Una dichiarazione di guerra-Uccidere gli umani per salvare animali e ambiente. Screaming Wolf

screaming wolf

 

Questo manoscritto spiega la losoa di un gruppo di individui sparsi nel mondo, che si deniscono “Liberatori”. Credono in una rivoluzione che liberi gli animali e, se necessario, uccida i loro oppressori. Sostengono che un’azione così estrema sia necessaria per fermare l’atroce sofferenza causata dagli umani agli animali, e la distruzione del mondo. Sono convinti che solo uno stravolgimento totale di questo sistema libererà i nostri fratelli e sorelle. Questa “Dichiarazione di Guerra” è stata scritta per essere letta e compresa dal mondo.

Firmato – Screaming Wolf

qui il pdf da scaricare :

http://www.cartaigienicaweb.it/ebook/declaration_of_war.pdf

Udine, 25.4.16, Considerazioni sul rogo delle bandiere tricolore lo scorso 25 aprile

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via: https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/04/25/considerazioni-sul-rogo-delle-bandiere-tricolore-lo-scorso-25-aprile/

Udine, lunedì 25 aprile 2016

La sera/notte fra il 24 e il 25 aprile del 2015, un anno fa, abbiamo bruciato un paio di bandiere italiane nel luogo in cui alcune ore più tardi si sarebbe tenuta la commemorazione nazionalista e patriottica della Resistenza.
Quelle bandiere erano e sono il simbolo del nazionalismo di uno Stato che vuole egemonizzare l’antifascismo e strumentalizzarlo come metodo politico per placare la sete di una Liberazione Totale e dell’antifascismo di chi combatte anche contro ogni dominio, gerarchico e fascistizzante.
Vedere su quei palchi delle bandiere nazionaliste a rappresentare quella che dovrebbe essere una lotta contro i nazionalismi (di cui il fascismo e il nazismo erano esempi) ci dà il voltastomaco. Bruciare quegli oggetti e quei simboli è stato il minimo e a un anno dal fatto (con conseguenti perquisizioni, sequestri e condanne per tre compagni) ci volevamo tornare su per chiarire un minimo i fatti, considerata la narrazione dei media di regime che ha voluto togliere dal rogo di quelle bandiere ogni connotazione che potesse far trasparire il fatto che esiste chi odia ancora lo Stato, che, come ai tempi del fascismo, detta legge, muove guerre, costruisce lager su base etnica e chiude le frontiere.
Siamo antifascisti, e questo è parte della nostra vita, in una visione generale di lotta a ogni forma di dominio sul vivente, e non una mera spettacolarizzazione politica di chi, come il sindaco Furio Honsell, una volta all’anno sfila sui palcoscenici di piazza Libertà a Udine e poi dedica strade alle “vittime delle foibe”, oppure chi, come l’A.N.P.I., annovera personaggi, come Ivan Buttignon, che tiene conferenze revisioniste sempre sulle foibe per CasaPound e poi presiede una sezione dell’A.N.P.I., che, sempre in regione, invita Renato Garibaldi, del gruppo armato fascista Terza Posizione, a una propria iniziativa a parlare di ambientalismo (tematica strumentalizzata anch’essa da gruppi come la Foresta che Avanza di CasaPound, che nel clima di pace sociale chiamato democrazia antifascista trova spazio per portare avanti propaganda xenofoba e razzista), solo per citare alcune perle nostrane.
Bruciare quelle bandiere è stato bello. Bruciarle è stato il minimo.
Morte a tutti i nazionalismi e a ogni forma di Dominio! Viva l’Anarchia! Per la Liberazione Totale del Vivente!

Alcuni anarchici

Alle urne (funerarie)

Via:httpshttps://blackshuck.noblogs.org/alle-urne-funerarie/

 

the-salt-of-the-earth-2Su referendum e disastri ambientali.

In concomitanza con il referendum sulle trivelle, inscritto nel panem et circenses di quanti si illudono ancora che la democrazia abbia alcun valore, una macchia nera si è riversata nel letto del torrente Polcevera1, a Genova, e ora sta raggiungendo il mare, soffocando ogni forma di vita. Che si tratti di idrocarburi, come nel caso delle trivelle, o di petrolio greggio, come nel caso di Cornigliano a Genova, quella che potrebbe sembrare una semplice coincidenza non è altro che il portato inequivocabile di un “magnifico” progresso destinato a implodere, ad autodistruggersi e a decretare l’annientamento del vivente.

In Liguria sono le spiagge a recitare il memento mori dell’ecocidio: il mare, a seconda delle correnti e delle maree, vomita nerume sulla sabbia, rigurgitando i veleni chimici di fabbriche come la Stoppani2, chiusa nel 2003 ma che continua a inquinare il sottosuolo, o le scorie del catastrofico incidente della petroliera Haven, che nell’ormai lontano 1991 esplose travolgendo in un inferno di fuoco i marittimi a bordo e buona parte della flora e della fauna circostante3.

Incidenti del genere non sono l’eccezione, ma la norma consolidata e accettata, con l’adagio frusto dei “danni collaterali”, di un sistema che ha come obiettivo primario lo sfruttamento indiscriminato e acefalo della terra e di ogni vita che respira, in nome del profitto di pochi padroni. Se chi tace è sicuramente complice, chi cede all’illusione di imporre la propria scelta in una cabina elettorale non è soltanto, oggi più che mai, un* pover* ingenu*, ma un* collus* con lo stesso sistema che pretende risibilmente di scalzare con un “Sì” e con un “No”.

Il passivismo qualunquista e pseudodemocratico si riempie la bocca di slogan propagandistici che invocano il voto “per salvare il mare”. Sono queste le semplicionerie che ci strappano un sorriso sarcastico, pratiche che non possono che ricordare il delizioso premio ammannito dal padrone al termine di un esercizio di addestramento.

Se vogliamo distruggere il sistema che ci distrugge, dobbiamo necessariamente prendere coscienza di noi stessi e delle azioni con le quali possiamo incidere sul reale. Il mare non verrà certo salvato delegando allo stato e, di conseguenza, ai padroni a cui sono soggiogati tutti i governi. Andate pure a votare, scendete in piazza a manifestare insieme alla vostra associazionegreen del cuore, con la beata convinzione di rivoluzionare il mondo perpetuando le stesse pratiche che lo condannano alla rovina.

Il mare muore ogni giorno non soltanto a causa delle trivelle, ma soprattutto per via delle forme socialmente accettate con cui viene sfruttato l’ecosistema marino, prima tra tutte la pesca. Risplende lampante una contraddizione: gli schiavi che si pensano cittadini provano scrupoli se l’ecosistema viene minacciato dalle infrastrutture di un sistema economico-energetico incompatibile, ma non si pongono il benché minimo problema se l’ecosistema muore per finire nella propria pancia. E se mangiare petrolio è l’amara nemesi di chi mangia sofferenza, non si può negare il fatto che sono sempre i più deboli a rimetterci: i pesci, prima; i meno abbienti,poi, perché non possono permettersi cibo sano, destinato solo ai ricchi.

L’errore fondamentale è che ogni questione politico-ecologica, dai “No” alle grandi opere ai referendum per la salvaguardia (sic!) dell’ambiente, viene sempre inquadrata in un’ottica esclusivamente antropocentrica. La devastazione del territorio, le catastrofi naturali o l’ennesima minaccia alla sopravvivenza di una specie animale (in genere, una specie addomesticata; in genere, una specie arbitrariamente ritenuta degna di vivere) vengono sempre affrontate come se la posta in gioco riguardasse solo l’umano, come se contassero solo le esigenze, gli egoismi e l’istinto di prevaricazione degli animali umani. Mai, o raramente, ci si immedesima negli altri animali, e quindi nella terra in toto, che occupano l’ultimo gradino nella scala gerarchica del mondo, che si pensano “creati” e messi a nostra disposizione, come detta il più bieco antropocentrismo di chiara impronta cattolica, come strumenti a uso e consumo della nostra specie.

Se vogliamo davvero la distruzione di questo sistema, dobbiamo tutti guardare al di là del nostro orticello, capire che il problema non consiste solo nel veder messa a repentaglio la nostra vita, ma piuttosto nel fatto che è a rischio la vita stessa del pianeta che ci ospita, e di tutte le altre creature che, come noi, meritano e hanno dignità di vivere, di provare emozioni e sentimenti, di godere della libertà.

Il cambiamento, il vero cambiamento, può diventare una realtà in strada, nei boschi, nel mare e nella vita di ognun* di noi solo distruggendo l’antropocentrismo.

Quando la terra grida vendetta, tocca a noi prendere le armi.

Nasce Black Shuck

blac

 

Si presentano così e noi non possiamo che essergli affini:

“Si narra che, nel lontano cinquecento, un’enorme cagna nera con occhi di brace irruppe con rombo di tuono in una chiesa, interrompendo la celebrazione della messa e trucidando, dilaniando, sbranando senza distinzioni di sorta uomini, donne e bambini. A guidarla era l’istinto della libertà.”

 

ADDIO MONDO

https://blackshuck.noblogs.org/addio-mondo/

Per chi non lo sapesse, WordPress, la piattaforma sulla quale è basato il network Noblogs, apre sempre ogni nuovo blog, di default, con un articolo di esempio intitolato “Ciao Mondo!”.

CONTRO LO STATO – Nucleo di controinformazione anarchica di Roma (10 maggio 1978)

 

 

anarchismoCon questo articolo cominciamo una serie di pubblicazioni di materiale storico mai apparso in rete, che rischia di scomparire con il disfacimento della carta su cui é stato veicolato. Quando gli anarchici avevano un linguaggio molto diverso, ma idee molto più chiare di oggi su chi fosse il nemico.

 

 

L’Amanuense

 

 

Ieri le Brigate Rosse hanno recapitato allo Stato, sull’asse via delle Botteghe Oscure-Piazza del Gesù, il cadavere di Aldo Moro, chiuso in una Renault 4.

Il caso-Moro si è quindi apparentemente concluso.

La nuova svolta che esso ha significato nel processo rivoluzionario in Italia è, invece, appena agli inizi.

Il rapimento Moro e la sua “esecuzione” ha travolto tutti i precari equilibri ed equilibrismi che reggevano da un lato in parlamento, dall’altro lato fuori dal parlamento. […]

In parlamento qualsiasi opposizione è caduta di fronte all’alternativa di stare con lo Stato o con le Brigate Rosse, in effetti non c’era dubbio che i partiti presenti in parlamento fossero, da sempre, con lo Stato; all’esterno del parlamento abbiamo assistito ad una diversificazione del copione per “merito” esclusivo di quegli impagabili attori comici che siedono dietro al tavolo della redazione di Lotta Continua.

Lo slogan “Né con lo Stato né con le Br” è semplicemente grottesco.

Sembra QUASI CHE SI POSSA restare neutrali nella fase attuale dello scontro di classe e che Stato e Br siano sullo stesso piano di ferocia repressiva antiproletaria, di protagonisti dello sfruttamento, di espropriatori della libertà e della vita degli oppressi.

E’ come se la vita dei compagni e dei proletari assassinati dalle varie polizie di Stato avessero lo stesso peso di quella dei cani da guardia del capitale e dello Stato.

Questa posizione cattolica di L.C. è, in realtà, semplicemente forcaiola; non tanto perché non sia lecito criticare la linea partitica delle Br, quanto perché i rivoluzionari sono sempre e comunque CONTRO LO STATO E SOLIDALI CON QUANTI, IN MODO ORGANIZZATO E NON, SEPPURE CON PROGRAMMI DIVERSI, OSANO METTERE IN GIOCO LA PROPRIA VITA E LA PRIOPRIA LIBERTA’ NELLA LOTTA CONTRO QUESTO MOSTRO.

Quindi noi anarchici, dobbiamo ribadirlo, piangiamo solo i morti del proletariato e non quelli dello Stato. […]

Abbiamo detto all’inizio che all’esterno del parlamento, dopo il caso-Moro, si siano sciolte come neve al sole posizioni di forze politiche che si definiscono rivoluzionarie; Lotta Continua non è mai stata tale ma si è sempre definita così: delle sue falsità ultime abbiamo già detto; ma il fenomeno più grave, a nostro avviso, è stato quello che ha investito la frazione di Autonomia Operaia romana che fa capo a via dei Volsci; per sintetizzare la situazione potremmo dire che l’Autonomia Proletaria a Roma va avanti NONOSTANTE esista via dei Volsci.

Da mesi a questa parte questo gruppo, nel riflusso del movimento dopo il maggio 77, ha avuto modo di strutturarsi sempre più in senso partitico; la chiusura della sede ha visto “i Volsci” impegnati in una campagna democraticistica rivolta a “tutte le forze democratiche” per far ripartire il loro “covo”.

Questa apertura a destra e a sinistra (nel senso vero delle parole) ha, ovviamente ridato fiato ai tromboni dei gruppetti, ai vari leaderini di “lettere” e via discorrendo.  […] I compagni di via dei Volsci, sono, secondo noi, ancora permeati di quello stato confusionale del ribellismo che non si vuol trasformare in reale opposizione rivoluzionaria e che è poi il naturale terreno su cui crescono i più bei fusti delle nuove piante autoritarie di sempre nuovi partitini sotto-parlamentari.

Chiuso per un momento questo discorso, torniamo a trattare dei fini e dei mezzi della lotta armata in Italia, ora.

Finché lo Stato era un’espressione militare-burocratica che aveva il suo generatore nella borghesia, gli individui, al suo interno, rivestivano un ruolo subordinato rispetto al potere economico che li determinava.

Con la progressiva statizzazione dell’economia i ruoli burocratici si fondono con quelli tecnocratici ed entrambi generano la piramide sociale, sostituendosi al vertice della vecchia classe dirigente: la borghesia.

I borghesi avevano un ruolo in quanto possessori di capitale ed esprimevano la loro condizione sociale attraverso le loro ville, le loro carrozze, i loro yachts, le loro vacanze “tutto l’anno”.

I beni di consumo erano, insomma, l’immagine il biglietto da visita di chi gestiva il potere.

Ora non vogliamo dire che oggi non sia proprio così: i veri tecnocrati, burocrati e generali sono fruitori di ogni bene di lusso ma è diverso il ruolo che essi rivestono nell’apparato; il borghese non era l’apparato, il tecnocrate sì.

Inoltre l’apparato è estremamente più disseminato sul territorio: la città è un gigantesco ingranaggio diviso (eppur unito) in varie parti ognuna delle quali comprende in sé subordinati e subordinatori, sfruttati e apparato.

E’ proprio questo apparato che bisogna colpire senza tregua e in ogni modo e momento possibile.

Se prima far saltare la casa del signore voleva dire colpire il cuore, il senso del potere, oggi questo attacco alle cose non basta più: l’attacco deve essere generalizzato alle cose ed ai ruoli dell’apparato, cioè gli individui. […]

E’ immediata la visualizzazione della parola d’ordine dell’AZIONE DIRETTA e dell’AUTOGESTIONE DELLE LOTTE.

Con questa pratica diffusa contro LO STATO NEL SUO COMPLESSO COME PRINCIPIO TRASFORMATORE DEL POTERE, è in contrapposizione strategica il disegno delle Br.

Ciò è ovvio in quanto le istanze leniniste tendono alla presa e non alla distruzione dello Stato.

Ma noi siamo anarchici e come tali vogliamo colpire, e colpiamo, ogni persona, ogni organizzazione che faccia parte dell’apparato, ogni nemico che ci si mette di traverso sulla strada della rivoluzione sociale. […]

E’ insomma l’idea di partito che bisogna sradicare dalla testa degli sfruttati.

Questo vuol dire che non c’è posto nel potere per chi crede che esso possa, in seguito, essere soppresso a vantaggio del comunismo autogestito: il potere schiaccia chi cade in simili equivoci.

In altri termini l’apparato organizzativo delle Br tende nel futuro a ripercorrere la stessa strada, inevitabile, del partito bolscevico.

Appunto la situazione storica è però irreversibilmente diversa: la diffusione dell’opposizione armata sul territorio, la situazione di crisi internazionale, la pratica generalizzata dell’azione diretta dicono chiaro che è impossibile per un solo partito egemonizzare il processo rivoluzionario in Italia.

 

[tratto da Anarchismo n°20 Marzo-Aprile 1978]

Quando il giudice diventa giusto

 

nulla2Il continuo inno alla magistratura greca mi costringe ad uscire di nuovo dal mio silenzio.

Ma facciamo un passo indietro per i più distratti. In seguito alla manifestazione NoExpo del 1 maggio vengono arrestati 5 compagni italiani con l’accusa di devastazione e saccheggio e 5 compagni greci vengono raggiunti da avvisi di garanzia e da richiesta di espatrio da parte dei giudici italiani, con la medesima accusa. I giudici greci rispondo no, niente espatrio. Nel codice penale greco non esiste il reato di devastazione e saccheggio, e non è riconosciuta la responsabilità collettiva, ma solo quella individuale.

Cosa accade allora? Gli anarchici greci rimangono in patria e saranno giudicati singolarmente per come deciderà la magistratura del loro paese.

Ma non è questo quello che mi stupisce, ogni Stato sancisce le proprie leggi in base alle proprie necessità particolari, in base al proprio bisogno particolare. Non per un senso più o meno alto di giustizia, così come a tanti fa comodo credere.

Mi sconcerta come una certa “sinistra” esalti una magistratura a discapito di un’altra: i giudici greci sono buoni e quelli italiani cattivi, per dirla semplicemente.

Come se esistesse un giudice, un codice, una legge migliore rispetto ad un’altra.

Dunque cosa dovremmo fare applaudire ad una pletora di togati solo per l’assenza di una legge in un codice?

Un giudice rimane un giudice: il nemico.

Non possono dargli alcuna attenuante, mai. Neppure se applicasse la più nobile delle leggi. Non riconoscendo io stessa quelle leggi.

Evidentemente ignorate, volontariamente, non vi lascio nemmeno il dubbio della “buona fede” le tante porcate perpetrate in nome della legge a firma dei buoni giudici greci. Perquisizioni a sorpresa nelle carceri, l’ultima risale a pochi giorni fa, l’allungamento spropositato dei tempi di carcerazione preventiva (alcuni compagni hanno avuto una carcerazione preventiva anche di tre anni ).

Se è questo il genere di giustizia che vi piace bene, accomodatevi.

Il termine giustizia ha l’odore della chiesa perché è una concessione venuta dall’alto e dagli scranni più alti si cade, come dai troni. E molti hanno perso la giusta attitudine regicida di un tempo.

La giustizia dei tribunali sa di marcio e putrefatto, ha l’odore del sangue dei compagni chiusi fra le sbarre e prima di questo pestati nelle stazioni di polizia.

Questa è la vostra giusta giustizia, che non potrà mai essere la mia.

S.Z.

 

INDIVIDUALITA’ LUCANE ANARCHICHE – COMUNICATO

individualità lucane” L’ignoto ci attende, eppure io sento che quell’ignoto è una totalizzazione e sarà la vera umanizzazione cui aspiriamo. Parlo della morte? No, della vita.”

– Clarice Lispector –

L’occhio del Grande Fratello si posa nuovamente sul territorio lucano, ma stavolta non per dare spazio ad una mercificazione del territorio ove lo Spettacolo sradica la memoria storica e il vissuto della civiltà contadina, espropriando la popolazione del suo passato come nel caso di Matera 2019, bensì per un’inchiesta partita da Potenza, attinente all’ormai famigerato Centro Oli Tempa Rossa di Corleto Perticara; inchiesta che ha coinvolto anche l’ex Ministro dell’Ambiente Guidi e il Capo di Stato maggiore della Marina, scuotendo i diversi apparati locali e nazionali. Nulla di cui sorprenderci insomma, eppure i partiti d’opposizione sia qui che a Roma continuano a marciarvi sopra, strumentalizzando per l’ennesima volta la morte (quella dei/lle lucan*,s’intende), sfregandosi le mani per accaparrarsi il potere. Nel mentre il Capitale attraverso l’operazione del landgrabbing colonizza spazi imponendo un certo modo di vivere, abitare e relazionarsi sia a comunità umane che animali, le quali si ritrovano a subire per prime le conseguenze dell’industrializzazione petrolifera della regione. Il potere infrastrutturale desertifica ambienti e si fa spazio nel bel mezzo della natura, ove la distruzione e il saccheggio proseguono quasi indisturbati, abbattendo alberi per lasciar spazio a trivelle o inceneritori. L’anno scorso una rabbia generale si riversò per le strade e le piazze, cercando di opporsi alle operazioni predatorie imposte nei nostri territori, ma il tutto è stato soffocato da coloro che tra l’aprire le braccia alle istituzioni,lo spingere per ricorsi al TAR prima e per il referendum poi, ha ingabbiato la lotta in un percorso istituzionale che va a sopprimere qualsiasi tentativo di reale cambiamento. In un momento del genere però, tutte le contraddizioni della sovrastruttura statale appaiono evidenti e ciò diviene un’occasione per ripensare i percorsi di lotta da intraprendere, per discutere e confrontarsi affinché si possa produrre un cambiamento concreto dell’esistente e non richiedere solo piccoli isole di fittizia libertà all’interno di un sistema capitalista. Lo scontro da mettere in atto, non si svolge in ambito istituzionale, bensì è una lotta che va al di là di certi spazi burocratici: è l’opporsi ad una politica di morte, in favore della vita, riscoprendola nella sua radicalità. Quindi ciò a cui ambiamo non è il riconoscimento di nostri ipotetici diritti (che poi divengono fattori escludenti di altri soggetti non-umani), o un rafforzamento del potere regionale o la sua concessione nelle mani del popolo per una democrazia dal basso; rifiutiamo qualsiasi tipo di Potere, qualunque forma esso assuma. Crediamo che tale lotta debba abbracciare una critica all’intero sistema capitalista, causa ed effetto dei rapporti gerarchici instauratosi tra la “Civiltà” e la Natura che fa sì che tali strutture di dominio si riproducano anche all’interno della società, ove per perseguire un interesse si spoglia un popolo della propria autodeterminazione, dell’opportunità di realizzarsi, di vivere invece di sopravvivere e di avere la possibilità di perseguire i propri bisogni e desideri. Perciò guardiamo con entusiasmo a tutte quelle lotte che sabotano e combattono i meccanismi che reggono il Capitale, per cercare di costruire una geografia sovversiva di spazi e comunità libertarie che creino qui ed ora altri mondi e un vissuto radicale che vada oltre ogni tipo di discriminazione: sessuale, razziale o specista che sia. La nostra è un’unica lotta tesa alla liberazione di tutt*, combattiamo il Capitale con ogni mezzo, diamo alla lotta le forme che più desideriamo, sperimentiamo altri modi di vivere i nostri spazi e le nostre esistenze. L’istinto brigante arde ancora nei nostri cuori. Per la Liberazione della Terra, degli umani e degli animali!”

 

Individualità anarchiche lucane