Da un intervento di Michele Fabiani a Terni – 18 DICEMBRE 2015
Il declino del Capitalismo di Stato. Un’occasione in gran parte mancata per gli anarchici.
Per dare un senso alla definizione, volutamente generica, di “fase attuale” del Capitalismo io partirei da circa 25 anni fa. Col crollo dei regimi a Capitalismo di Stato e in generale col declino della componente a Capitalismo di Stato anche nei paesi occidentali (capitalisti “classici”): privatizzazioni, tagli al welfare, ecc.
Da quel momento la parte fino ad allora, e da 60 anni, egemone del movimento rivoluzionario è entrata in una crisi irrisolvibile. Invece l’anarchismo non doveva avere alcun problema teorico ad affrontare la nuova realtà: quelli che andavano crollando erano governi che niente avevano a che fare col comunismo; le vie nazionali e autoritarie al socialismo dimostravano, come avevamo sempre sostenuto, la riproduzione di quei rapporti di sfruttamento che si proponevano di abbattere e addirittura il loro sviluppo (si pensi all’industria sovietica e cinese, si pensi al nucleare, erano tra l’altro gli anni di Chernobyl).
Avevano ragione a Saint Imer!
La Storia finalmente ci stava dando ragione.
Per quanto io sia allergico ad ogni dogmatismo e sempre pronto a cercare nuove strade persino la “dogmatica” in quel momento ci stava venendo incontro. Prendiamo i tre punti dell’Internazionale Antiautoritaria di Saint Imier (1872):
1) la distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato;
2) l’organizzazione d’un potere politico provvisorio sedicente rivoluzionario e capace d’accelerare la distruzione dello Stato, non può essere che un inganno di più e sarebbe tanto pericolosa come i governi esistenti;
3) respingendo ogni compromesso al fine di attuare la rivoluzione sociale, i proletari d’ogni paese devono stabilire, al di fuori di ogni politica borghese, la solidarietà dell’azione rivoluzionaria.
Cazzo è andata proprio così: nella rinuncia alla distruzione di ogni potere politico (punto 1), il nuovo potere rivoluzionario si era trasformato in un inganno di più (punto 2), mentre i partiti di sinistra andavano in tutto il mondo in alleanza con la politica borghese (punto 3).
Gli anarchici avevano, dal 1872, la bussola per orientarsi nei caotici e disastrosi anni successivi al 1990. Dovevano essere gli unici con una proposta rivoluzionaria credibile.
Non a caso, quei pochi tentativi di fare un’analisi insurrezionale delle “Nuove svolte del capitalismo” venivano presto repressi e inseriti nelle inchieste della magistratura.
Diffusione (insufficiente) del nuovo anarchismo
Ho detto che la nostra è stata un’occasione in gran parte mancata. Non del tutto quindi. Il movimento anarchico è cresciuto molto negli ultimi venti anni. Quanto meno è cresciuto in termini relativi all’interno del movimento rivoluzionario. Nel senso che sono scomparsi gli altri.
L’anarchismo è il solo progetto che può dire qualcosa agli oppressi in questo periodo storico. Ed è il solo movimento che può ambire ad una progettualità internazionalista. Il comunismo (autoritario) oggi troverebbe molta difficoltà a radicarsi fra gli oppressi nei paesi che le hanno conosciute sulla loro pelle le dittature rosse. Non l’anarchia, invece, che è un’idea che divampa (è il caso di dirlo) con maggiore forza proprio in America Latina e nell’est Europa.
Ma anche da noi, siamo quasi la sola vera soggettività rivoluzionaria esistente. Si pensi, in piccolo, anche agli episodi di piazza. Il primo maggio del 1977 si sarebbe parlato dei “soliti autonomi”, il primo maggio del 2015 (e così da 15 anni) si parla dei “soliti anarchici” che hanno devastato Milano.
Sono ovviamente molto contento che l’anarchismo sia un problema di ordine pubblico. Un movimento che si dice rivoluzionario e non rappresenta un problema per l’ordine pubblico mi chiedo che cosa sia.
Ma questo ci può bastare?
Io credo che la diffusione del nuovo anarchismo sia ancora molto insufficiente, che le mie ambizioni di rovesciamento dell’ordine politico ed economico siano ancora frustrate, che essere una nicchia nelle sottoculture occidentali (del tipo un adolescente può essere buddista, metallaro, punk, vegan, anarchico, ecc., o più di una di queste) sia decisamente troppo poco.
Appresso ai movimenti sociali
Nonostante il movimento anarchico abbia molto da dire, anzi sia oggi il solo movimento che abbia davvero qualcosa da dire a livello rivoluzionario, ci siamo troppo spesso ritrovati appresso a movimenti che nulla hanno di rivoluzionario, ma sono semplicemente la parte antagonista dell’universo borghese.
Probabilmente questo è accaduto per una nostra abitudine minoritaria, per cui dopo decenni di presenza nei movimenti rivoluzionari, ai margini, ci siamo messi, sempre ai margini, anche dentro i movimenti contemporanei.
Noi che potevamo essere i soldi con la chiave di lettura che spiegasse il declino del Capitalismo di Stato, ci siamo ritrovati nei cortei che andavano a difendere qualche pezzetto di Capitalismo di Stato: contro le privatizzazioni, in difesa della scuola pubblica, ecc. E l’esempio più importante è stato il movimento no global. Quello che era sostanzialmente un movimento contro il neoliberismo, quindi non contro tutto il capitalismo, ma contro una sua tendenza, e in difesa di un capitalismo pubblico, cooperativo, equo e solidale (???), delle “banche etiche”. E’ vero che in questi contesti, quando c’è stato conflitto duro, sono stati soprattutto gli anarchici e le anarchiche a farlo, e a pagarne le conseguenze. Ma se oggi siamo il principale movimento rivoluzionario esistente le nostre ambizioni e anche le nostre responsabilità devono essere molto maggiori
Contro la guerra, contro la pace. Per la rivoluzione.
Perché nel frattempo le tensioni rivoluzionarie sono messe sempre più ai margini della narrazione pubblica. Il dominio del capitale, delle religioni, degli eserciti genera sempre più guerra, morte e povertà.
Mentre qualche colpo di cannone comincia a colpire anche le metropoli europee, con grande sgomento per i benpensanti, gli anarchici sono i soli che possono dirsi contro tutti i padroni e contro tutti i loro stati. Contro ogni Stato. Che esso sia liberale o popolare, islamico o ebraico, o di qualunque altra forma.
Contro l’internazionale della guerra. Contro l’internazionale della pace. Per una internazionale degli oppressi che si organizzano per farla pagare ai loro padroni.
Citando Luigi Galleani: Contro la guerra, contro la pace. Per la rivoluzione.