PROBLEM

 

 

 

 

 

Sembra ormai giunto alla fine il processo sull’attacco al Compressore. A meno di improbabili sorprese in Cassazione, che per la verità si è già espressa più volte contro l’ipotesi di terrorismo, i vari tribunali hanno confermato una verità giudiziaria: attaccare un compressore non è terrorismo. Era quello che sostenevano i movimenti, che infatti cantano vittoria. Ma di quale vittoria parliamo?

In questi anni la lotta contro la TAV in Val Susa e altrove è andata via via scemando, a favore di un impegno sempre più sul piano della difesa giudiziaria e sempre meno capace di proposta offensiva. Non solo, la stessa vittoria giudiziaria, ammesso che di “vittoria” si possa parlare in un’aula di tribunale, è ben lungi dall’assolvere il movimento rivoluzionario dall’accusa di terrorismo: non si dice affatto che il terrorismo è la strage di “innocenti”. I giudici pongono piuttosto lo spartiacque sul colpire le persone o colpire le cose. E su questo, giudici e un pezzo di movimento, sono in preoccupante sintonia. Ed è sintonizzato sulle stesse onde anche Matteo Renzi, che dopo alcuni attaccati alla rete ferroviaria ha gettato acqua sul fuoco dichiarando che sono solo sabotaggi, non terrorismo.

Intanto, altri anarchici, come Alfredo e Nicola, che hanno sparato alle gambe ad un industriale ingegnere nucleare, sono stati, loro sì, condannati per terrorismo. Nonostante la loro azione sia stata tutt’altro che “pluridirezionale” come reciterebbe lo stesso codice penale. Quella era la gamba, nessun altro si sarebbe fatto male. La gamba destra per l’esattezza. Lo Stato è dotato di una invidiabile chiarezza che a volte a noi manca. Esiste una gerarchia fra le merci: produrre un compressore ha un certo costo per il Capitale, un costo in costante calo parallelamente allo sviluppo tecnologico; produrre un Adinolfi, un Biagi, un D’Antona ha un consto economico e sociale infinitamente maggiore. Di più, colpire un uomo che ha dedicato la vita a studiare il modo per sfruttarci meglio, che ha cercato di riportare il nucleare in Italia, o piuttosto che ha brillato fra le stelle della repressione, significa questo sì “terrorizzarne cento”. Quindi lo Stato ti punisce in maniera differente. Poi quando vuole lo Stato fa pure finta di essere scemo e ti punisce con lo stesso articolo del codice penale che usa per le stragi di fascisti e islamisti (art. 280, attentato terroristico) – ma questa è un’altra storia, perché in questo caso lo fa per infangare la guerriglia.

Qui non si tratta di fare una apologia pomposa e cazzodurista della violenza, quanto però di osservare i fatti pubblici con uno spirito minimamente critico. Incredibilmente invece una sorta di black out neurologico ha spento ogni spirito di osservazione, anche a compagni che in passato non sprecavano occasione per puntare il dito e giudicare il modo con cui gli altri si facevano la galera. Chi dissente è stato semplicemente oscurato.

E’ il caso dell’articolo di Alfredo Cospito Su “etica”, “sabotaggio” e “terrorismo” uscito nel numero 2 di Croce Nera Anarchica nell’estate del 2015 e semplicemente ignorato dal movimento NO TAV, dal movimento anarchico, da tutti. Un articolo che tra l’altro è stato scritto da una cella nella sezione speciale per anarchici nel carcere di Ferrara. Non per una sorta di feticismo del prigioniero, ma giusto per chiarire che non è lo sfogo di rete di un cyber-bullo. Non c’è stata una sola persona, fosse solo per attaccarlo, che si è degnato di rispondere ai problemi che Alfredo poneva in questo articolo. Come minimo mi sembra intellettualmente disonesto, visto i temi affrontati e la radicalità delle critiche.

Alfredo scriveva:

Possiamo dire senza enfasi, che il “movimento” ha assestato la sua ennesima vittoria. Non solo è riuscito a far digerire una versione annacquata, inoffensiva e piagnucolosa del sabotaggio ma contemporaneamente ha messo all’indice della sua “etica” superiore qualunque azione diretta violenta che vada oltre il colpire un compressore, con una molotov. Hanno vinto anche i tribunali riuscendo ad imporre limiti oltre i quali i bravi ragazzi non devono andare, se non vogliono incorrere in qualcosa di più di una sonora sculacciata.

A dirla tutta i tribunali più che vinto hanno stravinto riuscendo con la terroristica prospettiva di anni e anni di galera a fare in modo che fossero gli stessi compagni con le loro dichiarazioni a mettere i paletti oltre cui non andare. Possiamo quindi dire, sempre senza enfasi, che il “movimento” ha retto cogliendo a pieno i limiti che il potere voleva imporre, trasformando l’incendio del compressore in spettacolo, mediazione, politica, in un pieno e totale recupero del sabotaggio. Tutto quello che va oltre questa visione democraticamente accettata, non violenta del sabotaggio si fà, agli occhi di gente e giudici, terrorismo. Nicola ed io, che abbiamo sparato ad un uomo non limitandoci a distruggere delle cose, in quest’ottica siamo terroristi. Gli anarchici no tav con le loro dichiarazioni hanno avvallato di fatto questa visione, dandogli valore confermandola.

Chi, armi in pugno colpisce le persone per l’“etica” superiore di una parte grossa del “movimento” è terrorista.

 

A proposito di terrorismo Alfredo ricorda:

Chiunque conosca un po’ di storia dell’anarchia, sa bene che a volte gli anarchici hanno praticato il terrorismo, colpendo nel mucchio di una classe sociale, quella borghese, qualche volta anche in maniera indiscriminata.

 

Qui siamo molto prima di un eventuale dibattito sull’antigiuridismo. Il problema non è la difesa tecnica, il dire o far dire all’avvocato che l’imputato non ha colpito le persone ma solo le cose. Ma l’imposizione di “coordinate etiche”, il dire “oltre non si va”. Il dire “nessuno deve andare oltre”.

Io non uso gli stessi toni di Alfredo ma di fronte ad una dichiarazione del tipo “le armi da guerra appartengono agli stati e ai loro emulatori”, cosa abbiamo se non una evidente presa di distanze, in tribunale per giunta, rispetto a tutta la storia della lotta armata? Dai partigiani alle Brigate Rosse, da Alfredo e Nicola fino al Kurdistan, da Gaetano Bresci e Nestor Machkno, fino ad arrivare alla mitica e sempre osannata spagna del ’36 dove gli operai in armi autogestivano Barcellona e la Colonna Durruti marciava su Saragozza con (troppi pochi) fucili, bombe a mano, cannoni e pezzi di artiglieria, e anche qualche bombardamento aereo. La storia dell’anarchismo, di più la storia del movimento operaio in generale è storia di guerra sociale, di sfruttati in armi contro i loro oppressori.

Sei mesi dopo l’uscita dell’ultimo numero di Croce Nera, l’articolo di Alfredo trovava una sorprendente conferma, questa volta sì nelle aule di tribunale, ma in senso inverso. Infatti la condanna di Graziano è risultata essere la più alta in assoluto, sia fra suoi tre coimputati che anche con i primi quattro, se si considera il rito abbreviato.

Anche questa una notizia passata quasi silente, racchiusa in una news da agenzia di stampa, senza un minimo di riflessione, senza che ci fosse un solo compagno rompi scatole che provasse a fare delle domande. Graziano infatti è stato l’unico imputato che non ha fatto dichiarazioni in aula. Possibile che non ci sia nessuno a domandarsi: in quale altro processo della storia dell’antiterrorismo chi rivendica in aula prende meno di chi non lo fa? Nessuno che provasse a dire…forse Cospito aveva ragione…forse.

E non si può nemmeno dire di voler aspettare i 90 giorni come un consumato principe del foro. Perché è evidente che se chi ha taciuto, al contrario di ogni precedente storico, ha preso di più di chi ha rivendicato, che qualcosa non torna lo si può dire sin da subito. Almeno, proprio il minimo sindacale, si sarebbe potuto esprimere solidarietà a Graziano, dichiarare con un po’ di sana retorica che “non ci divideranno”, che si rigetta al mittente il tentativo di far passare Graziano come il “cattivo” e gli altri come “buoni”. Nemmeno questo si è scritto. Il silenzio tombale! Su Graziano, sull’articolo di Alfredo, in precedenza sulle posizioni di Alessio. Persone molto diverse tra di loro, come sono diversi dalle posizioni di chi scrive queste note, ma che in comune hanno il difetto di non essere “fedeli alla linea” del soviet di Venaus.

E passati questi famosi 90 giorni delle motivazioni sia chiaro sin da ora che non ci si potrà aggrappare magari a qualche nota di paraculismo giudiziario dell’estensore della sentenza che per non scrivere di aver fatto lo sconto a chi ha rivendicato magari citerà i precedenti penali, l’atteggiamento in aula e in carcere, ecc. Perché fino ad ora le stesse pene sono state date a tutti (quarantenni e ventenni, con precedenti diversi, che hanno partecipato e che non hanno partecipato a disordini in carcere), sarebbe solo una scusa del Giudice Estensore, non cerchiamo alibi.

Graziano ha preso di più non per ragioni giudiziarie (ad esempio la non ammissione di colpevolezza), ma politiche (un brigatista mica prende lo sconto quando rivendica!). Quali sono? Il fatto di non aver detto che lui le armi da guerra non le userebbe mai? Che lui non si sarebbe mai sognato di colpire delle persone? Non pretendiamo le risposte, ma almeno le domande qualcuno vuole farsele?

E’ evidente che qualcosa che non va c’è. Speriamo qualcuno o qualcuna abbia il coraggio di rifletterci su.

 

Friederich Niciuno