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https://alcunianarchiciudinesi.noblogs.org/post/2016/03/13/un-consenso-per-mangiare-per-favore/

Udine, domenica 13 marzo 2016

A differenza di quanto pensa il questore di Udine, non c’è niente di male nel chiedere l’elemosina fuori da un supermercato. Anche se è molto più divertente derubarlo o, meglio ancora, rapinarlo. Divertente… Scusate, la militanza è roba seria.
Ci dovrebbe però essere quella cosa, chiamata “dignità”, chi era costei?, che ponga un freno all’elemosinare. Ci sono infatti cose davvero deplorevoli da elemosinare, come i diritti e il consenso.
Circa i primi non ho molto da dire in questa sede: sono il riconoscimento più pietoso dello Stato. E questo è quanto.
Circa il secondo, ahimè, c’è molto da dire. Da dire, sì. Perché è della parola che è d’uopo trattare. La parola, questa svalutata. Si è così presi dal fare-fare-fare, sfogliando con trepidazione il calendario di Movimento – che è come quello di Padre Pio, solo che al posto dei santi ci sono per lo più i vari appuntamenti con la ricerca spasmodica del consenso –, che si agisce senza pensare (preferisco sperare, o sarebbe, anzi è, tutto ancora più tragico), giungendo addirittura a disprezzare chi critica e scrive. Come se ci potesse essere prassi anarchica senza almeno un minimo di teoria anarchica. Siamo così spaventati dal filosofare che ci riduciamo a non pensare nemmeno a quali siano gli obiettivi, i mezzi consoni per tentare il loro conseguimento, chi siano i nemici… E così un giorno ci si ritrova con magistrati e politici, fianco a fianco, a chiedere per favore allo Stato di non costruire una data grande opera (per non sprecare danaro pubblico che si potrebbe impiegare per costruire opere utili come i tribunali, sia chiaro, cosa pensavate?), il giorno dopo a un presidio fuori da un tribunale per un compagno in carcere e il giorno dopo ancora a fare propaganda anti-elettorale, senza sentirsi addosso nemmeno un pochino di quel puzzo di ipocrisia che sarebbe auspicabile.
Quindi è forse proprio della parola, del parlare, che bisogna dire, perché una volta chiariti veramente mezzi e fini la prassi anarchica dovrebbe conseguirne, essendo la concretizzazione distruttiva delle proprie negazioni teoriche. Ma questa è un’altra storia.
Del parlare, si diceva. Perché noto sempre più la costruzione e l’utilizzo di una neo-lingua di Movimento volta alla ricerca del consenso. Ogni dominio ha e produce le sue neo-lingue e tra le forze in campo oggi (tolti alcuni spiriti liberi che si dilettano ad amare e odiare, pensare e agire a modo loro), la tecnocrazia democratico-scientifica, i nazionalismi neo-fascisti, il fondamentalismo islamico e il sig. Movimento, anche quest’ultimo, seppure il più sfigatello e spompato rispetto alle altre autorità sue colleghe, vuole la sua neo-lingua.
Parlo di neo-lingua non perché debba essere necessariamente nuova o rinnovarsi continuamente (cosa che in effetti fa), ma principalmente per la sua funzione propagandistica autoritaria, ben descritta nelle pagine de L’ultimo uomo in Europa, come avrebbe voluto intitolarlo George Orwell, meglio noto come 1984. La neo-lingua veicola messaggi implicitamente, distorce il significato delle parole, inverte i sensi, il tutto per inculcare le proprie opinioni e ottenere consenso…
Ora, è su tre espressioni che vorrei soffermarmi in particolare: “terrorismo”, “azione diretta” e “forze dell’ordine”.
Circa la prima di queste già mi sono dilungato in Mentre gli anarchici piangevano gli sbirri, ma tornerò solo sui suoi aspetti essenziali. “Terroristico” è letteralmente uno o più atti e/o progettualità volte a “terrorizzare” qualcuno. Poi i codici di opinioni giuridiche italiane, spagnole, europee, ecc., possono agghindare il termine di tutto quello che vogliono, ma, a differenza di ciò che ha vittimisticamente scelto di fare il sig. Movimento, non è di questo che mi interessa parlare. Quindi qualunque atto di guerra di un sovversivo verso il dominio o del dominio verso un sovversivo è volto ad attaccarlo o, quanto meno, a fargli paura, quindi “terroristico”, sebbene voglia dire appunto tutto e niente. Attenzione, non è di leggi, di pene e di condanne, si reitera, che qui si sta parlando. Non riconoscendo lo Stato non mi preoccupo di leggi giuste, ingiuste, “esagerate e intollerabili” (perché ce ne sono anche di tollerabili?). Qui si sta parlando di parole e della paura, anzi, per restare in tema, del terrore, che chi dice di combattere lo Stato nutre invece per esse, per le definizioni che lo Stato, la legge, fornisce. E così non si contano più le omelie vittimistiche come “la lotta non è terrorismo” o “terrorista è lo Stato”, che vale a dire: “è lo Stato a essere un terrorista, non siamo noi, noi siamo buoni”. Sembra che la difesa legale sia diventata la retorica di Movimento.
Un’altra parola simpatica è “attentato”. Non credo di averla quasi mai letta su un sito di Movimento. Le si preferisce la più tranquilla “azione diretta”, che ormai vuol dire tutto e niente, dato che viene considerata, definita tale, “azione diretta” anche uno striscione. È tuttavia un’espressione bella, che si rifà alla storia degli anarchici e che rende bene l’idea dell’attacco senza intermediari, e non sto in alcun modo dicendo che non vada usata. Anzi, andrebbe semmai ripescata dalla palude di merda, in cui la si è gettata, e ripulita un po’. Il fuoco purifica. Ma non capisco perché anche il semplice “attentato” non vada bene. Forse perché, così come per “terrorismo”, gli si attribuisce implicitamente lo stesso valore che gli attribuisce lo Stato, ossia quello negativo? E non vogliamo essere i cattivi, giusto? Altrimenti che ci staremmo a fare noi con i nostri piagnistei ogni volta che uno sbirro o un magistrato fa il suo sporco lavoro (non che ce ne siano di puliti)?
E per finire questa veloce carrellata, un’altra perla è la frequente apparizione di “forze dell’ordine” spesso virgolettato nelle pagine dei comunicati del sempiterno Movimento. Questa è davvero meravigliosa. A quel che ne so io, ma forse mi sbaglio, le virgolette si usano in questo caso per ironizzare sul significato di una parola. Le forze dell’ordine quindi non sarebbero veramente forze dell’ordine. Ah, no? E allora che cosa sarebbero? Forze del disordine come altrettanto spesso si legge? E perché mai? Forse che quello dello Stato, della Chiesa e del capitale (in genere l’apparato tecno-scientifico non viene citato in questa sequenza perché ci piace tanto), che lo sbirro serve e difende, non è un ordine? È forse un disordine? Perché in tal caso il vero ordine è quello che vogliamo instaurare noi, vero?, dopo i gloriosi giorni in cui il Cristo redivivo scenderà di nuovo in Terra con una spada fiammeggiante in bocca e sconfiggerà le orde del male, anzi del disordine, portando finalmente a compimento la nostra tanto attesa (fra “lotte” sociali, cittadiniste, sindacaliste, operaiste, ambientaliste, animaliste, riduzioniste e mille altre cose da fare-fare-fare nella ricerca del consenso) Rivoluzione rosso-nera, o più rossa che nera? Oh, ma diciamolo allora! Diciamolo subito. O forse sono io che sono un po’ tocco che non l’avevo capito subito e tutti erano sempre stati così chiari e coerenti?
Grazie allora, vi lascio al vostro ordine, alla vostra neo-lingua e al vostro consenso. Perché nel mio cuore e nella mia mente, nel mio braccio e nella mia mano, ho troppo, troppo da amare e da odiare, da creare e da distruggere, per spendere un minuto di più a pensare all’ordine. A qualsiasi ordine.