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Questo contributo è in riferimento al comunicato:https://thehole.noblogs.org/post/2016/02/06/benefit-per-lei-prigionier-solidali-con-alcun-oppressori-con-altr/

 

“Si potrebbe poi sperare tutti in un mondo migliore

dove ognuno sia gia` pronto a tagliarti una mano

un bel mondo sol con l’odio ma senza l’amore

e vedere di nascosto l’effetto che fa”

Jannacci

 

Cattiverie gratuite a parte, chi scrive queste note ha scelto una vita di lotta, scontro, violenza, galera perché sente dentro si sé un senso di empatia verso tutti gli oppressi e di odio verso tutti i padroni, a partire dai miei.

A spingermi a polemizzare però è l’ennesima esternazione di apparente estremismo vegan che pretenderebbe di decidere cosa devono mangiare le compagne ed i compagni che partecipano ad una iniziativa benefit. Il prossimo passo quale sarà? Decidere pure cosa debbono mangiare i prigionieri? Altrimenti niente soldi, così che con quel denaro non si commettano assassinii?

Siamo alla teologia!

Mi ritornano in mente le parole di un compagno più grande dell’appennino tosco-emiliano che si divertiva a traumatizzare le giovani leve vegane dicendo loro: se non hai mai sgozzato un agnello come potrai mai sgozzare un uomo?

Sì perché, al netto della brutalità, è di questo che parliamo.

Da qui ne discendono tante amenità sul “colpire le cose e non le persone”.

Naturalmente ci sono tantissime e tantissimi vegan che sono dei combattenti indomiti, ma il mio timore è che, in termini generali, tutto questo amore verso la vita si traduca questo sì in una civilizzazione dei nostri rapporti con il nemico.

Perché un industriale, un magistrato, un poliziotto, è anche lui un animale (probabilmente un porco – facile battutaccia). Quindi non è antispecista fargli del male. Di questo livello anche gli scontri di piazza diventeranno nella retorica pseudo-radicale una espressione di specismo. Povere bestie in divisa! (c’è già chi lo ha detto dopo il Primo Maggio NO EXPO).

Insomma abbiamo di fronte due realtà. Da una parte l’antagonismo, col suo modo di vestire, col suo modo di mangiare, col suo modo di parlare; dall’altra chi è rivoluzionario e lotta con le armi per abbattere lo Stato e sterminare i padroni. Da un lato la forma, dall’altro la sostanza.

Tutto questo ben lungi dal radicalizzare davvero lo scontro provoca invece una civilizzazione dei rapporti col nemico. Non sarà un caso se la gran parte dei vegan vivono nelle metropoli, mentre i luoghi che più resistono alla civilizzazione sono anche pieni di pastori, cacciatori, pescatori.

So che alcuni fra i più montanari dei lettori capiranno quel che dico quando chiedo: quante volte ci siamo avvicinati ad un obbiettivo, l’abbiamo attaccato e siamo fuggiti, mano nella mano, dopo l’azione, passando per i boschi, seguendo i sentieri dei cacciatori che abbiamo imparato col nonno? quanti di noi, sempre fra i più montanari, hanno sparato letteralmente i loro primi colpi con quel vecchio schioppo che teneva in cantina? quanti hanno fantasticato sulla guerriglia partigiana mentre camminavano, strisciavano, si appostavano lungo i sentieri dell’appennino con i proprio vecchi a caccia?

Queste sono cose che possono capire solo quei ribelli che sono cresciuti fra le montagne. Chi è cresciuto nel cemento può solo fantasticare su una natura che non esiste. Coloro che ancora oggi vivono lontano dalla civiltà sono coloro che meno aderiscono alla dommatica prescritta dal veganesimo metropolitano nel loro vivere quotidiano.

Se qualcuno crede sinceramente alla lotta alla civilizzazione dovrà pur sentire la necessità di domandarsi: come mai ci sono più vegan a Milano che nei Monti Sibillini?

C’è un passaggio in particolare molto importante del comunicato contro la carne alle iniziative benefit.

 

“I nostri spazi, liberati dal mondo e dalla società capitalistica, fino a che punto sono veramente liberi?

La lotta non è, e non deve essere, rivolta solo contro l’esterno. Deve essere rivolta anche al nostro interno, contro le pratiche di abuso e di potere che spesso, più o meno inconsciamente, reiteriamo a nostra volta nei confronti di noi stess*, delle/dei compagn* e negli spazi liberati. Quella contro noi stess*, contro le strutture di dominio che ci sono state inculcate dalla cultura e dalla società, è forse la lotta più difficile da combattere.”

 

 

Queste sono frasi profonde che in molti sentono loro. Ebbene sono totalmente errate. Perché che la lotta più difficile da combattere sia quella interiore lo si vada a dire a quei rivoluzionari che sono morti, che marciscono in galera, che sono stati torturati (ad esempio durante il sequestro Dozier, quando dei BR vennero torturati, una compagnia stuprata con una bottiglia e un compagno costretto a guardare). E basta con queste menate frikkettone sulla lotta interiore!

Spesso anzi la coerenza diventa un alibi per non fare di più. Perché se io devo aspettare di essere coerente nel linguaggio, nel mangiare, nel pensare e solo POI agire…ebbene allora, poiché la coerenza assoluta non esiste, non farò mai un cazzo.

Io invece agisco PRIMA non DOPO aver conquistato la coerenza. La coerenza la costruisco nella battaglia. Io sono un individuo pieno di contraddizioni che non aspetta di risolverle, astrattamente, col digiuno, per diventare migliore. Io le contraddizioni me le porto dentro ed agisco QUI ED ORA. Sono portatore di contraddizioni, esplodono con la dinamite.

La loro soluzione è un fatto concreto, reale; avviene nel mondo della lotta reale, il mondo dove un oppresso si arma contro il proprio sfruttatore. Non è preliminare allo scontro.

D’altronde non è questione di lana caprina. La questione del “prima cambio dentro e poi fuori” o del “qui ed ora mi armo con altri oppressi a me affini per farla pagare ai padroni” è da sempre la questione che ha diviso il mondo dell’autonomia, dell’antagonismo, del femminismo, dell’antagonismo, dell’animalismo, ecc., … dal mondo della lotta armata.

E siccome stiamo parlando di compagni che la lotta con le armi, e non con la dieta, l’hanno fatta o sono accusati di averla fatta, pregherei di avere un po’ meno arroganza nel pretendere di imporre agli altri cosa devono mangiare o non mangiare.

 

Hannibal Lecter