Pubblico in completa affinità e complicità col nostro fratello Alfredo
che da dietro le mura di un carcere riesce ad essere più vivo che mai
con le sue riflessioni, a non farsi abbattere dalla repressione imposta dal
vile Sparagna e dai suoi sgherri!
Alfredo ha scritto questo saluto per l’uscita del numero zero di Vetriolo nel novembre-dicembre 2016. Come è noto la lettera è stata bloccata dalla censura. Ora siamo finalmente in grado di divulgarla. Ricordiamo che in questi mesi la censura si è gravemente inasprita, un giro di vite evidentemente ordinato direttamente dal pm Sparagna, che non è occasionale zelo del secondino di turno. Sembrano esserci delle vere e proprie direttive su cosa deve e cosa non deve arrivare (Vetriolo per esempio in principio non è arrivato a nessuno). Per protestare contro la censura, Alfredo è stato in sciopero della fame dal 3 al 13 maggio.
ROMPERE L’ISOLAMENTO!
Con accuse da 30 anni sul groppone può sembrare assurdo sentire il bisogno di comunicare progetti e riflessioni. Con la censura che incalza stravolgendo tutto quello che scrivo e dico continuare imperterrito a comunicare e scrivere riflessioni, che inevitabilmente si prestano alla repressione, può sembrare stupido e folle. Stupidità e follia di cui non posso fare a meno per sentirmi a ancora vivo e partecipe.
Una sola scelta, spalle al muro, continuare la lotta. Continuare con ogni mezzo a mia disposizione.
L’ispirazione per questo articolo me l’ha data l’inquisitore Sparagna, il quale nel suo solitario “monologo-interlocutorio” ha sostenuto con malcelato imbarazzo che sarebbe arrivato a noi per esclusione, per il “terreno bruciato” che il movimento anarchico in Italia ci avrebbe fatto attorno. Possibile che il movimento anarchico qui in Italia sia caduto così in basso da non provare alcuna empatia nei confronti di compagni/e caduti nelle maglie della repressione arrivando a considerarci un corpo estraneo?
La verità non può essere cercata nella “logica” strumentale e demenziale di un P.M. di Torino. La verità si nasconde nelle pieghe, nelle varie espressioni di solidarietà che ci sono state rivolte, nell’opportunità che anche un’ondata repressiva come questa ci può dare. Lo dimostrano le tante azioni in nostra solidarietà in mezzo mondo, lo dimostrano i pochi ma significativi comunicati di solidarietà che ci sono arrivati. All’apparenza questi comunicati possono sembrare la solita solidarietà di facciata ma in realtà acquistano ai miei occhi un significato importante.
Forse per la loro provenienza, compagne/i con progetti diversi tra di loro e che nonostante tutto, si sono sentiti colpiti nel vivo in prima persona. Forse perché tutti queste/i compagni/e sono partecipi in qualche modo di quell’anarchismo della prassi che rende viva, vegeta e ben reattiva l’anarchia nel mondo. Per questo e per altri motivi ancora quelle parole di solidarietà non sono cose da poco e possono diventare un’opportunità soprattutto se riescono ad andare oltre il fatto repressivo.
L’opportunità che ci si presenta è la possibilità reale che percorsi diversi ma tutti decisi e aggressivi in alcuni momenti si possano incrociare. Non per niente il potere tende a dividere gli anarchici in buoni e cattivi. E qui entra in gioco Vetriolo.
È più forte di me. Quando il realismo e la logica mi dicono di tacere e aspettare, io rilancio.
Vetriolo un a-periodico di approfondimento in cui possano scontrarsi in maniera leale e chiara, senza peli sulla lingua, posizioni e idee diverse “sociali” e “antisociali”, attitudini “organizzatori”, “antiorganizzatori”, fautori dell’anonimato o meno.
Sono convinto che finché non si scioglieranno alcuni nodi continueremo ad arrancare. Non mi interessa l’unione sterile, matematica, quantitativa ma la possibilità reale che compagne/i con prospettive diverse possano collaborare senza condizionarsi a vicenda senza cedere in nulla, senza stravolgere la propria progettualità. È solo questione di metodo.
Nella testa ho mille domande e qualche risposta che un giornale di approfondimento teorico come Vetriolo dovrebbe affrontare. Come tutti quelli che cercano di mettere in pratica quello che dicono, ho molti più dubbi che certezze. In una palestra teorica, in un confronto/scontro tra idee diverse, spunti nuovi potrebbero saltare fuori regalandoci possibilità e strumenti più efficaci.
Gruppi di affinità, azioni individuali, organizzazioni. Semplici tecniche da usare secondo le opportunità che di volta in volta si presentano o qualcosa di più profondo da mettere in pratica secondo le proprie predisposizioni caratteriali, aspirazioni individuali?
Semplici tecniche da usare con freddezza, calcolo e determinazione in base alla situazione sociale per innescare un processo rivoluzionario che farà di noi dei rivoluzionari proiettandoci verso il futuro?
O scelte esistenziali che investono tutto il nostro essere più profondo e che fanno di noi dei ribelli coscienti che vivono la propria anarchia ora, subito, in uno scontro continuo con l’esistente?
Gruppi di affinità, azioni individuali, organizzazioni. Tecniche, strumenti, armi per colpire ognuna delle quali ha dei difetti e delle qualità. L’unica “unità di misura” che abbiamo per capire quale modo di muoversi faccia per noi è la naturale disposizione che ognuno ha come singolo individuo dentro di se.
È un “dare-avere” tra libertà che perdi e possibilità nuove che ottieni. Per alcuni/e limitare la propria libertà (dandosi delle regole) in cambio di una maggiore forza d’impatto può valere la candela, per altri no. È anche una cosa caratteriale, i fattori sono tanti e tutti riguardano la nostra libertà, la nostra sensibilità.
L’odio che proviamo verso il sistema a volte è così forte che può rendere trascurabile le apparenti libertà che perdiamo in cambio di una maggiore virulenza, di una maggiore forza e operatività. L’importante è prendere atto che le organizzazioni, gli atti individuali, i gruppi di affinità fanno parte tutti allo stesso titolo di quegli “strumenti” che gli anarchici storicamente si sono sempre dati. Ridicolo urlare allo scandalo se un anarchico/a si dia come strumento un organizzazione “informale” o “specifica” che sia, inutile indignarsi, ognuno fa la sua scelta.
Il punto secondo me è un altro: riuscire a far “comunicare” in alcuni momenti, per alcuni tratti senza conoscersi, compagni/e che hanno modi diversi di muoversi senza annullarsi a vicenda, senza pestarsi i piedi, senza coordinamenti e sovrastrutture egemoniche che scavalcano organizzazioni, individui, gruppi affini che mai devono entrare in contatto. Ma che devono unire le forze dandosi dei tempi d’azione in comune. Credo che questa sia la reale sfida che ci attende, il nodo principale che bisognerà sciogliere.
Alfredo Cospito