorrebbe che fuori dalle condanne, dal silenzio e dalle veline ci debbano essere solo e soltanto rivendicazioni (nemmeno se questa pretesa fosse sostenuta in «buona fede», impensato effetto collaterale di una bizza).
Ecco, ci mancava solo questa. Dopo il cittadinismo che vorrebbe trasformare i bagliori notturni collettivi in bene comune, arriva un certo nichilismo che vorrebbe trasformare i bagliori notturni individuali in bene privato. Anche in questo caso, no, non siamo affatto d’accordo. A nostro avviso sostenere gli atti di rivolta dovrebbe essere opera di tutti i compagni, non solo di chi li compie. E poiché è auspicabile che i singoli compagni non abbiano un pensiero unico ed un linguaggio unico, è altrettanto auspicabile che ognuno sostenga la rivolta come meglio preferisce. Le sue ragioni, come le sue passioni, non ne usciranno affatto scalfite o strumentalizzate in quanto poco rispettose dei diritti d’autore, ma arricchite, ampliate, differenziate. Sostenere, difendere, allargare le ragioni della rivolta significa metterla a disposizione di tutti, significa cercare una breccia per portarla nel cuore di ciascuno, significa tentare di farla estendere e generalizzare. Ipotesi che evidentemente non interessa ai contemplatori della propria immagine, secondo i quali ciò che fanno può essere apprezzato solo da loro stessi e da chi ne ricalca la singola lettera. Come se un atto di rivolta fosse un fatto privato, esclusiva proprietà di chi è in grado di certificarne la paternità.
Ma se la rivolta è come la poesia e deve essere fatta da tutti, se il modo migliore per difendere la libertà di pensiero e di parola è quello di esercitarla, allora da parte nostra ci auguriamo che si abbandoni l’insulso copia-e-incolla e si inizi (o si torni) a sostenere apertamente gli atti di rivolta usando ciascuno il proprio linguaggio e le proprie ragioni. I difensori dell’ordine pubblico andranno a caccia di streghe, è possibile. I capipopolo della militanza politica andranno a caccia di provocatori, è probabile. I rivoluzionari armati doc andranno a caccia di infedeli alla linea, è verosimile.
E allora?
[8/1/16]

 

“Non mi pento di niente…”: dichiarazione politica di Christos Tsakalos per il terzo processo delle CCF ( Grecia )

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Giovedì del 5 novembre mi è stato chiesto di chiedere scusa alla prima corte per il processo condotto negli ultimi 2 anni e mezzo contro la Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

È il processo per i 250 attacchi dell’organizzazione.

In un’aula di tribunale all’interno del carcere, piena di giudici, telecamere, poliziotti, agenti segreti, pochi parenti e ancore meno amici e compagni, giudicavano le azioni della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

Ma come potevano stare in pochi metri quadrati le nostre azioni che avevano cercato di sfidare la storia saggia e obbediente del nostro tempo…

Un’azione che aveva  interrotto il sonno eterno delle tranquille “pacifiche” persone per molte notti, agitato attraverso le esplosioni dei silenzi schiavi delle metropoli e con i nostri proclami ha negato i ruoli di una vita dove la violenza dei padroni è sempre presente e noi siamo costantemente assenti…

Attraverso I nostri attacchi volevamo distruggere la tirannia di una realtà brutale. Volevamo capovolgere l’equilibrio del terrore di una meccanica vita di routine. Abbiamo cercato di distruggere il compromesso con la morte causata dalla schiavitù del salario, il controllo tecnologico, le relazioni vuote e noiose.

Volevamo fare la guerra contro la ”pace” delle banche, dei giudici, dei ricchi, degli sbirri, dei fascisti, dei giornalisti, dei politici, ma anche con i “pacifici” cittadini che invece di urlare, e di essere arrabbiati, sono nascosti nella rassegnazione e invecchiano con i loro mobili…Questi cittadini  “pacifici” e rispettosi della legge sono i più responsabili di tutti, perché attraverso la loro “tranquillità” permettono che la bruttura governi le nostre vite.

Di chi la giustizia giudicherà giustamente allora? Dopo essere passato  attraverso tutte le tappe cerimoniali della giustizia, procuratore- avvocato-custodia, nuove persecuzioni, nuovi rinvii a giudizio, custodia dei parenti, testimoni, ora mi chiedono di scusarmi…

Non gli darò questa soddisfazione. Non una singola parola al nemico. Mi rifiuto di impersonare il ruolo dell’accusato. Posso essere stato ammanettato,  i miei anni richiusi e il filo spinato fino al cielo, controllato dalle telecamere, ma il mio desiderio di portare avanti la lotta armata brucia dentro me come il ferro incandescente…

L’unico modo per biasimare me stesso sarebbe quello di rimanere inattivo, ubbidiente, disciplinato come uno schiavo domestico che gode di una libertà menomata. Rifiuto, dunque, di scusarmi con la teologia della vostra giustizia che non tollera la blasfemia di una vita libera. Né ho intenzione di partecipare a un dialogo velato tra sordi pretesti rispondendo a alcuna domanda dei giudici…

Ciò che scrivo qui non è per uso giudiziario.

È per I compagni, per gli anarchici, per gli amici, per gli irresponsabili, i piantagrane, per la memoria della lotta.

Sono accusato, insieme agli altri membri della Cospirazione delle Cellule di Fuco e altri anarchici, nel caso dei “250 attacchi incendiari ed esplosivi” contro il parlamento, uffici di partiti [politici], case di ministri e pubblici ministeri, banche, organizzazioni giornalistiche, strutture carcerarie, multinazionali, edifici militari, chiese, stazioni di polizia, tribunali, servizi di sicurezza, sistemi di telecamere e sicurezza, gli uffici della Golden Dawn [partito neonazista], concessionarie di auto di lusso, agenzie governative, veicoli diplomatici ecc..

Fin dal primo momento del mio arresto mi sono rivendicato e sono onorato di far parte della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

 

Rivendicarsi significa non deporre le armi.

 

Rivendicarsi significa” Io non mi pento di nulla”

 

Rivendicarsi significa che la paura non ha vinto

 

Rivendicarsi significa che la battaglia continua

 

La rivendicazione è una promessa che la guerriglia imprigionata tornerà sulla “scena del crimine”, che lui o lei marceranno ancora sui sentieri della libertà illegale.

Allo stesso tempo è un segnale di complicità ai nuovi compagni per portare avanti quello che la repressione ha fermato. Perché ci saranno sempre mani che rialzeranno la pistola caduta al prigioniero, ci saranno sempre menti libere e cuori generosi per continuare a scrivere la storia del mondo dall’interno verso l’esterno.

 

Questo rifiuto di arrendersi e le sue prospettive, spaventare i tiranni e i proprietari della paura.

Dopo così tanti arresti, interrogatori, anni di prigione, nuove accuse, condanne  pesanti, non sono riusciti a suscitare in me un solo briciolo di rimorso. È questo è il motivo per cui alimentano nuove bugie e ricatti subdoli.

In seguito alla divulgazione del piano di fuga della Cospirazione delle Cellule di Fuoco hanno tirato fuori una nuova versione della caccia alle streghe, arrestato madri, mogli e fratelli, hanno istituito nuovi luoghi di esilio designato ad una quarantena di un kilometro quadrato di “libertà”, hanno impedito ogni tipo di comunicazione a mio fratello e alla sua compagna e volevano alzare le mura dell’isolamento toltale.

Allo stesso tempo hanno reso più fitta la nebbia della repressione, mandando un chiaro messaggio ai nostri compagni affini:” chiunque comunichi con i prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, si potrebbe  ritrovare nella cella vicina “.

Sbirri e giudici erano ansiosi di guadagnare un trofeo con la sporca guerra che avevano scatenato, una strategia volta a piegare, un’esitazione, una minima traccia di cessate il fuoco…invano

Per quanto mi abbiano fatto sanguinare dentro, alla fine la mia volontà si è armata ancora di più.

Non voglio parlare delle irregolarità giuridiche, dei contratti politici di convenienza, dei metodi di polizia e della mancanza di prove.

Ve lo concedo giudici, la civiltà giuridica ed il prezzo di migliaia di voci che risuonano in prigione per le migliaia di anni di cui sono stati privati nelle tombe di cemento dove voi li avete condannati a vivere come morti-viventi…

Inoltre come stipate files nelle vostre cassettiere, cosi stipate vite umane nelle celle delle prigioni con la compostezza di un ragioniere che deposita i suoi conti. I vostri abiti e le vostre giacche grondano sangue e l’ipocrisia della vostra giustizia non lo può lavare via.

Mi incolpate per i 250 attacchi contro l’Impero che servite, ma per me le vostre accuse sono medaglie d’onore.

Naturalmente , non ho nessuna intenzione di dirvi dove ero e quale fosse la mia parte, come non intendo dare nessuna prova dell’azione della guerriglia della Cospirazione delle Cellule di Fuoco al nemico.

Se volete, tuttavia potete considerare che ero in tutti gli attacchi della Cospirazione, come farei in qualsiasi attacco che sfida la tirannia di questo mondo: gli scontri e le barricate in Chile, nelle manifestazioni e gli scontri di strada in Messico, tra gli incendi di Bruxelles, in mezzo agli antifascisti in Germania, accanto ai compagni della Federazione Anarchica Informale in Italia, fra i riots in Inghilterra, durante la liberazione dei territori in Rojava, ai moti in Cisgiordania, nelle notti buie che avvolgono i cospiratori anarchici dell’azione…in ogni luogo dove ci sono esseri umani che non si inginocchiano, che non sopportano  le disuguaglianze, dove i vivi osano…

Il fatto che la storia la scrivano i vincitori in ville lussuose, uffici di corporazioni, parlamenti, i mezzi d’informazione, le corti, commissariati di polizia, ciò non significa che la nostra storia non esista. La storia della lotta, delle ribellioni, delle rivoluzioni, delle rivolte, della sfida, della solidarietà, degli attacchi della guerriglia, questa è “ dei pochi pazzi felici” che disprezzavano il loro tempo e hanno marciato contro di essa per il suo rovesciamento.

L’azione della Cospirazione delle Cellule di Fuoco essendo sotto processo oggi, è un’istantanea di questa storia. Piccola come una goccia di storia, ma con le sue angolazioni intense e taglienti…Angoli che continueranno a lasciare profondi graffi in questo mondo di autorità, perché la Cospirazione sarà nuovamente riorganizzata, recuperando le sue esperienze, vittorie e sconfitte, in una lotta senza fine.

 

E se in questo momento,  sono in carcere, ciò non significa che la lotta non vale la pena o che sta portando da nessuna parte …

 

E se oggi il regno del disfattismo e della rassegnazione sta governando il cuore della gente. E se molti vengono puntando il loro dito con aria di rimprovero dicendo:” e dunque cosa si è ottenuto con le armi e con le bombe? “, non è necessario rispondere.

L’esistenza di un mondo che bombarda con la morte dal cielo, costruisce muri con filo spinato per ostacolare dei perseguitati, obbliga bambini a cercare cibo nella spazzatura, porta alla morte ogni giorno milioni di persone a causa dello strangolamento della crisi finanziaria, scambia la vita con delle immagini su schermi freddi, stupra e saccheggia la natura. È il miglior argomento per cui la guerriglia anarchica è l’unica espressione di vita che sceglierei mille volte ancora e ancora.

Concludendo, mi domando  cosa faccia più infuriare : le vostre miserabili leggi o la miseria delle persone che le accettano e obbediscono.

L’unica cosa sicura è che questo mondo e I suoi falsi idoli sono stati costruiti con la violenza e solo con la violenza possono essere abbattuti.

Per questo motive contro la tirannia della realtà che avete imposto alla gente i scelgo per sempre il magico realismo dell’anarchia e sella rivoluzione senza fine.

Ora, giudici mi potete condannare.

Non mi pento di nulla.

 

Christos Tsakalos

COSPIRAZIONE DELLE CELLULE DI FUOCO  – FAI-IRF

Basement Annex

Prigione  di Korydallos

 

04/11/2015…

DOPO TANTO TEMPO (breve riflessione)

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Sono tanti anni che non scrivo in maniera pubblica, anni che credo abbiano maturato il mio pensiero e la mia persona.

Ho scelto il silenzio non per paura della repressione e delle sue minacce, ma lo ho scelto perché credo che chi parla di individuo e di superamento dei limiti dello stesso un giorno deve venire a patti con ciò che teorizza e scrive. Ho abbracciato l’individualismo e il nichilismo, poi, con tutta me stessa, riconoscendo la profonda forza  che potenzialmente risiede in ognuno di noi, potenziale che non sempre nella vita, per i più svariati motivi,  viene fuori. E allora mi sono accorta che è molto più semplice sedersi sul famoso “vertice” a sputare sentenze dimenticandosi quanto sia stato faticoso e doloroso scalarlo, che rimanere ben ancorati alla realtà.

La realtà, è questa la parola chiave per me oggi, la realtà che mi circonda. La realtà che non è quella di duecento anni fa, quella dei filosofi, dei padri e delle madri dell’anarchia, ma non è neppure quella di sessant’anni fa: gli anni che dovrebbero assomigliarci di più, gli anni che avrebbero  aperto la strada a quello che è stata la nostra storia di oggi. Ed invece nulla è come allora, neppure un’ombra di quella fierezza, della contestazione, delle lotte sia nelle piazze che nelle carceri, mi ritrovo di fronte ad una realtà che è diventata piatta, chiusa nei particolarismi ideologici e nelle beghe di movimento.

Mi chiedo a chi potremmo fare paura? Come potremmo sperare che “ la paura cambi di campo”?

Partendo dal presupposto che lo Stato che combattiamo, le istituzioni borghesi che osteggiamo e vorremmo vedere finalmente rase al suolo, sono strategicamente  e militarmente più organizzate, come pensiamo che la disgregazione e i particolarismi interni ad un movimento possano giovare alla rivolta?

E se pure l’azione, intesa come prassi, che guida ognuno di noi non è la stessa, a chi giova questo continua critica filosofica sulla “prassi rivoluzionaria”?

Credo che ci sia una seria mancanza di concretezza, non in tutti certo, e per questo  ricordo con piacere tutte le azioni che ancora ogni giorno vengono portate avanti dai compagni in ogni parte del mondo, e i compagni rinchiusi nelle galere che di lotta hanno vissuto e chi ci sprona ad andare avanti. Ma credo che ci meritiamo tutti di più: la costruzione di una seria alternativa a questa società fondata sul denaro e sullo sfruttamento dell’uomo su ogni vivente. Ci meritiamo di più, ma per fare questo dobbiamo lottare ogni giorno per riprendere in mano le nostre vite in maniera concreta : fino alla liberazione.

S.Z

 

In supporto alla chiamata del BLACKDECEMBER#15

Arte e Anarchia. Una conversazione con Enrico Baj di Cristiano Gilardi

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L’intervista che vi proponiamo, a cura di Cristiano Gilardi, non è stata mai pubblicata prima e risale al 1999.

Enrico Baj è stato un pittore, scultore e anarchico italiano.

 

C.G.: Dalla grande tela I funerali dell’anarchico Pinelli al libro dedicato a Maria Soledad Rosas, passando per il monumento a Bakunin, il tema dell’anarchia è stato affrontato da te in maniera anche esplicita. Ma cosa significa, per te, “arte anarchica”?

E.B.: Io penso che l’arte moderna in se stessa nasca da una pulsione anarchica, da quella famosa frase di Dante: “libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, Purgatorio, primo Canto, quando Virgilio incontra Catone che si era tolto la vita per non sottostare all’imperatore Cesare. Io ho fatto un grande monumento a Bakunin, di cui è stato realizzato un piccolo multiplo di quaranta esemplari il basamento reca questa frase.

L’arte moderna nasce col Die Brucke nel 1905 in unità anarchica perché, svincolata l’arte, grazie ai suoi precedenti impressionisti e post-impressionisti francesi che hanno sollecitato il sorgere di movimenti di avanguardia oggi detti “storici”, si è sviluppata tremendamente questa pulsione di libertà dalla rappresentazione del potere. Il pittore rappresentava quel che voleva, in genere con gli Impressionisti faceva riferimento alla natura e al verde, quindi erano dei Verdi Antelitteram, e la cosa si è sviluppata con tutti questi movimenti di avanguardia, anche in senso negativo, perché le avanguardie hanno molti aspetti  distruttivi e non tanto propositivi, come quando Marinetti diceva: distruggiamo le accademie!, poi non proponeva nulla perché, in effetti, lui stesso è diventato accademico d’Italia. E Dada era anch’esso molto negativo nei suoi proclami: negazione dell’arte, dei sentimenti, dei luoghi comuni della retorica borghese, senza però proporre qualcosa di sostitutivo. Dada ha avuto però la fortuna che le sue ceneri sono state, per così dire, raccolte da Breton e dal Surrealismo, diventando il movimento più germinante e ricco di proposte, anche a livello politico, dato che i surrealisti sono sempre stati  prima antistalinisti e trotzkisti, e poi molto legati al movimento anarchico.

Quindi da Die Brucke del 1905 alla morte di Breton nel 1966, c’è una linea continua,  quella di dire che la politica,  la critica, la morale etc, riguardano  tutte l’arte. Breton questo lo ha perseguito fino all’ultimo, e di questo gli sono grato.

Molte avanguardie si sono perse, invece, in giochi formali. E tutta l’arte moderna è quasi sempre avulsa da un pensiero rappresentativo di tipo socio-antrolopogico. Le grandi opere, tipo il mio Pinelli, si contano sulle dita di una mano. Perché l’altra  grande opera a cui il Pinelli si rifà completamente è Guernica di Picasso: la luce della finestra o le figure del Pinelli, della moglie e delle figlie, sono tratte da quell’opera. Ma tanti hanno fatto opere pretestuosamente o date con titoli di tipo politico-sociale, ma che non hanno nulla a che vedere con questo. Beuys, per esempio, ha fatto una performance raccogliendo dei volantini durante una manifestazione. Ma sono tutti gesti formali di accumulazione di detriti in cui largamente consiste l’arte moderna. Andare a raccogliere dei volantini di un corteo che inneggia, metti, alla sinistra, non vuol dire fare opera diffusionista, vuol dire che lui, nella sua posizione di artista concettuale elitario, approfitta per smerciare questo come opera d’arte. Fa l’opera dello spazzino, solo che lui può proporre di esporla a un museo. Così succede spesso. Come quando ho letto un articolo sulla rivista Libertaria diretta da Luciano Lanza in cui un anarchico parlava alla Biennale di Harald Szeemann. Io ho subito protestato: Harald Szeemann anarchico? Ma questo ha diretto cento comitati delle mostre più ufficiali del mondo; fa parte del sistema nel modo più assoluto, e non basta che lui mi racconti che è anarchico, perché questo può confondersi con una pulsione casinista; con un certo esser liberi, che poi piace anche ai borghesi avere l’artistoide matto che si ubriaca, vocia un pò e osa dire delle cose non troppo per bene. Però, anche un suo predecessore, Pontus Hulten,  si dichiarava anarchico, ed era un anarchico che a Stoccolma aveva accesso  permanente in Casa reale. E’ vero che le Case reali svedesi sono molto meno noiose di quelle che noi conosciamo, cioè hanno una non pretesa di esibizione continua dei loro privilegi (è già qualcosa), ma lui si dichiarava anarchico di Casa reale, e ha me ha fatto un bello scherzo, quando nel ’72 il mio Pinelli è stato censurato, mi ha detto di volerlo esporre al museo di Stoccolma, come di fatti è stato. Ma quando vado all’inaugurazione trovo, nella stanza vicina, una banda che suona Jazz in modo fragorosissimo,  e lui, vedendomi molto sgomento, si avvicina e mi dice che era una manifestazione già prevista e che non poteva evitarla, ma secondo me l’aveva fatto apposta, per distrarre il pubblico dall’opera. La cosa è stata poi confermata perché alla mostra si è presentato un italiano che era fuggito in Svezia per i fatti di Piazza Fontana: magro, vestito appena nonostante il freddo di quel luogo,… aveva l’aria del vecchio libertario, e il direttore si avvicina e mi dice: ma adesso non verranno anche gli anarchici a questa mostra?! Io sono rimasto talmente di merda, ma lasciam perdere.

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C.G: Tu nasci in Italia ma consideri la Francia la tua seconda patria. Essendo la prima più tradizionalista e la seconda più incline alle trasformazioni, di riflesso: quanto ha contato nei tuoi lavori la tradizione e quanto l’innovazione?

E.B.   Beh, diciamo che c’è stato un certo equilibrio, perché io ad esempio nel ’53 per dare uno spessore anche culturale al Movimento Nucleare ho risuscitato il primo poeta atomico nucleare del mondo che è Lucrezio, e ho realizzato 36 incisioni per il De Rerum Natura in modo abbastanza classico, che ricorda Picasso o tutti i vasi greci da cui lui ha preso spunto. E poi nel ’86 ho realizzato, quasi compiendo un ciclo tradizionale, il Paradiso Perduto del poeta inglese Milton. Poi mi è venuta fuori una certa classicità di rappresentazione con i periodi del Kitsch e del Giardino delle Delizie, dove ho sviluppato una mitomania del Kitsch realizzata anche in ceramica. Io ritengo che il Kitsch sia il vero stile della nostra epoca, nell’accozzaglia di tutte queste correnti, il kitsch che è sì il cattivo gusto, ma è anche qualcosa di più a livello psicologico perché contiene valenze e attrattive di tipo memoriale: la ricerca del tempo perduto di Proust; sentimentale: le cose dolci a cui siamo attaccati: ad un bel mazzo di fiori, a dei nudini non offensivi, quasi soffusi di veli, paesaggi svizzeri o napoletani, tutto quello che nella memoria costituisce il tòpos di attrazione naturalistico-sentimentale con una base di rappresentazione realistica o quasi della narrazione dell’oggetto.

E quindi le due cose si sono molto alternate: cultura classica e cultura moderna: “l’esprit delle temps moderns” seguito in Francia dai grandi poeti: da Lautréamont, a Breton per ultimo.

Lo spirito dei tempi moderni deve essere una pulsione a cambiare se è possibile, ma non a cambiare prodotto che è tutta un’altra cosa. Se si vuole, per evocare una frase <<a cambiare la qualità della vita, della pittura, dell’immaginario, a sollecitare la creatività dell’uomo>> e per questo non basta far scandalo perché, come ha scritto anche Benjamin, tutta la cultura moderna sembra attratta dal lato scandalistico: novità scandalistica che impressiona, che viene captata dai giornali, ma che attira la gente come una calamita. Invece le novità interiori esercitano una attrattiva di lunga portata, più profonda ma meno immediata.

C.G: I multipli d’arte e le stampe d’incisione rappresentano, al di là della loro matrice, dei cloni. I tuoi multipli e le tue stampe non credi siano un po’ in contrasto con l’idea di innovazione appena descritta?

E.B.   Si, infatti questi multipli e queste stampe si sono fatte, almeno per quel che mi riguarda, fino ad una ventina d’anni fa, principalmente perché non hanno più avuto tanta fortuna sul mercato, ma per fortuna! In effetti quando l’arte non era diciamo “sputtanata” al punto come è oggi, vigeva un altra teoria quella di cercare di produrre alcuni multipli e stampe le quali si sarebbero fatte portatrici d’arte a livello un pò più allargato, perché avevano costi di realizzo e di vendita molto bassi, quindi c’era ancora la teoria di poter allargare un pò la cerchia della fruizione, dopo la cosa non ha più funzionato perché vi è stata una strana risorgenza, piuttosto per difendere l’arte anche da un punto di vista commerciale, della teoria dell’unicum di Benjamin, in cui l’unicum comunicherebbe una sensazione che l’opera moltiplicata non comunicherebbe, e si è fatto leva a sollecitare un certo collezionismo sull’unicum e sulla teoria dell’altissimo prezzo, in genere miliardi, cinquanta miliardi per un quadro…

C.G: Nel tuo libro “Impariamo la pittura” Guido Ballo scrive: <Le opere più alte di poesia e di arte sorgono nelle civiltà in cui la libertà di espressione è costretta dentro un margine minimo…>. In una ipotetica società libertaria sarà ancora possibile, secondo te, produrre opere di un certo livello qualitativo?

E.B. Penso di si, penso che nulla osta. Dobbiamo però liberarci un po’ dalle categorie della cosiddetta “qualità”, perché a una conferenza a Parigi su Tadeusz Kantor, considerato dal regista inglese Peter Brooks: <un uomo che porta una certa qualità>, io sono insorto subito dopo, dicendo: “Che cos’è la qualità?” Io conosco solo il marchio di qualità! No, bisogna intendersi bene sulle parole, perché la parola qualità è usata ormai per la moda, per la purezza di un materiale. La qualità in senso etico-estetico è molto difficile da definire, per fortuna non abbiamo più canoni di bellezza  o di altro, per cui questa qualità deve sfociare semmai, da un equilibrio di valori, dalle valenze che può trasmettere l’opera, valenze, io penso, sempre di tipo “antropologiche”, legate all’uomo, perché nell’arte contemporanea c’è un dramma che una francese in un libro ha rilevato molto bene, a mio avviso: <l’arte oggi non riguarda l’uomo, cioè non è umana, ma riguarda i prodotti dell’uomo>. Allora un’opera Minimale, Costruttivista ecc. è fatta di begli acciai laccati, come una struttura di fabbrica più o meno, ma l’uomo non entra mai in gioco.

C.G: Tu fai il paragone con la vita che non è mai liscia…

E.B. Appunto! Io credo che la più grande rivoluzione degli Impressionisti sia stata cominciare a fare le pitture come carta vetrata, con colpi di pennello, piuttosto che laccate come erano le pitture verniciate prima della mostra, sembravano degli specchi… Questo grattato degli Impressionisti attrae tremendamente il tatto e poi vien voglia quasi di masticarlo come un torrone, per esempio i quadri di Van Gogh qualche volta avrei voluto masticarli, con tutti quei colpi di spatola…

C.G: Nel ’53 avviene la tua adesione in cofondazione al Bauhaus Immaginista, componente fondamentale del Situazionismo, che tu abbandoni perché divenuto troppo retorico. Quali differenze e analogie ci sono tra un situazionista ed Enrico Baj?

E.B.   Tutte e nessuna, perché alla fine ho rivalutato molto l’opera di Debord, in quanto la sua intuizione c’era già in Platone che condannava la società di spettacolo facile fatta per commuovere il pubblico. Anche i poeti od Omero lui li metteva in discussione. La definizione di “Società di spettacolo” è come il trionfo estremo del capitalismo condizionante a tutti i livelli, e la gente non si rende conto che questa è una colonizzazione mentale, esercitata attraverso la continua propagazione di spettacoli. La pittura rischia  di essere soppressa e superata perché è arte del silenzio, si fa in silenzio e si guarda in contemplazione, è questo non è coerente con il rumorismo dove tutto viene esaltato pazzescamente dalla luce.

C.G: Per tornare alla terza domanda, potremmo dire che il potere è uno strano elemento non completamente assimilabile dall’uomo: rompe gli equilibri interni. Chi ha potere deve scagliarlo contro qualcosa o qualcuno per ritornare ad esserne libero, e magari per ritornare a ridesiderarlo.

Cosa pensi del potere intellettuale?

E.B.   Innanzi tutto trovo molto giusta la premessa. Riandrò a una frase di Gregory Bateson: << La teoria economica e l’attrazione speculativa sono del tutto inumani, eppure si riesce ad insegnarli a perfezione all’uomo, che viene molto attratto>>. Il potere è una parola in sé autosignificante, cioè dire: <<Io posso>>, e l’uomo è attratto da questa cosa, e quel famoso vostro proverbio: <<Cumannari è megliu ca futtiri>> la riassume in toto. I grandi potenti non hanno neppure tempo di fare l’amore o di concepire la vita in modo erotico-passionale, al di là del loro spazio mentale.

Il potere intellettuale è in fase di totale trasformazione, forse anche annullamento, attraverso l’uso dei Media… Si dicono intellettuali e creativi in genere: i creatori di moda, i designer… Anche nella Borsa, in tutto il mondo, gli italiani passano per dei titoli mediatici. E’ la realtà di Berlusconi che trova terreno fertile nella pochezza attuale della sinistra, praticando da pari a pari con gli altri potenti del mondo, come Bill Gates. Volere allargare la cultura a tutti ha prodotto un ulteriore fattore cogente e difettivo, cioè, oggi è di moda andare ai musei, ci vanno i borghesi, i funzionari, i conformisti. Un esempio sono i Bronzi di Riace che messi in piazza hanno creato una coda di 3 km, messi al museo di Reggio Calabria nessuno va a vederli, ci va lo studioso, e beh, che vada…

C.G:Nel ’59 dipingi il quadro “Generalessa” versione femminile della tua serie famosa. Ella può rappresentare una previsione di ciò che sta accadendo oggi nell’esercito italiano?

E.B.   Molti miei generali hanno un aspetto ferocissimo ma anche abbastanza femminino, hanno delle parrucche con dei boccoli che possono dargli quest’aspetto. Io ho avuto una madre straordinaria ma era anche pò una generalessa, è forse lei che mi ha anche ispirato i Generali. Non so poi se sotto sotto ci fosse anche una ironia al femminismo dilagante mettendo in difficoltà i poveri maschietti. Metti che ci fosse tutto, nel senso che i Generali, nelle loro perversioni affettano anche modi effeminati per meglio torturar la gente. Queste sono valenze plurime che le opere contengono, la valenza principale era la dissacrazione del potere militare, la denuncia della loro brutalità e grossolanità. Però i grossolani e i brutali si mascherano talvolta di qualche piccola ricercatezza.

CG: Per concludere vorrei ricordare una affermazione fatta da Marcel Duchamp ad Arturo Schwarz,  in uno dei loro ultimi incontri: <il vero artista, da questo momento, sarà clandestino>. Sei d’accordo con lui?

E.B.   Penso che abbia abbastanza ragione. Clandestinità nel senso che, in fondo, la comunicazione e anche lo stesso espressionismo avvengono direttamente, io ti guardo in faccia e ti dico: “ ah, come stai?” E questa forma di comunicazione, che è la più antica forma d’arte, non potendo essere catturata e smerciata, finisce per essere clandestina.  E’ una comunicazione o un’opera che si esaurisce in sé, in un certo senso, comunicando al fruitore delle sensazioni che speriamo gli rimangano dentro.

Ma credo che tutto, anche la politica ormai sia clandestina. La politica che noi sentiamo pubblicamente che cos’è? Uno smaneggio inutile! Purtroppo bisognerebbe ritornare al concetto di cospirazione, non solo da intendersi come cospirazione dinamitarda o terroristica, ma anche come cospirazione del pensiero.

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