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L’intervista che vi proponiamo, a cura di Cristiano Gilardi, non è stata mai pubblicata prima e risale al 1999.

Enrico Baj è stato un pittore, scultore e anarchico italiano.

 

C.G.: Dalla grande tela I funerali dell’anarchico Pinelli al libro dedicato a Maria Soledad Rosas, passando per il monumento a Bakunin, il tema dell’anarchia è stato affrontato da te in maniera anche esplicita. Ma cosa significa, per te, “arte anarchica”?

E.B.: Io penso che l’arte moderna in se stessa nasca da una pulsione anarchica, da quella famosa frase di Dante: “libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”, Purgatorio, primo Canto, quando Virgilio incontra Catone che si era tolto la vita per non sottostare all’imperatore Cesare. Io ho fatto un grande monumento a Bakunin, di cui è stato realizzato un piccolo multiplo di quaranta esemplari il basamento reca questa frase.

L’arte moderna nasce col Die Brucke nel 1905 in unità anarchica perché, svincolata l’arte, grazie ai suoi precedenti impressionisti e post-impressionisti francesi che hanno sollecitato il sorgere di movimenti di avanguardia oggi detti “storici”, si è sviluppata tremendamente questa pulsione di libertà dalla rappresentazione del potere. Il pittore rappresentava quel che voleva, in genere con gli Impressionisti faceva riferimento alla natura e al verde, quindi erano dei Verdi Antelitteram, e la cosa si è sviluppata con tutti questi movimenti di avanguardia, anche in senso negativo, perché le avanguardie hanno molti aspetti  distruttivi e non tanto propositivi, come quando Marinetti diceva: distruggiamo le accademie!, poi non proponeva nulla perché, in effetti, lui stesso è diventato accademico d’Italia. E Dada era anch’esso molto negativo nei suoi proclami: negazione dell’arte, dei sentimenti, dei luoghi comuni della retorica borghese, senza però proporre qualcosa di sostitutivo. Dada ha avuto però la fortuna che le sue ceneri sono state, per così dire, raccolte da Breton e dal Surrealismo, diventando il movimento più germinante e ricco di proposte, anche a livello politico, dato che i surrealisti sono sempre stati  prima antistalinisti e trotzkisti, e poi molto legati al movimento anarchico.

Quindi da Die Brucke del 1905 alla morte di Breton nel 1966, c’è una linea continua,  quella di dire che la politica,  la critica, la morale etc, riguardano  tutte l’arte. Breton questo lo ha perseguito fino all’ultimo, e di questo gli sono grato.

Molte avanguardie si sono perse, invece, in giochi formali. E tutta l’arte moderna è quasi sempre avulsa da un pensiero rappresentativo di tipo socio-antrolopogico. Le grandi opere, tipo il mio Pinelli, si contano sulle dita di una mano. Perché l’altra  grande opera a cui il Pinelli si rifà completamente è Guernica di Picasso: la luce della finestra o le figure del Pinelli, della moglie e delle figlie, sono tratte da quell’opera. Ma tanti hanno fatto opere pretestuosamente o date con titoli di tipo politico-sociale, ma che non hanno nulla a che vedere con questo. Beuys, per esempio, ha fatto una performance raccogliendo dei volantini durante una manifestazione. Ma sono tutti gesti formali di accumulazione di detriti in cui largamente consiste l’arte moderna. Andare a raccogliere dei volantini di un corteo che inneggia, metti, alla sinistra, non vuol dire fare opera diffusionista, vuol dire che lui, nella sua posizione di artista concettuale elitario, approfitta per smerciare questo come opera d’arte. Fa l’opera dello spazzino, solo che lui può proporre di esporla a un museo. Così succede spesso. Come quando ho letto un articolo sulla rivista Libertaria diretta da Luciano Lanza in cui un anarchico parlava alla Biennale di Harald Szeemann. Io ho subito protestato: Harald Szeemann anarchico? Ma questo ha diretto cento comitati delle mostre più ufficiali del mondo; fa parte del sistema nel modo più assoluto, e non basta che lui mi racconti che è anarchico, perché questo può confondersi con una pulsione casinista; con un certo esser liberi, che poi piace anche ai borghesi avere l’artistoide matto che si ubriaca, vocia un pò e osa dire delle cose non troppo per bene. Però, anche un suo predecessore, Pontus Hulten,  si dichiarava anarchico, ed era un anarchico che a Stoccolma aveva accesso  permanente in Casa reale. E’ vero che le Case reali svedesi sono molto meno noiose di quelle che noi conosciamo, cioè hanno una non pretesa di esibizione continua dei loro privilegi (è già qualcosa), ma lui si dichiarava anarchico di Casa reale, e ha me ha fatto un bello scherzo, quando nel ’72 il mio Pinelli è stato censurato, mi ha detto di volerlo esporre al museo di Stoccolma, come di fatti è stato. Ma quando vado all’inaugurazione trovo, nella stanza vicina, una banda che suona Jazz in modo fragorosissimo,  e lui, vedendomi molto sgomento, si avvicina e mi dice che era una manifestazione già prevista e che non poteva evitarla, ma secondo me l’aveva fatto apposta, per distrarre il pubblico dall’opera. La cosa è stata poi confermata perché alla mostra si è presentato un italiano che era fuggito in Svezia per i fatti di Piazza Fontana: magro, vestito appena nonostante il freddo di quel luogo,… aveva l’aria del vecchio libertario, e il direttore si avvicina e mi dice: ma adesso non verranno anche gli anarchici a questa mostra?! Io sono rimasto talmente di merda, ma lasciam perdere.

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C.G: Tu nasci in Italia ma consideri la Francia la tua seconda patria. Essendo la prima più tradizionalista e la seconda più incline alle trasformazioni, di riflesso: quanto ha contato nei tuoi lavori la tradizione e quanto l’innovazione?

E.B.   Beh, diciamo che c’è stato un certo equilibrio, perché io ad esempio nel ’53 per dare uno spessore anche culturale al Movimento Nucleare ho risuscitato il primo poeta atomico nucleare del mondo che è Lucrezio, e ho realizzato 36 incisioni per il De Rerum Natura in modo abbastanza classico, che ricorda Picasso o tutti i vasi greci da cui lui ha preso spunto. E poi nel ’86 ho realizzato, quasi compiendo un ciclo tradizionale, il Paradiso Perduto del poeta inglese Milton. Poi mi è venuta fuori una certa classicità di rappresentazione con i periodi del Kitsch e del Giardino delle Delizie, dove ho sviluppato una mitomania del Kitsch realizzata anche in ceramica. Io ritengo che il Kitsch sia il vero stile della nostra epoca, nell’accozzaglia di tutte queste correnti, il kitsch che è sì il cattivo gusto, ma è anche qualcosa di più a livello psicologico perché contiene valenze e attrattive di tipo memoriale: la ricerca del tempo perduto di Proust; sentimentale: le cose dolci a cui siamo attaccati: ad un bel mazzo di fiori, a dei nudini non offensivi, quasi soffusi di veli, paesaggi svizzeri o napoletani, tutto quello che nella memoria costituisce il tòpos di attrazione naturalistico-sentimentale con una base di rappresentazione realistica o quasi della narrazione dell’oggetto.

E quindi le due cose si sono molto alternate: cultura classica e cultura moderna: “l’esprit delle temps moderns” seguito in Francia dai grandi poeti: da Lautréamont, a Breton per ultimo.

Lo spirito dei tempi moderni deve essere una pulsione a cambiare se è possibile, ma non a cambiare prodotto che è tutta un’altra cosa. Se si vuole, per evocare una frase <<a cambiare la qualità della vita, della pittura, dell’immaginario, a sollecitare la creatività dell’uomo>> e per questo non basta far scandalo perché, come ha scritto anche Benjamin, tutta la cultura moderna sembra attratta dal lato scandalistico: novità scandalistica che impressiona, che viene captata dai giornali, ma che attira la gente come una calamita. Invece le novità interiori esercitano una attrattiva di lunga portata, più profonda ma meno immediata.

C.G: I multipli d’arte e le stampe d’incisione rappresentano, al di là della loro matrice, dei cloni. I tuoi multipli e le tue stampe non credi siano un po’ in contrasto con l’idea di innovazione appena descritta?

E.B.   Si, infatti questi multipli e queste stampe si sono fatte, almeno per quel che mi riguarda, fino ad una ventina d’anni fa, principalmente perché non hanno più avuto tanta fortuna sul mercato, ma per fortuna! In effetti quando l’arte non era diciamo “sputtanata” al punto come è oggi, vigeva un altra teoria quella di cercare di produrre alcuni multipli e stampe le quali si sarebbero fatte portatrici d’arte a livello un pò più allargato, perché avevano costi di realizzo e di vendita molto bassi, quindi c’era ancora la teoria di poter allargare un pò la cerchia della fruizione, dopo la cosa non ha più funzionato perché vi è stata una strana risorgenza, piuttosto per difendere l’arte anche da un punto di vista commerciale, della teoria dell’unicum di Benjamin, in cui l’unicum comunicherebbe una sensazione che l’opera moltiplicata non comunicherebbe, e si è fatto leva a sollecitare un certo collezionismo sull’unicum e sulla teoria dell’altissimo prezzo, in genere miliardi, cinquanta miliardi per un quadro…

C.G: Nel tuo libro “Impariamo la pittura” Guido Ballo scrive: <Le opere più alte di poesia e di arte sorgono nelle civiltà in cui la libertà di espressione è costretta dentro un margine minimo…>. In una ipotetica società libertaria sarà ancora possibile, secondo te, produrre opere di un certo livello qualitativo?

E.B. Penso di si, penso che nulla osta. Dobbiamo però liberarci un po’ dalle categorie della cosiddetta “qualità”, perché a una conferenza a Parigi su Tadeusz Kantor, considerato dal regista inglese Peter Brooks: <un uomo che porta una certa qualità>, io sono insorto subito dopo, dicendo: “Che cos’è la qualità?” Io conosco solo il marchio di qualità! No, bisogna intendersi bene sulle parole, perché la parola qualità è usata ormai per la moda, per la purezza di un materiale. La qualità in senso etico-estetico è molto difficile da definire, per fortuna non abbiamo più canoni di bellezza  o di altro, per cui questa qualità deve sfociare semmai, da un equilibrio di valori, dalle valenze che può trasmettere l’opera, valenze, io penso, sempre di tipo “antropologiche”, legate all’uomo, perché nell’arte contemporanea c’è un dramma che una francese in un libro ha rilevato molto bene, a mio avviso: <l’arte oggi non riguarda l’uomo, cioè non è umana, ma riguarda i prodotti dell’uomo>. Allora un’opera Minimale, Costruttivista ecc. è fatta di begli acciai laccati, come una struttura di fabbrica più o meno, ma l’uomo non entra mai in gioco.

C.G: Tu fai il paragone con la vita che non è mai liscia…

E.B. Appunto! Io credo che la più grande rivoluzione degli Impressionisti sia stata cominciare a fare le pitture come carta vetrata, con colpi di pennello, piuttosto che laccate come erano le pitture verniciate prima della mostra, sembravano degli specchi… Questo grattato degli Impressionisti attrae tremendamente il tatto e poi vien voglia quasi di masticarlo come un torrone, per esempio i quadri di Van Gogh qualche volta avrei voluto masticarli, con tutti quei colpi di spatola…

C.G: Nel ’53 avviene la tua adesione in cofondazione al Bauhaus Immaginista, componente fondamentale del Situazionismo, che tu abbandoni perché divenuto troppo retorico. Quali differenze e analogie ci sono tra un situazionista ed Enrico Baj?

E.B.   Tutte e nessuna, perché alla fine ho rivalutato molto l’opera di Debord, in quanto la sua intuizione c’era già in Platone che condannava la società di spettacolo facile fatta per commuovere il pubblico. Anche i poeti od Omero lui li metteva in discussione. La definizione di “Società di spettacolo” è come il trionfo estremo del capitalismo condizionante a tutti i livelli, e la gente non si rende conto che questa è una colonizzazione mentale, esercitata attraverso la continua propagazione di spettacoli. La pittura rischia  di essere soppressa e superata perché è arte del silenzio, si fa in silenzio e si guarda in contemplazione, è questo non è coerente con il rumorismo dove tutto viene esaltato pazzescamente dalla luce.

C.G: Per tornare alla terza domanda, potremmo dire che il potere è uno strano elemento non completamente assimilabile dall’uomo: rompe gli equilibri interni. Chi ha potere deve scagliarlo contro qualcosa o qualcuno per ritornare ad esserne libero, e magari per ritornare a ridesiderarlo.

Cosa pensi del potere intellettuale?

E.B.   Innanzi tutto trovo molto giusta la premessa. Riandrò a una frase di Gregory Bateson: << La teoria economica e l’attrazione speculativa sono del tutto inumani, eppure si riesce ad insegnarli a perfezione all’uomo, che viene molto attratto>>. Il potere è una parola in sé autosignificante, cioè dire: <<Io posso>>, e l’uomo è attratto da questa cosa, e quel famoso vostro proverbio: <<Cumannari è megliu ca futtiri>> la riassume in toto. I grandi potenti non hanno neppure tempo di fare l’amore o di concepire la vita in modo erotico-passionale, al di là del loro spazio mentale.

Il potere intellettuale è in fase di totale trasformazione, forse anche annullamento, attraverso l’uso dei Media… Si dicono intellettuali e creativi in genere: i creatori di moda, i designer… Anche nella Borsa, in tutto il mondo, gli italiani passano per dei titoli mediatici. E’ la realtà di Berlusconi che trova terreno fertile nella pochezza attuale della sinistra, praticando da pari a pari con gli altri potenti del mondo, come Bill Gates. Volere allargare la cultura a tutti ha prodotto un ulteriore fattore cogente e difettivo, cioè, oggi è di moda andare ai musei, ci vanno i borghesi, i funzionari, i conformisti. Un esempio sono i Bronzi di Riace che messi in piazza hanno creato una coda di 3 km, messi al museo di Reggio Calabria nessuno va a vederli, ci va lo studioso, e beh, che vada…

C.G:Nel ’59 dipingi il quadro “Generalessa” versione femminile della tua serie famosa. Ella può rappresentare una previsione di ciò che sta accadendo oggi nell’esercito italiano?

E.B.   Molti miei generali hanno un aspetto ferocissimo ma anche abbastanza femminino, hanno delle parrucche con dei boccoli che possono dargli quest’aspetto. Io ho avuto una madre straordinaria ma era anche pò una generalessa, è forse lei che mi ha anche ispirato i Generali. Non so poi se sotto sotto ci fosse anche una ironia al femminismo dilagante mettendo in difficoltà i poveri maschietti. Metti che ci fosse tutto, nel senso che i Generali, nelle loro perversioni affettano anche modi effeminati per meglio torturar la gente. Queste sono valenze plurime che le opere contengono, la valenza principale era la dissacrazione del potere militare, la denuncia della loro brutalità e grossolanità. Però i grossolani e i brutali si mascherano talvolta di qualche piccola ricercatezza.

CG: Per concludere vorrei ricordare una affermazione fatta da Marcel Duchamp ad Arturo Schwarz,  in uno dei loro ultimi incontri: <il vero artista, da questo momento, sarà clandestino>. Sei d’accordo con lui?

E.B.   Penso che abbia abbastanza ragione. Clandestinità nel senso che, in fondo, la comunicazione e anche lo stesso espressionismo avvengono direttamente, io ti guardo in faccia e ti dico: “ ah, come stai?” E questa forma di comunicazione, che è la più antica forma d’arte, non potendo essere catturata e smerciata, finisce per essere clandestina.  E’ una comunicazione o un’opera che si esaurisce in sé, in un certo senso, comunicando al fruitore delle sensazioni che speriamo gli rimangano dentro.

Ma credo che tutto, anche la politica ormai sia clandestina. La politica che noi sentiamo pubblicamente che cos’è? Uno smaneggio inutile! Purtroppo bisognerebbe ritornare al concetto di cospirazione, non solo da intendersi come cospirazione dinamitarda o terroristica, ma anche come cospirazione del pensiero.

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